Futuro
a cura di Inìsero Cremaschi-FANTASCIENZA
"Sf narrativa d'anticipazione" n. 14, ed. Nord, '78, 346 pagg., 40.000 £ (20,66 €); © by Editrice Nord
Altri contributi critici:
-recensione di Virginio Marafante, "Sf...ere" n. 9, v.s., pag. 30
-"Le frontiere dell'ignoto", di Vittorio Curtoni, "Saggi" n. 2, ed. Nord, '77, pagg. 85-95-140-206-7
-"Il mercato della fantascienza in Italia", 2° cap. di "Le frontiere dell'ignoto", op. cit., pag. 61
-"Esperienza personale", di Gilda Musa, "La collina" n. 3, ed. Nord, '82, pagg. 92-94
-"Rileggendo "Futuro"", di Bruno Brunetti, "Future shock" nn. 1, v.s., 12, '86, '94, pag. 4
-recensione a "Parabole per domani", di Lino Aldani, di Gian Filippo Pizzo, "Future shock" n. 1, '88, pag. 9, relativamente a "Trentasette centigradi"
-"Cronistoria della fantascienza italiana", di Inìsero Cremaschi, in "Universo e dintorni", "I Garzanti" n. 716, ed. Garzanti, '78, pag. 19
-"Le strade dimenticate della fantascienza italiana", di Vittorio Catani e Eugenio Ragone, "L'eterno Adamo", vol. II°, n. 6, '92, pag. 141, relativamente a "Il quinto punto cardinale"
-"I mondi illusori della fantascienza", di Giuseppe e Antonio Monaco, "Future shock" n. 22, '97, pag. 24, relativamente a "Buonanotte, Sofia"
In questa
nostra carrellata critica sui racconti contenuti nell'antologia curata da
Cremaschi seguiremo l'ordine in cui appaiono nel testo; essi rappresentano il
meglio, secondo il curatore, del materiale apparso sulla mitica rivista
omonima, uscita in edicola dal maggio '63 al novembre '64; nella riedizione
della Nord le opere vengono suddivise in sei sezioni, una per numero, tranne
l'ultima, nella quale, sebbene racchiuda racconti del sesto numero, si accenna
anche ai successivi numeri sette e otto. Il volume è ottimamente corredato criticamente.
I racconti sono 18; ed andiamo a cominciare:
Cremaschi
ha scelto, come migliori del primo numero, tre racconti. Il primo è proprio
suo, e per questa scelta così si giustifica: "chiedo scusa se apro la
sezione antologica con un mio testo. Non dipende dalla mia sfrenata megalomania
ma dal semplice rispetto della cronologia." (pag. 1) Il titolo è: "Il
quinto punto cardinale" (originariamente apparso in "Tempo
presente", marzo '62, poi in "Interplanet" n. 4, ed. La tribuna,
'64, "I tris" n. 2, ed. Sampietro, '66, in "I cieli degli
Ufo", di Giuseppe Pederiali, ed. Geis, '75 (edizione ampliata), e
"Delos" n. 65, 2001-finalista (2°) premio
"Italia" '79; pagg. 2-31); si tratta di un racconto tenuto tutto su
di un tono ironico, decisamente tendente al comico; ciò su cui si ironizza, in
massima parte, è l'economia, il sistema monetario in particolare. Una
spedizione diretta al pianeta Serapide, precipita; i componenti della stessa
credono su di un mondo deserto, mentre, e questo solo alla fine, si verrà a
sapere che è proprio Serapide. Il clou stà proprio nei modi in cui essi si
organizzano, creando una sorta di mini società. In essa vengono riportati, in
miniatura ed in grottesco, alcuni aspetti del sistema economico mondiale,
mettendone così in luce talune sfumature decisamente assurde. All'inizio è la
proprietà privata ad essere ridicolizzata; è chiaro che, a questo punto, lo
sfondo fantascientifico è puramente strumentale, nel senso che la situazione andatasi
a creare non è sviluppata in modo classico, è unicamente pretesto per le
intenzioni satiriche dell'autore. Comunque è, come dicevamo, il sistema
monetario quello maggiormente preso di mira. Uno dei personaggi è in possesso
di foto pornografiche e le utilizza come mezzo di scambio nel rudimentale
sistema creatosi. Lentamente esse divengono l'unica moneta corrente, diciamo
così ufficiale, fino a quando arrivano due sarepidiani in vacanza, avvertendoli
della loro reale ubicazione. Che lo scopo della missione sia, scusate il gioco
di parole, di stampo missionario in senso morale, vista la fama gomorresca del
pianeta, assieme all'accostamento denaro-pornografia, sono elementi che mettono
in rilievo, ancora una volta, il tono derisorio dell'intera opera, sia verso
l'economia che verso la morale. Dell'economia si mettono in rilievo alcuni
punti, canzonandoli, della morale...direi che viene recuperato il tono giocoso
e tutto umano del sesso, e messo alla berlina l'aspetto retrivo della moralità,
la sua demonizzazione.
