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a cura di Inìsero Cremaschi-FANTASCIENZA

"Sf narrativa d'anticipazione" n. 14, ed. Nord, '78, 346 pagg., 40.000 £ (20,66 €); © by Editrice Nord


Altri contributi critici:

-recensione di Virginio Marafante, "Sf...ere" n. 9, v.s., pag. 30

-"Le frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, ed. Nord, '77, pagg. 85-95-140-206-7

-"Il mercato della fantascienza in Italia", 2° cap. di "Le frontiere dell'ignoto", op. cit., pag. 61

-"Esperienza personale", di Gilda Musa, "La collina" n. 3, ed. Nord, '82, pagg. 92-94

-"Rileggendo "Futuro"", di Bruno Brunetti, "Future shock" nn. 1, v.s., 12, '86, '94, pag. 4

-recensione a "Parabole per domani", di Lino Aldani, di Gian Filippo Pizzo, "Future shock" n. 1, '88, pag. 9, relativamente a "Trentasette centigradi"

-"Cronistoria della fantascienza italiana", di Inìsero Cremaschi, in "Universo e dintorni", "I Garzanti" n. 716, ed. Garzanti, '78, pag. 19

-"Le strade dimenticate della fantascienza italiana", di Vittorio Catani e Eugenio Ragone, "L'eterno Adamo", vol. II°, n. 6, '92, pag. 141, relativamente a "Il quinto punto cardinale"

-"I mondi illusori della fantascienza", di Giuseppe e Antonio Monaco, "Future shock" n. 22, '97, pag. 24, relativamente a "Buonanotte, Sofia"


In questa nostra carrellata critica sui racconti contenuti nell'antologia curata da Cremaschi seguiremo l'ordine in cui appaiono nel testo; essi rappresentano il meglio, secondo il curatore, del materiale apparso sulla mitica rivista omonima, uscita in edicola dal maggio '63 al novembre '64; nella riedizione della Nord le opere vengono suddivise in sei sezioni, una per numero, tranne l'ultima, nella quale, sebbene racchiuda racconti del sesto numero, si accenna anche ai successivi numeri sette e otto. Il volume è ottimamente corredato criticamente. I racconti sono 18; ed andiamo a cominciare:

Cremaschi ha scelto, come migliori del primo numero, tre racconti. Il primo è proprio suo, e per questa scelta così si giustifica: "chiedo scusa se apro la sezione antologica con un mio testo. Non dipende dalla mia sfrenata megalomania ma dal semplice rispetto della cronologia." (pag. 1) Il titolo è: "Il quinto punto cardinale" (originariamente apparso in "Tempo presente", marzo '62, poi in "Interplanet" n. 4, ed. La tribuna, '64, "I tris" n. 2, ed. Sampietro, '66, in "I cieli degli Ufo", di Giuseppe Pederiali, ed. Geis, '75 (edizione ampliata), e "Delos" n. 65, 2001-finalista (2°) premio "Italia" '79; pagg. 2-31); si tratta di un racconto tenuto tutto su di un tono ironico, decisamente tendente al comico; ciò su cui si ironizza, in massima parte, è l'economia, il sistema monetario in particolare. Una spedizione diretta al pianeta Serapide, precipita; i componenti della stessa credono su di un mondo deserto, mentre, e questo solo alla fine, si verrà a sapere che è proprio Serapide. Il clou stà proprio nei modi in cui essi si organizzano, creando una sorta di mini società. In essa vengono riportati, in miniatura ed in grottesco, alcuni aspetti del sistema economico mondiale, mettendone così in luce talune sfumature decisamente assurde. All'inizio è la proprietà privata ad essere ridicolizzata; è chiaro che, a questo punto, lo sfondo fantascientifico è puramente strumentale, nel senso che la situazione andatasi a creare non è sviluppata in modo classico, è unicamente pretesto per le intenzioni satiriche dell'autore. Comunque è, come dicevamo, il sistema monetario quello maggiormente preso di mira. Uno dei personaggi è in possesso di foto pornografiche e le utilizza come mezzo di scambio nel rudimentale sistema creatosi. Lentamente esse divengono l'unica moneta corrente, diciamo così ufficiale, fino a quando arrivano due sarepidiani in vacanza, avvertendoli della loro reale ubicazione. Che lo scopo della missione sia, scusate il gioco di parole, di stampo missionario in senso morale, vista la fama gomorresca del pianeta, assieme all'accostamento denaro-pornografia, sono elementi che mettono in rilievo, ancora una volta, il tono derisorio dell'intera opera, sia verso l'economia che verso la morale. Dell'economia si mettono in rilievo alcuni punti, canzonandoli, della morale...direi che viene recuperato il tono giocoso e tutto umano del sesso, e messo alla berlina l'aspetto retrivo della moralità, la sua demonizzazione.

Troviamo poi "Troppo perfetto", di Pierfrancesco Prosperi (anche in "Europa", "Interplanet" n. 5, ed. dell'Albero, '64 e "Robot" n. 71, ed. Delosbooks, 2014; pagg. 35-43), strutturato in quindici brevissimi capitoli preceduti da un succinto preambolo. È la storia di un automa, appunto, troppo perfetto, talmente perfetto da innamorarsi a tal punto da non seguire più i test e le prove a cui lo sottopone il proprio ideatore, ed entrare in una vera e propria crisi esistenziale. Un automa troppo umano contrariamente a quelli cui ci aveva abituati il buon vecchio Asimov, una storia che, al limite può ricordare gli automi dickiani, che, con la loro umanità, sono strumentali all'evidenziazione della poca umanità degli esseri umani stessi. Ciò che non avviene qui, il taglio è molto più tradizionale, al limite verte sull'archetipo di Frankenstein, della creatura costruita dall'uomo che poi sfugge al suo controllo, per caratterizzarsi in maniera più specifica, per acquistare caratteristiche umane sue personali. Decisamente accattivante, conferma le grandi capacità dell'autore.

Ultimo racconto tratto dal primo numero è "Buonanotte, Sofia", di Lino Aldani (anche in "Quarta dimensione", '64, "Telespazio", anno IV°, n. 2, '68, e, col titolo di "Onirofilm", in "I labirinti del terzo pianeta", ed. Nuova accademia, '64, "Fantasesso", ed. Feltrinelli, '67 e "Grande enciclopedia della fantascienza" n. 55, ed. Del Drago, '81; tradotto in francese, da Roland Stragliati, col titolo di "Bonne nuit, Sophie, in "La Sf italienne", "Fiction speciale" n. 6 (132 bis), ed. Opta, '64, e l'antologia omonima, '65, in russo, da L. Veršinin, col titolo "Onirofil'm, in "Biblioteka Sovremnoj Fantastika", vol. V°, ed. Molodaja Gvrdi ja, in spagnolo, col titolo di "Buenas noches, Sofia", in "Mis Universos", '68, in giapponese, nella traduzione di Ken Chigusa, col titolo di "Oyasumi, Sofuia", nell'edizione giapponese di "The Magazine of Fantasy and Science Fiction", '69, altra ed., '70, e ed. Hayakawa Shobo, '81, in inglese, nella traduzione di L.K. Conrad, col titolo di "Goofnight, Shopie", in "View from Another Shore", ed. The Seabury Press., Inc., '73, e Jove Publications,Inc., '81 (Usa), in olandese, nella traduzione (dall'inglese), di Co de Groot, col titolo di "Welterrusten, Sophie", in "Andere werelden, anderen kusten", ed. Uitgeverij Luitingh, in tedesco, nella traduzione di Wilfred Rumpf, col titolo di "Gute Nacht Sophie", in "Blick vom anderen Ufer", "Taschenbuch" n. 359, ed. Verlag, '77, e in "Alabastergarten", ed. Das Neue Berlin Verlag, DDR, in bulgaro, nella traduzione di Nikola Ivanov, col titolo di "Onirofilm", in "Biblioteka Galaktika", ed. Bakalov, '80, in rumeno, nella traduzione di Doina Opritã, col titolo di "Noapte bunã, Sofia", in "Almanach Converbiri Literature", '81, e nell'antologia omonima, '82, in svedese in "Jules Verne Magasinet" n. 411, rivista diretta da Sam Lundwall; un adattamento radiofonico di Serge Douay è stato trasmesso a "Paris inter" nella serie "Théâtre de l'etrange" il 13 febbraio 1966 e un atto unico dell'autore con il titolo "I figli del sogno", tratto dal racconto, è andato in scena al Teatro Erba di Torino nei giorni 12,13 e 14 maggio '78; pagg. 47-71). Questo verte sostanzialmente sul mondo della celluloide che, nella società futura descritta, assume un'importanza preponderante. I produttori e in genere l'intero mondo del cinema sono divenuti classe dominante, mentre il resto della popolazione, completamente asservita, trova il suo unico divertimento proprio negli onirofilm, cassette che permettono un'esperienza sensoriale completa, ossia di vivere un film dall'interno, e che sono usufruibili dal singolo, in qualsiasi momento egli desideri. La vicenda in sè è incentrata su un abbozzo di ribellione da parte di una delle più quotate star che, ad un certo punto, sembra prendere coscienza degli aspetti negativi di tale sistema. Decisamente buono, soprattutto per il discorso sui mass-media, sull'utilizzazione di esse da parte del potere; gli onirofilm, ancora più efficaci del Grande Fratello, a soddisfare artificiosamente i bisogni di fuga fantastica della popolazione, ad assorbire tutte le energie inconsce che, completamente sublimate in essi, non sono più disponibili per la vita reale; per un moto di rivolta, per un sussulto di rabbia. Certo qui le cose sono portate agli estremi, fortemente ideologizzate. Che un qualche espediente del potere lasci completamente privi di voglia di fare all'amore mi sembra per lo meno inverosimile. Stilisticamente, per finire, c'è da dire che Aldani è uno dei migliori prosatori fantascientifici italiani, per cui, quasi sempre, nei suoi racconti, si possono trovare unite idee buonissime e prosa scorrevole, piacevole a leggersi.