Troviamo
poi "Troppo perfetto", di Pierfrancesco Prosperi (anche in
"Europa", "Interplanet" n. 5, ed. dell'Albero, '64 e "Robot" n. 71, ed. Delosbooks, 2014; pagg.
35-43), strutturato in quindici brevissimi capitoli preceduti da un succinto
preambolo. È la storia di un automa, appunto, troppo perfetto, talmente
perfetto da innamorarsi a tal punto da non seguire più i test e le prove a cui
lo sottopone il proprio ideatore, ed entrare in una vera e propria crisi
esistenziale. Un automa troppo umano contrariamente a quelli cui ci aveva abituati
il buon vecchio Asimov, una storia che, al limite può ricordare gli automi
dickiani, che, con la loro umanità, sono strumentali all'evidenziazione della
poca umanità degli esseri umani stessi. Ciò che non avviene qui, il taglio è
molto più tradizionale, al limite verte sull'archetipo di Frankenstein, della
creatura costruita dall'uomo che poi sfugge al suo controllo, per
caratterizzarsi in maniera più specifica, per acquistare caratteristiche umane
sue personali. Decisamente accattivante, conferma le grandi capacità
dell'autore.
Ultimo
racconto tratto dal primo numero è "Buonanotte, Sofia", di Lino
Aldani (anche in "Quarta dimensione", '64, "Telespazio",
anno IV°, n. 2, '68, e, col titolo di "Onirofilm", in "I
labirinti del terzo pianeta", ed. Nuova accademia, '64,
"Fantasesso", ed. Feltrinelli, '67 e "Grande enciclopedia della
fantascienza" n. 55, ed. Del Drago, '81; tradotto in francese, da Roland
Stragliati, col titolo di "Bonne nuit, Sophie, in "La Sf
italienne", "Fiction speciale" n. 6 (132 bis), ed. Opta, '64, e
l'antologia omonima, '65, in russo, da L. Veršinin, col titolo
"Onirofil'm, in "Biblioteka Sovremnoj Fantastika", vol. V°, ed.
Molodaja Gvrdi ja, in spagnolo, col titolo di "Buenas noches, Sofia",
in "Mis Universos", '68, in giapponese, nella traduzione di Ken
Chigusa, col titolo di "Oyasumi, Sofuia", nell'edizione giapponese di
"The Magazine of Fantasy and Science Fiction", '69, altra ed., '70, e
ed. Hayakawa Shobo, '81, in inglese, nella traduzione di L.K. Conrad, col
titolo di "Goofnight, Shopie", in "View from Another
Shore", ed. The Seabury Press., Inc., '73, e Jove Publications,Inc., '81
(Usa), in olandese, nella traduzione (dall'inglese), di Co de Groot, col titolo
di "Welterrusten, Sophie", in "Andere werelden, anderen
kusten", ed. Uitgeverij Luitingh, in tedesco, nella traduzione di Wilfred
Rumpf, col titolo di "Gute Nacht Sophie", in "Blick vom anderen
Ufer", "Taschenbuch" n. 359, ed. Verlag, '77, e
in "Alabastergarten", ed. Das Neue Berlin Verlag, DDR, in bulgaro, nella traduzione di
Nikola Ivanov, col titolo di "Onirofilm", in "Biblioteka
Galaktika", ed. Bakalov, '80, in rumeno, nella traduzione di Doina Opritã,
col titolo di "Noapte bunã, Sofia", in "Almanach Converbiri
Literature", '81, e nell'antologia omonima, '82, in svedese in "Jules
Verne Magasinet" n. 411, rivista diretta da Sam Lundwall; un adattamento
radiofonico di Serge Douay è stato trasmesso a "Paris inter" nella
serie "Théâtre de l'etrange" il 13 febbraio 1966 e un atto unico
dell'autore con il titolo "I figli del sogno", tratto dal racconto, è
andato in scena al Teatro Erba di Torino nei giorni 12,13 e 14 maggio '78;
pagg. 47-71). Questo verte sostanzialmente sul mondo della celluloide che,
nella società futura descritta, assume un'importanza preponderante. I produttori
e in genere l'intero mondo del cinema sono divenuti classe dominante, mentre il
resto della popolazione, completamente asservita, trova il suo unico
divertimento proprio negli onirofilm, cassette che permettono un'esperienza
sensoriale completa, ossia di vivere un film dall'interno, e che sono