Passiamo ora al secondo numero di "Futuro"; anche qui Cremaschi ha scelto tre racconti. Il primo è "Ministero notturno", di Anna Rinonapoli (anche in "Tv serial nel cosmo", "Minas Tirith n. 2, ed. Solfaneli, '86; tradotto in russo, in ungherese, come "Az Ejszakàs Miniszter", "Galaktica" n. 8, '73, in francese, come "Ministre de nuit", "Le Livre d'Or de la Science-fiction Italienne", '81, in tedesco, come "Nacthliche Ministerium", "Sf Story-Reader" n. 20, '83 e in bulgaro; pagg. 80-95). Questo racconto non mi è proprio piaciuto, al contrario di altri della scomparsa Rinonapoli. Il fatto è che si impernia si di un tema che, per quanto non usuale nella Sf, è, direi, più da barzelletta che da racconto, più da proverbio che altro, ovvero la lentezza burocratica, per di più innestata sul tema trito e ritrito dell'invasione aliena, in chiave comica, con tipico colpo di scena finale.

Passerei direttamente a "L'aquilone", di Giulio Raiola (anche in "Interplanet" n. 4, ed. La tribuna, '64; tradotto in tedesco come "Der Papierdrachen," in "Die Stimme der Unendlichkeit", '81, tr. Hilde Linnert; pagg. 97-115). Le vacanze di un fisico e della propria famiglia vengono scombussolate dalla richiesta da parte del figlio di un aquilone. Il padre glielo costruisce e l'aquilone vola, talmente in alto che viene avvistato da un'astronave aliena con rispettivi padre e figlio. Il piccolo alieno se ne invaghisce e così il padre, scavalcando tutte le barriere culturali e di costume del suo popolo che lo impedirebbero, si mette in contatto col fisico, proponendo uno scambio; il segreto dell'antigravitazione contro l'aquilone quasi antigravitazionale; lo scambio avviene. Questa in breve la trama, dalla quale risulta chiaramente quale sia il tema portante che lo sorregge, ovvero il rapporto padre-figli: "I figli-pensavo-Tu prepari con le tue mani il loro futuro, quando sono piccioli li tiri su riscaldandoli con il tuo fiato, sono semi che si stanno aprendo. Alla fine, un brutto giorno, t'accorgi di non aver fatto per loro tutto quello che avresti potuto. Te ne accorgi da un niente, un'occhiata, un gesto, un momento di debolezza dal quale vien fuori un'accusa, un rimprovero. E ti sembra (o così è) d'aver sbagliato tutto, d'aver sciupato qualcosa di molto importante. E allora ti senti un fallito.". L'amore paterno, dunque, nel suo estrinsecarsi quando si sforza di esaudire i desideri filiali. Parallelamente a questo si notano alcune colorazioni secondarie, ad esempio: il suggerimento, da parte della moglie al marito, sul come esaudire il desiderio del figlio, che esplicita in breve la caratteristica tutta femminile di far notare cose ovvie, soluzioni semplici, al proprio uomo, che poi le realizzerà, magari non proprio facilmente. Infine il veloce sguardo dell'alieno al nostro pianeta, in cui, praticamente, ci si mostra in squarcio una visione-proiezione dello stesso da un punto di vista totalmente estraneo, e non di meno pienamente plausibile, in un verificarsi eccezionalmente nitido di ciò che si può tranquillamente definire relativismo culturale. "Mondo strano e terribile. Eppure, in quell'ammasso di gas velenosi, su quei continenti circondati dalla corrosiva acqua salata, vivevano degli esseri. Selvaggi, divisi in grandi tribù, oppressi da odi primordiali, da passioni vili, da desideri repellenti. Se gli archivi erano esatti (come lo erano stati) quei selvaggi avevano quasi sempre ucciso i loro dei.". Lo stile del Raiola è scorrevole e in svariati punti tocca vertici di lirismo veramente ottimi, come in questa frase, in cui si descrive l'atteso e sospirato primo volo del protagonista: "Intanto, mentre la gioia invadeva i nostri cuori, l'aquilone più bello del mondo volava, senza peso, nel cielo azzurro fra le colline e la pianura, fantastico signore degli spazi, scivolando fra le alte correnti come un grande vascello dalle vele d'arcobaleno."