usufruibili dal singolo, in qualsiasi momento egli desideri. La vicenda in sè è
incentrata su un abbozzo di ribellione da parte di una delle più quotate star
che, ad un certo punto, sembra prendere coscienza degli aspetti negativi di
tale sistema. Decisamente buono, soprattutto per il discorso sui mass-media,
sull'utilizzazione di esse da parte del potere; gli onirofilm, ancora più
efficaci del Grande Fratello, a soddisfare artificiosamente i bisogni di fuga
fantastica della popolazione, ad assorbire tutte le energie inconsce che,
completamente sublimate in essi, non sono più disponibili per la vita reale;
per un moto di rivolta, per un sussulto di rabbia. Certo qui le cose sono
portate agli estremi, fortemente ideologizzate. Che un qualche espediente del
potere lasci completamente privi di voglia di fare all'amore mi sembra per lo
meno inverosimile. Stilisticamente, per finire, c'è da dire che Aldani è uno
dei migliori prosatori fantascientifici italiani, per cui, quasi sempre, nei
suoi racconti, si possono trovare unite idee buonissime e prosa scorrevole,
piacevole a leggersi.
Passiamo
ora al secondo numero di "Futuro"; anche qui Cremaschi ha scelto tre
racconti. Il primo è "Ministero notturno", di Anna Rinonapoli (anche
in "Tv serial nel cosmo", "Minas Tirith n. 2, ed. Solfaneli,
'86; tradotto in russo, in ungherese, come "Az Ejszakàs Miniszter",
"Galaktica" n. 8, '73, in francese, come "Ministre de
nuit", "Le Livre d'Or de la Science-fiction Italienne", '81, in
tedesco, come "Nacthliche Ministerium", "Sf Story-Reader"
n. 20, '83 e in bulgaro; pagg. 80-95). Questo racconto non mi è proprio
piaciuto, al contrario di altri della scomparsa Rinonapoli. Il fatto è che si
impernia si di un tema che, per quanto non usuale nella Sf, è, direi, più da
barzelletta che da racconto, più da proverbio che altro, ovvero la lentezza
burocratica, per di più innestata sul tema trito e ritrito dell'invasione
aliena, in chiave comica, con tipico colpo di scena finale.
Passerei
direttamente a "L'aquilone", di Giulio Raiola (anche in
"Interplanet" n. 4, ed. La tribuna, '64; tradotto in tedesco come
"Der Papierdrachen," in "Die Stimme der Unendlichkeit",
'81, tr. Hilde Linnert; pagg. 97-115). Le vacanze di un fisico e della propria famiglia vengono
scombussolate dalla richiesta da parte del figlio di un aquilone. Il padre
glielo costruisce e l'aquilone vola, talmente in alto che viene avvistato da
un'astronave aliena con rispettivi padre e figlio. Il piccolo alieno se ne
invaghisce e così il padre, scavalcando tutte le barriere culturali e di
costume del suo popolo che lo impedirebbero, si mette in contatto col fisico,
proponendo uno scambio; il segreto dell'antigravitazione contro l'aquilone
quasi antigravitazionale; lo scambio avviene. Questa in breve la trama, dalla
quale risulta chiaramente quale sia il tema portante che lo sorregge, ovvero il
rapporto padre-figli: "I figli-pensavo-Tu prepari con le tue mani il loro
futuro, quando sono piccioli li tiri su riscaldandoli con il tuo fiato, sono semi
che si stanno aprendo. Alla fine, un brutto giorno, t'accorgi di non aver fatto
per loro tutto quello che avresti potuto. Te ne accorgi da un niente,
un'occhiata, un gesto, un momento di debolezza dal quale vien fuori un'accusa,
un rimprovero. E ti sembra (o così è) d'aver sbagliato tutto, d'aver sciupato
qualcosa di molto importante. E allora ti senti un fallito.". L'amore
paterno, dunque, nel suo estrinsecarsi quando si sforza di esaudire i desideri
filiali. Parallelamente a questo si notano alcune colorazioni secondarie, ad
esempio: il suggerimento, da parte della moglie al marito, sul come esaudire il
desiderio del figlio, che esplicita in breve la caratteristica tutta femminile
di far notare cose ovvie, soluzioni semplici, al proprio uomo, che poi le
realizzerà, magari non proprio facilmente. Infine il veloce sguardo dell'alieno
al nostro pianeta, in cui, praticamente, ci si mostra in squarcio una
visione-proiezione dello stesso da un punto di vista totalmente estraneo, e non
di meno pienamente plausibile, in un verificarsi eccezionalmente nitido di ciò
che si può tranquillamente definire relativismo culturale. "Mondo strano e
terribile. Eppure, in quell'ammasso di gas velenosi, su quei continenti
circondati dalla corrosiva acqua salata, vivevano degli esseri. Selvaggi,
divisi in grandi tribù, oppressi da odi primordiali, da passioni vili, da
desideri repellenti. Se gli archivi erano esatti (come lo erano stati) quei
selvaggi avevano quasi sempre ucciso i loro dei.". Lo stile del Raiola è
scorrevole e in svariati punti tocca vertici di lirismo veramente ottimi, come
in questa frase, in cui si descrive l'atteso e sospirato primo volo del
protagonista: "Intanto, mentre la gioia invadeva i nostri cuori,
l'aquilone più bello del mondo volava, senza peso, nel cielo azzurro fra le
colline e la pianura, fantastico signore degli spazi, scivolando fra le alte
correnti come un grande vascello dalle vele d'arcobaleno."
Segue
nella selezione "Energia profonda", ancora, di Inìsero Cremaschi
(tradotto in spagnolo, e pubblicato in Argentina dalle Ediciones de la Urraca;
pagg. 118-34), pubblicato originariamente sotto lo pseudonimo di Erminio
Casersich. Un'astronave, la "Cygnus", parte dalla Terra verso lo
spazio profondo, "...verso un traguardo che non ci riguarda, la velocità
della luce.". Infarcitissimo di termini scientifici lo si può definire
come facente parte della così detta "Hard Sf", che a me,
personalmente, raramente soddisfa. È sostanzialmente diviso in due parti, la
prima riguarda un ipotetico film svizzero "Preparazione alle
tenebre", che mostra un'ipotesi sulla sorte sconosciuta del Cygnus, con
esplosione finale e morte dei due astronauti. La seconda è un altrettanto
ipotetico articolo di uno scienziato sconosciuto che, sebbene ironizzi sugli
scrittori di Sf, fa un'ipotesi decisamente fantascientifica. Tale ipotesi, c'è
da dire, è alquanto cretina, e non è il caso di riferirla. L'unico elemento che
risulta divertente è l'ironia, l'autoironia della Sf sulla Sf, e quella
macchietta dello scienziato fiorentino decisamente pieno di sè, di hybris, col
suo articolo pieno di castronerie. Se leggerete l'introduzione dello stesso
autore troverete indicazioni assolutamente dissimili: "...cupo e
pessimista...", "...difficoltà di lettura..."; "sarebbe
stato meglio farne un romanzo". Considerazioni da cui non posso non
dissentire; pessimismo non ce n'è: dove starebbe? Nella morte presunta dei due
astronauti, neppure enfatizzata in tale senso? Nell'impossibilità di
raggiungere la velocità della luce? Nei dialoghi fra i due, più che altro
patetici? Difficile a leggersi non lo è, al limite sono i termini scientifici
che si possono conoscere o non conoscere, ma non tutti sono funzionali alla
trama che risulta, dopotutto, di difficile lettura, nel senso di scorrevolezza.
In quanto al romanzo...chi può dirlo? Giusto l'autore; e chissà, magari i
risultati avrebbero potuto, in effetti, essere migliori. Comunque un buon
romanzo che ironizzi in modo intelligente la hard Sf, la Space Opera, è già
stato scritto; è "Oltre Apollo", di Barry Malzberg, veramente ottimo.
Passando
al terzo numero, troviamo una scelta di ben quattro racconti.