Segue nella selezione "Energia profonda", ancora, di Inìsero Cremaschi (tradotto in spagnolo, e pubblicato in Argentina dalle Ediciones de la Urraca; pagg. 118-34), pubblicato originariamente sotto lo pseudonimo di Erminio Casersich. Un'astronave, la "Cygnus", parte dalla Terra verso lo spazio profondo, "...verso un traguardo che non ci riguarda, la velocità della luce.". Infarcitissimo di termini scientifici lo si può definire come facente parte della così detta "Hard Sf", che a me, personalmente, raramente soddisfa. È sostanzialmente diviso in due parti, la prima riguarda un ipotetico film svizzero "Preparazione alle tenebre", che mostra un'ipotesi sulla sorte sconosciuta del Cygnus, con esplosione finale e morte dei due astronauti. La seconda è un altrettanto ipotetico articolo di uno scienziato sconosciuto che, sebbene ironizzi sugli scrittori di Sf, fa un'ipotesi decisamente fantascientifica. Tale ipotesi, c'è da dire, è alquanto cretina, e non è il caso di riferirla. L'unico elemento che risulta divertente è l'ironia, l'autoironia della Sf sulla Sf, e quella macchietta dello scienziato fiorentino decisamente pieno di sè, di hybris, col suo articolo pieno di castronerie. Se leggerete l'introduzione dello stesso autore troverete indicazioni assolutamente dissimili: "...cupo e pessimista...", "...difficoltà di lettura..."; "sarebbe stato meglio farne un romanzo". Considerazioni da cui non posso non dissentire; pessimismo non ce n'è: dove starebbe? Nella morte presunta dei due astronauti, neppure enfatizzata in tale senso? Nell'impossibilità di raggiungere la velocità della luce? Nei dialoghi fra i due, più che altro patetici? Difficile a leggersi non lo è, al limite sono i termini scientifici che si possono conoscere o non conoscere, ma non tutti sono funzionali alla trama che risulta, dopotutto, di difficile lettura, nel senso di scorrevolezza. In quanto al romanzo...chi può dirlo? Giusto l'autore; e chissà, magari i risultati avrebbero potuto, in effetti, essere migliori. Comunque un buon romanzo che ironizzi in modo intelligente la hard Sf, la Space Opera, è già stato scritto; è "Oltre Apollo", di Barry Malzberg, veramente ottimo.

Passando al terzo numero, troviamo una scelta di ben quattro racconti.

Il primo è "La seminatrice", di Maurizio Viano (anche in "Futuro Europa" n. 21, ed. Perseo libri, '98; tradotto in tedesco come "Die Saeerin", da Hilde Linnert, nell'antologia "Venice 2", a cura di Wolfang Jaschke, ed. Heyne Verlag, '85; pagg. 138-49). Apocalittico, è narrato in: "Un linguaggio limaccioso eppure luminescente, a mezza strada fra il biblico e l'espressionista", come dice il curatore. La fine della razza umana causata da "Déi (che) vengono dallo spazio", seminando ed innaffiando "germi coscienziali", per i quali riaffiorano dall'inconscio sia collettivo che personale, tutte le magagne, portando al suicidio: "Il fatto è che ci ammazziamo.". I "semi coscienziali", da un altro punto di vista, risultano essere anche le informazioni sulla situazione testuale che man mano il Maurizio fornisce al fruitore, in rapida successione. Fattore che risulta rilevante, rappresentazione simbolica del senso di colpa ingiustificato, è il maggiolino che accompagna uno dei protagonisti, ingrandendosi sempre più, simbolo della sua unica colpa, l'uccisione, appunto, di un maggiolino.

Priseguendo il nostro cammino ci attende "Disreali", di Pierfrancesco Prosperi (tradotto in francese come "Le capitaine Disraeli", in "Fiction Spécial" # 6, '64, traduzione di Romain Denis; pagg. 151-58), secondo ed ultimo di questo autore ad essere qui compreso. Breve, scattante, è innanzitutto un buon racconto, come l'altro di cui abbiamo parlato prima. Scenario: una federazione galattica in cui: ...ogni razza ha i suoi compiti..." e dei fantasmagorici Nemici da cui difendersi; e il compito della difesa spetta proprio ai terrestri, i più combattivi dell'intera galassia. Evento: un capitano decide di lasciare l'esercito; gli viene detto che non può, che ogni singolo terrestre è militare, senza esclusione alcuna. Elemento rilevante è la rivelazione finale che i Nemici non esistono, scoperta preceduta da alcuni effetti di anticipazione: "Non creda di essere l'unico. Ce ne sono stati molti come lei, anche se non ne hai mai sentito parlare.". I nemici sono coloro che si ribellano al sistema, sottoposti ad un terribile trattamento che li trasforma in macchine da guerra micidiali. Dunque una guerra fantoccio, creata dal sistema per mantenere l'equilibrio interno, proprio come nel libro di Orwell, anche se là trovavamo una prospettiva decisamente diversa.

Per terzo troviamo "Ritorno", di Gustavo Gasparini (anche in "Folla" n. 8, '65, "Perry Rhodan" n. 40, ed. Solaris, '79, "Future shock" n. 1, vecchia serie, '86, "Future schock" n. 12, '94; pagg. 161-66); avvincente ed apocalittico, ha il pregio di dare una visione cosmogonica del nostro sistema solare assolutamente originale, anche se totalmente inesistente, se osservata, caparbiamente, da un punto di vista scientifico-razionale. Il feeling che regge il tutto consiste nella scoperta progressiva della realtà interna del testo da parte del lettore, e, conseguentemente, della concezione cosmogonica ivi descritta. Il finale, catartico, smantella istantaneamente quell'ipotesi assurda che non si regge in piedi e credo che sia uno stimolo adatto a far si che, più o meno automaticamente, avvenga, nel lettore il raffigurarsi del modello di realtà cosmogonica che l'essere ha raggiunto oggigiorno.

Quarto ed ultimo di questa terza sezione, troviamo "Memoria totale", di Gilda Musa (anche in "Delos" n. 45, '99; pagg. 169-84). Resoconto di un crollo di nervi, potremmo dire, semplificando al massimo. E in effetti così è; non esiste azione nel senso tradizionale del termine, tutto o quasi avviene nello spazio interiore, nell'inconscio. Alcune pagine non possono che ricordare "L'Ulisse" di Joyce, i flussi e riflussi di coscienza, senza dubbio. Quanto ci sia, invece, di ballardiano, non saprei; Joyce, come somiglianza, è più affine. È tutto tenuto sul monologo interiore, i fatti esterni scarseggiano; soprattutto il fatto iniziale, minimale, che dà inizio allo scorrere dei ricordi profondi, il rumore di una pentola piena di prugne che bolle in cucina. La conversazione, poi, con il dottore di famiglia al telefono, direi che viene a confluire con la corrente dei ricordi archetipici della protagonista, Anna, in un giorno di ferie postlavorative. Di difficile lettura, questo sì, veramente necessita di un buon grado di attenzione, di concentrazione, forse, e, innanzitutto, di una flessibilità mentale notevole, per lo meno buona, se su vuole apprezzarne il feeling, il significato. Si può essere d'accordo più o meno o per nulla con i presupposti teorici che tale opera presuppone, prevalentemente junghiani, ma è indubitabile che sono questo tipo di novelle che hanno portato e portano un'aria nuova nella fantascienza, spostandone l'attenzione da astronavi e mostri dello spazio esterno, a mostri e fantasmi dello spazio interno, altrettanto e forse più sconosciuto di quello che normalmente fa da sfondo alle storie di Sf. Tornando al raffronto con Ballard, devo dire che mi trovo un pò indeciso, avendo, devo ammetterlo, letto moltissimo dell'inglese e poco della Musa, ma comunque mi sembra che questo racconto in particolare faccia meno uso di metafore, di allegorie, di simboli, per arrivare ad un discorso forse più diretto; più vicino a quello che si suol definire letteratura ufficiale. E la scomparsa Musa veniva proprio da un'esperienza poetica, scriveva anche opere non di fantascienza, come, d'altronde, anche suo marito, il curatore.