Il primo
è "La seminatrice", di Maurizio Viano (anche in "Futuro
Europa" n. 21, ed. Perseo libri, '98; tradotto in tedesco come "Die
Saeerin", da Hilde Linnert, nell'antologia "Venice 2", a cura di
Wolfang Jaschke, ed. Heyne Verlag, '85; pagg. 138-49). Apocalittico, è narrato in:
"Un linguaggio limaccioso eppure luminescente, a mezza strada fra il
biblico e l'espressionista", come dice il curatore. La fine della razza
umana causata da "Déi (che) vengono dallo spazio", seminando ed
innaffiando "germi coscienziali", per i quali riaffiorano
dall'inconscio sia collettivo che personale, tutte le magagne, portando al
suicidio: "Il fatto è che ci ammazziamo.". I "semi
coscienziali", da un altro punto di vista, risultano essere anche le
informazioni sulla situazione testuale che man mano il Maurizio fornisce al
fruitore, in rapida successione. Fattore che risulta rilevante,
rappresentazione simbolica del senso di colpa ingiustificato, è il maggiolino
che accompagna uno dei protagonisti, ingrandendosi sempre più, simbolo della
sua unica colpa, l'uccisione, appunto, di un maggiolino.
Priseguendo
il nostro cammino ci attende "Disreali", di Pierfrancesco Prosperi
(tradotto in francese come "Le capitaine Disraeli", in "Fiction
Spécial" # 6, '64, traduzione di Romain Denis; pagg. 151-58), secondo ed
ultimo di questo autore ad essere qui compreso. Breve, scattante, è
innanzitutto un buon racconto, come l'altro di cui abbiamo parlato prima.
Scenario: una federazione galattica in cui: ...ogni razza ha i suoi
compiti..." e dei fantasmagorici Nemici da cui difendersi; e il compito
della difesa spetta proprio ai terrestri, i più combattivi dell'intera
galassia. Evento: un capitano decide di lasciare l'esercito; gli viene detto
che non può, che ogni singolo terrestre è militare, senza esclusione alcuna.
Elemento rilevante è la rivelazione finale che i Nemici non esistono, scoperta
preceduta da alcuni effetti di anticipazione: "Non creda di essere
l'unico. Ce ne sono stati molti come lei, anche se non ne hai mai sentito
parlare.". I nemici sono coloro che si ribellano al sistema, sottoposti ad
un terribile trattamento che li trasforma in macchine da guerra micidiali.
Dunque una guerra fantoccio, creata dal sistema per mantenere l'equilibrio
interno, proprio come nel libro di Orwell, anche se là trovavamo una
prospettiva decisamente diversa.
Per terzo
troviamo "Ritorno", di Gustavo Gasparini (anche in "Folla"
n. 8, '65, "Perry Rhodan" n. 40, ed. Solaris, '79, "Future
shock" n. 1, vecchia serie, '86, "Future schock" n. 12, '94; pagg.
161-66); avvincente ed apocalittico, ha il pregio di dare una visione
cosmogonica del nostro sistema solare assolutamente originale, anche se
totalmente inesistente, se osservata, caparbiamente, da un punto di vista
scientifico-razionale. Il feeling che regge il tutto consiste nella scoperta
progressiva della realtà interna del testo da parte del lettore, e,
conseguentemente, della concezione cosmogonica ivi descritta. Il finale,
catartico, smantella istantaneamente quell'ipotesi assurda che non si regge in
piedi e credo che sia uno stimolo adatto a far si che, più o meno
automaticamente, avvenga, nel lettore il raffigurarsi del modello di realtà
cosmogonica che l'essere ha raggiunto oggigiorno.
Quarto ed
ultimo di questa terza sezione, troviamo "Memoria totale", di Gilda
Musa (anche in "Delos" n. 45, '99; pagg. 169-84).