Quarta sezione, altri tre racconti.

Si inizia alla grande con "Trentasette centigradi", secondo ed ultimo racconto di Lino Aldani qui compreso (anche in "Interplanet" n. 6, ed. Dell'albero, '65, e in "Parabole per domani", ed. Solfanelli, '887; tradotto in francese, nella traduzione di Roland Stragliati, col titolo di "37° centigrades", in "La Sf italienne", op. cit., e con quello di "Trent-sept degrees centigrades" in "Le livre de la Sf italienne", ed. Presses Pocket, '81, in spagnolo, col titolo di "Treinta y siete °C", in "Anticipation" n. 5, ed. Ferma, '68, in russo, nella traduzione di Lev Veršinin, col titolo di "Tridcat'n semì gradusovpo Celìsijo", ed. Mir, '70, in rumeno, nela traduzione di Ion Hobana, in "Fantascienza-Povestiri Italiene", ed. Albatros, '72, in tedesco, nella traduzione di Hilde Linnert, col titolo di "Siebenunddreibig Grad", in "Die Stimme der Undenlichkeit", ed. Heine Verlag, '81; pagg. 188-222). Veramente ottimo, narra di una società di un futuro prossimo, in cui gli enti di assistenza medica pubblica divengono molto potenti, preponderanti, assillano i cittadini con tasse, prescrizioni, azioni preventive di ogni genere, pubblicità, controlli quotidiani e simili. In questo quadro si svolge la storia di una ribellione individuale; un uomo, esasperato, decide di sottrarsi a tali pressioni, e, cosa consentita per legge, di non usufruire dei servigi delle mega-mutue. Ma la rivolta fallisce. Un buon esempio di utopia negativa, nella maggior parte delle quali, possiamo trovare rivolte individuali; Orwell, classicamente, ma anche Burgess col suo "1984-85", Bradbury col sue "Fahrenheit 451", anche se in quest'ultimo, nel finale, si lascia trasparire un'ombra di speranza, come d'altro canto anche qui, sebbene in toni molto scoraggianti; una speranza che va di là di ogni ragionevolezza, di ogni razionalizzazione. Lo stile, come ho già detto per l'altro racconto, è ottimo; scorrevolezza e buona capacità di attirare l'attenzione del lettore.

Troviamo poi "Tempo zero", di Riccardo Minuti (pagg. 226-41). In un centro di ricerche segreto si effettua un esperimento sull'accelerazione degli elettroni, ma un sabotaggio fa esplodere l'apparecchio con conseguente dilagare del cervello di uno degli sperimentatori nello spazio-tempo e modifiche di fatti storici; si scivola poi ad una sorta di giallo, con ricerca, scoperta e punizione dei responsabili il sabotaggio. Piuttosto contorto, può risultare o poco piacevole o avvincente, difficilmente, credo, può lasciare indifferenti, e questo, credo, sia un pregio. Se avvince ne risulta un certo effetto di complicazione-scioglimento anche gradevole; secondo me, però, non è scritto in modo tale da attirare molto l'attenzione del lettore, che si trova a dover cambiare repentinamente e troppo spesso prospettiva. A parte la non veridicità scientifica, qui prevale la piattezza della soluzione finale, e la non originalità del tema delle modificazioni storiche, trattato in modi migliori da altri autori in numerosi romanzi e racconti che è inutile stia qui a citare visto che ne conosciamo tutti quanti.

Terzo ed ultimo racconto di questa quarta sezione, troviamo "Il contrordine", ancora dell'Anna Rinonapoli (tradotto in ungherese come "Az ellenparancs", "Galaktica" # 49, '83; pagg. 243-63). Innanzi tutto c'è da dire che è decisamente migliore dell'altro, in quanto tratta un argomento, l'utopia, decisamente più interessante che non la lentezza burocratica. Un gruppo di giovani ha inaugurato un progetto, programmando un megacomputer per realizzare il migliore dei mondi possibili e per far ciò si sono basati sulla statistica. In un mondo in crisi e soprattutto per i messaggi sublimali emanati dal calcolatore, tale progetto si realizza. I suoi ideatori si pongono in stato di ibernazione, e il racconto ha inizio con il risveglio di uno di loro, Walter; il resto lo apprendiamo per mezzo di flash back. Il progetto fallisce. Il mondo è divenuto statico, nessuna spinta al miglioramento, nessun progetto verso un qualcosa da realizzare. Praticamente il racconto è interamente incentrato sulla scoperta progressiva di come stiano in effetti le cose, di quali siano le divergenze, fra il mondo auspicato, quello che Walter voleva, sperava di trovare, e quello che invece è divenuto. Direi che il messaggio è l'impossibilità di realizzare il migliore dei mondi possibili, o meglio, più che altro, non è possibile che sia realizzato da pochi individui. Il fatto che è la statistica il punto in cui fallisce il progetto è indicativo che l'utopia, in quanto tale, è unicamente un modello ideale a cui tendere, sapendo però che il limite si sposterà sempre in avanti, o meglio, che cambierà, potrà cambiare direzione, e che il concetto di mondo ideale, in quanto concetto puramente metafisico, non è realizzabile concretamente se non in maniera, appunto, parziale e sempre in divenire.

Eccoci dunque giunti alla quinta e penultima sezione, nella quale troviamo altri tre racconti. Fino ad ora abbiamo trovato anche racconti non molto validi, anche se nella maggioranza, bisogna dirlo, le scelte si sono rivelate oculate; non essendo poi a conoscenza dei testi esclusi non mi posso pronunciare ulteriormente su questo punto.

Il primo racconto è "Trentasette colonne di zeri", della Gilda Musa (pagg. 269-82), che, a conferma del suo buon livello di prosa, si pone come uno dei migliori dell'intera antologia. Qui l'azione si svolge totalmente nello spazio esterno, su di un'astronave, ma, al centro, troviamo l'uomo, con le sue paure e le sue pulsioni; lo stilema fantascientifico astronave è qui utilizzato per far risalire quelli che sono i sommovimenti dell'animo umano. Protagonista è un'astronauta che è divenuto tale per amore, poichè la donna che ama e da cui è amato ha idealizzato fortemente la figura dell'astronauta, e, praticamente, lo costringe a farsi tale, per averla. C'è poi il fatto che lui soffre di...mal d'astronave, di vertigini, di paura degli spazi siderali. La trama è improntata sugli stilemi del giallo di stampo moderno, in quanto Nikol, il protagonista, muore a metà racconto, come in Hitchock, sovente, scopriamo l'assassino all'inizio o comunque prima che l'azione abbia termine; una struttura, dunque, che non rispetta i canoni tradizionali e convenzioni della novel borghese; situazioni di normalità, elemento disturbante, indagine, ristabilizzazione della situazione di normalità, per mezzo della chiarificazione definitiva e del rientro nei canoni del fattore deviante. Comunque questo è un argomento che andrebbe sviluppato ulteriormente, in quanto credo sia piuttosto interessante. Tornando a bomba a quanto si stava dicendo, gran parte del racconto è costituito dalle successive indagini. Senza dire, chiaramente, di più sugli esiti di tali indagini, mi sembra interessante notare come la Musa ponga in primo piano la caritas, l'empatia; i colleghi di Nikol, chi più chi meno, erano a conoscenza della sua posizione e lo aiutavano in ogni modo, con parole consolanti o comprensive, o, più praticamente, dandogli una mano quando stava male, e coprendo con una specie di omertà il suo malessere che, se scoperto, avrebbe potuto provocare la sua estromissione dal viaggio, con conseguente perdita dell'amante. Non dico altro; è tutto da leggersi, avvincente e allo stesso tempo profondamente umano.

Segue, poi, "Il saggio", di Massimo Pandolfi (pagg. 287-9); essenzialmente filosofico, questo, più che un racconto è, appunto, un saggio. Un uomo medita, e "continuava a meditare nella caverna" (un platonico, per caso?!), e, attraverso vari passaggi, o, con una terminologia più adatta sillogismi completamente assurdi, giunge a delle conclusioni altrettanto assurde; il fatto è, però, che tali conclusioni, nel racconto (e qui stà la fantasticheria specifica del brano) si realizzano concretamente attorno a lui, fino a vederlo diventare unicamente entità astratta, ed unirsi a Dio. Estremamente stimolante, risulta una lettura molto interessante, "anche in considerazione del fatto che l'ha scritto non ancora ventenne" (Cremaschi).