Resoconto di un crollo di nervi, potremmo dire, semplificando al massimo. E in
effetti così è; non esiste azione nel senso tradizionale del termine, tutto o
quasi avviene nello spazio interiore, nell'inconscio. Alcune pagine non possono
che ricordare "L'Ulisse" di Joyce, i flussi e riflussi di coscienza,
senza dubbio. Quanto ci sia, invece, di ballardiano, non saprei; Joyce, come
somiglianza, è più affine. È tutto tenuto sul monologo interiore, i fatti
esterni scarseggiano; soprattutto il fatto iniziale, minimale, che dà inizio
allo scorrere dei ricordi profondi, il rumore di una pentola piena di prugne
che bolle in cucina. La conversazione, poi, con il dottore di famiglia al
telefono, direi che viene a confluire con la corrente dei ricordi archetipici
della protagonista, Anna, in un giorno di ferie postlavorative. Di difficile
lettura, questo sì, veramente necessita di un buon grado di attenzione, di
concentrazione, forse, e, innanzitutto, di una flessibilità mentale notevole,
per lo meno buona, se su vuole apprezzarne il feeling, il significato. Si può
essere d'accordo più o meno o per nulla con i presupposti teorici che tale
opera presuppone, prevalentemente junghiani, ma è indubitabile che sono questo
tipo di novelle che hanno portato e portano un'aria nuova nella fantascienza,
spostandone l'attenzione da astronavi e mostri dello spazio esterno, a mostri e
fantasmi dello spazio interno, altrettanto e forse più sconosciuto di quello
che normalmente fa da sfondo alle storie di Sf. Tornando al raffronto con
Ballard, devo dire che mi trovo un pò indeciso, avendo, devo ammetterlo, letto
moltissimo dell'inglese e poco della Musa, ma comunque mi sembra che questo
racconto in particolare faccia meno uso di metafore, di allegorie, di simboli,
per arrivare ad un discorso forse più diretto; più vicino a quello che si suol
definire letteratura ufficiale. E la scomparsa Musa veniva proprio da
un'esperienza poetica, scriveva anche opere non di fantascienza, come,
d'altronde, anche suo marito, il curatore.
Quarta
sezione, altri tre racconti.
Si inizia
alla grande con "Trentasette centigradi", secondo ed ultimo racconto
di Lino Aldani qui compreso (anche in "Interplanet" n. 6, ed.
Dell'albero, '65, e in "Parabole
per domani", ed. Solfanelli, '887; tradotto in francese, nella traduzione
di Roland Stragliati, col titolo di "37° centigrades", in "La Sf
italienne", op. cit., e con quello di "Trent-sept degrees
centigrades" in "Le livre de la Sf italienne", ed. Presses
Pocket, '81, in spagnolo, col titolo di "Treinta y siete °C", in
"Anticipation" n. 5, ed. Ferma, '68, in russo, nella traduzione di
Lev Veršinin, col titolo di "Tridcat'n semì gradusovpo Celìsijo", ed.
Mir, '70, in rumeno, nela traduzione di Ion Hobana, in
"Fantascienza-Povestiri Italiene", ed. Albatros, '72, in tedesco,
nella traduzione di Hilde Linnert, col titolo di "Siebenunddreibig
Grad", in "Die Stimme der Undenlichkeit", ed. Heine
Verlag, '81; pagg. 188-222). Veramente
ottimo, narra di una società di un futuro prossimo, in cui gli enti di
assistenza medica pubblica divengono molto potenti, preponderanti, assillano i
cittadini con tasse, prescrizioni, azioni preventive di ogni genere,
pubblicità, controlli quotidiani e simili. In questo quadro si svolge la storia
di una ribellione individuale; un uomo, esasperato, decide di sottrarsi a tali
pressioni, e, cosa consentita per legge, di non usufruire dei servigi delle
mega-mutue. Ma la rivolta fallisce. Un buon esempio di utopia negativa, nella
maggior parte delle quali, possiamo trovare rivolte individuali; Orwell,
classicamente, ma anche Burgess col suo "1984-85", Bradbury col sue
"Fahrenheit 451", anche se in quest'ultimo, nel finale, si lascia
trasparire un'ombra di speranza, come d'altro canto anche qui, sebbene in toni
molto scoraggianti; una speranza che va di là di ogni ragionevolezza, di ogni
razionalizzazione. Lo stile, come ho già detto per l'altro racconto, è ottimo;
scorrevolezza e buona capacità di attirare l'attenzione del lettore.
Troviamo
poi "Tempo zero", di Riccardo Minuti (pagg. 226-41). In un centro di
ricerche segreto si effettua un esperimento sull'accelerazione degli elettroni,
ma un sabotaggio fa esplodere l'apparecchio con conseguente dilagare del
cervello di uno degli sperimentatori nello spazio-tempo e modifiche di fatti
storici; si scivola poi ad una sorta di giallo, con ricerca, scoperta e
punizione dei responsabili il sabotaggio. Piuttosto contorto, può risultare o
poco piacevole o avvincente, difficilmente, credo, può lasciare indifferenti, e
questo, credo, sia un pregio. Se avvince ne risulta un certo effetto di
complicazione-scioglimento anche gradevole; secondo me, però, non è scritto in
modo tale da attirare molto l'attenzione del lettore, che si trova a dover
cambiare repentinamente e troppo spesso prospettiva. A parte la non veridicità
scientifica, qui prevale la piattezza della soluzione finale, e la non
originalità del tema delle modificazioni storiche, trattato in modi migliori da
altri autori in numerosi romanzi e racconti che è inutile stia qui a citare
visto che ne conosciamo tutti quanti.