Terzo ed ultimo, eccoci dunque a "Le belle figlie di Madama Dorè", di Giuseppe Pederiali (anche, col titolo di "La fontana", in "Cacciatore torna a casa", "Gamma" n. 8, ed. dello Scorpione, '66, "Robot" n. 43, ed. Delosbooks, 2004; tradotto in tedesco come "Die schönen Töchter der Madame Doré", nell'antologia "Die Labyrinthe der Zukunft", a cura di Lino Aldani, ed. Wilhelm Heyne, '84; pagg. 292-304). Il nostro è autore, come saprete, di una serie di prestigiosi romanzi di fantasy che hanno raccolto notevole successo, come ad esempio "La compagnia della selva bella", edito da Bompiani. Il presente racconto è sul dopobomba, e si inserisce, però, in suddetta categoria in modo estremamente originale; tutto è normale, tutto tranne gli uomini, rimasti deturpati gravemente nel fisico, nel senso che hanno subito delle mutazioni genetiche. Il nucleo concettuale dell'opera stà nel fatto che Pederiali non indugia mai nelle descrizioni di tali deturpazioni, creando in questo modo quella necessaria sospensione dell'interesse che regge tutto il racconto. Non esiste l'avvenimento saliente, o, per lo meno, esso è stemperato, non assume la centralità che di solito assume in racconti di queste dimensioni; c'è il tentativo molto poco convinto di far nascere bambini normali, che, normalmente, fallirà; secondo me, alla fine, quello che emerge è, soprattutto, l'adattabilità degli esseri umani, e, conseguentemente al fallimento di quell'esperimento; a me sorge il pensiero che se, per disgrazia, l'umanità si dovesse trovare in una tale situazione, l'unica via che si aprirebbe all'essere inteso come l'insieme dei singoli, sarebbe quello di un lento ma inevitabile mutamento del concetto di bellezza, che è pur sempre relativo, e che, quindi, con gli anni, potrebbe trovare un suo nuovo equilibrio. Aggiungo a queste annotazioni ancora una considerazione: la prima parte del racconto è costruita con una struttura a detection, in cui l'autore elargisce con parsimonia elementi che finiscono per creare lentamente il fondale dell'azione della seconda parte.

Ultima sezione, comprende due racconti entrambi pubblicati originariamente sul numero 6 di "Futuro".

Dei numeri sette e otto Cremaschi non ne ha selezionati neppure uno; di questo fatto, riguardo al numero sette, dà questa spiegazione: "...racconti seri e problematici, ma privi di quel senso del peccato (voleva forse dire sense of wonder?, n.d.a.) che la migliore fantascienza, in Italia o all'estero, ha sempre portato con se."

Del numero otto dice: "Il fascicolo non ebbe nessuna eco. Perfino molti collezionisti non ne ebbero mai notizia. Riccardo Valla, quando nel 1973 traccerà una puntualissima trenodia della rivista, ignorava l'esistenza del numero otto."

Il primo dei racconti tratti dal sesto fascicolo è "Homini erecti", di Teodoro Giuttani (pagg. 311-6). Più che altro ricorda un pò la scena iniziale di "2001 odissea nello spazio" di Kubrick; nella preistoria in un branco di homini erecti c'è un esemplare singolare, un "homo eccezionale"; mentre gli altri grugniscono e, in genere, si dedicano a passatempi piuttosto grossolani, più vicini all'animalità che all'umanità, il nostro è decisamente più intelligente: tutta la trama è rivolta a dimostrare ciò. Può essere letto come nascita dell'intellettuale, linea interpretativa suggerita da Cremaschi nell'introduzione; io direi piuttosto che è piacevole a leggersi ma che scarseggia in quanto a contenuti: un inno all'evoluzione, o, più semplicemente, un buon racconto sulla preistoria.

Secondo della sezione ed ultimo dell'antologia, ecco infine "Tempo d'elezioni", di Riccardo Leveghi (pagg. 319-25). Italia, un futuro imprecisato (si parla di 1991 o di 2091 o che?), propaganda elettorale di strani partiti che in qualche modo, inevitabilmente, si tende a comparare a quelli attuali. Non si dice propaganda elettorale, ma pubblicizzare, il limite d'età è otto anni, cronistoria affrettata di successioni al potere; il protagonista va di porta in porta, di famiglia in famiglia a pubblicizzare il suo partito. Scialbo, privo di idee originali, innanzitutto, ma solo di pseudoidee per nulla interessanti. Sembra di intuire che potrebbe trattarsi di un'antiutopia, che Leveghi voglia dir male del futuro che prospetta, ma se questa era la sua intenzione l'ha fatto senza incisività; non la si rileva poi molto. Più che altro a me sembra un abbozzo di una possibile situazione politica futura, decisamente riuscito male. Peccato che questa antologia che, come abbiamo visto, contiene prevalentemente testi validi, debba finire proprio con questo brutto racconto.


Originariamente in "The Dark Side" n. 1, anno 5°, '86






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