Terzo ed
ultimo racconto di questa quarta sezione, troviamo "Il contrordine",
ancora dell'Anna Rinonapoli (tradotto in ungherese come "Az
ellenparancs", "Galaktica" # 49, '83; pagg. 243-63). Innanzi
tutto c'è da dire che è decisamente migliore dell'altro, in quanto tratta un
argomento, l'utopia, decisamente più interessante che non la lentezza
burocratica. Un gruppo di giovani ha inaugurato un progetto, programmando un
megacomputer per realizzare il migliore dei mondi possibili e per far ciò si
sono basati sulla statistica. In un mondo in crisi e soprattutto per i messaggi
sublimali emanati dal calcolatore, tale progetto si realizza. I suoi ideatori
si pongono in stato di ibernazione, e il racconto ha inizio con il risveglio di
uno di loro, Walter; il resto lo apprendiamo per mezzo di flash back. Il
progetto fallisce. Il mondo è divenuto statico, nessuna spinta al
miglioramento, nessun progetto verso un qualcosa da realizzare. Praticamente il
racconto è interamente incentrato sulla scoperta progressiva di come stiano in
effetti le cose, di quali siano le divergenze, fra il mondo auspicato, quello
che Walter voleva, sperava di trovare, e quello che invece è divenuto. Direi
che il messaggio è l'impossibilità di realizzare il migliore dei mondi
possibili, o meglio, più che altro, non è possibile che sia realizzato da pochi
individui. Il fatto che è la statistica il punto in cui fallisce il progetto è
indicativo che l'utopia, in quanto tale, è unicamente un modello ideale a cui
tendere, sapendo però che il limite si sposterà sempre in avanti, o meglio, che
cambierà, potrà cambiare direzione, e che il concetto di mondo ideale, in
quanto concetto puramente metafisico, non è realizzabile concretamente se non
in maniera, appunto, parziale e sempre in divenire.
Eccoci
dunque giunti alla quinta e penultima sezione, nella quale troviamo altri tre
racconti. Fino ad ora abbiamo trovato anche racconti non molto validi, anche se
nella maggioranza, bisogna dirlo, le scelte si sono rivelate oculate; non
essendo poi a conoscenza dei testi esclusi non mi posso pronunciare
ulteriormente su questo punto.
Il primo
racconto è "Trentasette colonne di zeri", della Gilda Musa (pagg.
269-82), che, a conferma del suo buon livello di prosa, si pone come uno dei
migliori dell'intera antologia. Qui l'azione si svolge totalmente nello spazio
esterno, su di un'astronave, ma, al centro, troviamo l'uomo, con le sue paure e
le sue pulsioni; lo stilema fantascientifico astronave è qui utilizzato per far
risalire quelli che sono i sommovimenti dell'animo umano. Protagonista è
un'astronauta che è divenuto tale per amore, poichè la donna che ama e da cui è
amato ha idealizzato fortemente la figura dell'astronauta, e, praticamente, lo
costringe a farsi tale, per averla. C'è poi il fatto che lui soffre di...mal
d'astronave, di vertigini, di paura degli spazi siderali. La trama è improntata
sugli stilemi del giallo di stampo moderno, in quanto Nikol, il protagonista,
muore a metà racconto, come in Hitchock, sovente, scopriamo l'assassino
all'inizio o comunque prima che l'azione abbia termine; una struttura, dunque,
che non rispetta i canoni tradizionali e convenzioni della novel borghese;
situazioni di normalità, elemento disturbante, indagine, ristabilizzazione della
situazione di normalità, per mezzo della chiarificazione definitiva e del
rientro nei canoni del fattore deviante. Comunque questo è un argomento che
andrebbe sviluppato ulteriormente, in quanto credo sia piuttosto interessante.
Tornando a bomba a quanto si stava dicendo, gran parte del racconto è
costituito dalle successive indagini. Senza dire, chiaramente, di più sugli
esiti di tali indagini, mi sembra interessante notare come la Musa ponga in
primo piano la caritas, l'empatia; i colleghi di Nikol, chi più chi meno, erano
a conoscenza della sua posizione e lo aiutavano in ogni modo, con parole
consolanti o comprensive, o, più praticamente, dandogli una mano quando stava
male, e coprendo con una specie di omertà il suo malessere che, se scoperto, avrebbe
potuto provocare la sua estromissione dal viaggio, con conseguente perdita
dell'amante. Non dico altro; è tutto da leggersi, avvincente e allo stesso
tempo profondamente umano.
Segue,
poi, "Il saggio", di Massimo Pandolfi (pagg. 287-9); essenzialmente filosofico,
questo, più che un racconto è, appunto, un saggio. Un uomo medita, e
"continuava a meditare nella caverna" (un platonico, per caso?!), e,
attraverso vari passaggi, o, con una terminologia più adatta sillogismi
completamente assurdi, giunge a delle conclusioni altrettanto assurde; il fatto
è, però, che tali conclusioni, nel racconto (e qui stà la fantasticheria
specifica del brano) si realizzano concretamente attorno a lui, fino a vederlo
diventare unicamente entità astratta, ed unirsi a Dio. Estremamente stimolante,
risulta una lettura molto interessante, "anche in considerazione del fatto
che l'ha scritto non ancora ventenne" (Cremaschi).
Terzo ed
ultimo, eccoci dunque a "Le belle figlie di Madama Dorè", di Giuseppe
Pederiali (anche, col titolo di "La fontana", in "Cacciatore
torna a casa", "Gamma" n. 8, ed. dello Scorpione, '66,
"Robot" n. 43, ed. Delosbooks, 2004; tradotto in tedesco come
"Die schönen Töchter der Madame Doré", nell'antologia "Die
Labyrinthe der Zukunft", a cura di Lino Aldani, ed. Wilhelm Heyne, '84;
pagg. 292-304). Il nostro è autore, come saprete, di una serie di prestigiosi
romanzi di fantasy che hanno raccolto notevole successo, come ad esempio
"La compagnia della selva bella", edito da Bompiani. Il presente racconto
è sul dopobomba, e si inserisce, però, in suddetta categoria in modo
estremamente originale; tutto è normale, tutto tranne gli uomini, rimasti
deturpati gravemente nel fisico, nel senso che hanno subito delle mutazioni
genetiche. Il nucleo concettuale dell'opera stà nel fatto che Pederiali non
indugia mai nelle descrizioni di tali deturpazioni, creando in questo modo
quella necessaria sospensione dell'interesse che regge tutto il racconto. Non
esiste l'avvenimento saliente, o, per lo meno, esso è stemperato, non assume la
centralità che di solito assume in racconti di queste dimensioni; c'è il
tentativo molto poco convinto di far nascere bambini normali, che, normalmente,
fallirà; secondo me, alla fine, quello che emerge è, soprattutto,
l'adattabilità degli esseri umani, e, conseguentemente al fallimento di
quell'esperimento; a me sorge il pensiero che se, per disgrazia, l'umanità si
dovesse trovare in una tale situazione, l'unica via che si aprirebbe all'essere
inteso come l'insieme dei singoli, sarebbe quello di un lento ma inevitabile
mutamento del concetto di bellezza, che è pur sempre relativo, e che, quindi,
con gli anni, potrebbe trovare un suo nuovo equilibrio. Aggiungo a queste
annotazioni ancora una considerazione: la prima parte del racconto è costruita con
una struttura a detection, in cui l'autore elargisce con parsimonia elementi
che finiscono per creare lentamente il fondale dell'azione della seconda parte.
Ultima
sezione, comprende due racconti entrambi pubblicati originariamente sul numero
6 di "Futuro".
Dei numeri
sette e otto Cremaschi non ne ha selezionati neppure uno; di questo fatto,
riguardo al numero sette, dà questa spiegazione: "...racconti seri e
problematici, ma privi di quel senso del peccato (voleva forse dire sense of
wonder?, n.d.a.) che la migliore fantascienza, in Italia o all'estero, ha
sempre portato con se."
Del numero
otto dice: "Il fascicolo non ebbe nessuna eco. Perfino molti collezionisti
non ne ebbero mai notizia. Riccardo Valla, quando nel 1973 traccerà una
puntualissima trenodia della rivista, ignorava l'esistenza del numero
otto."
Il primo
dei racconti tratti dal sesto fascicolo è "Homini erecti", di Teodoro
Giuttani (pagg. 311-6). Più che altro ricorda un pò la scena iniziale di
"2001 odissea nello spazio" di Kubrick; nella preistoria in un branco
di homini erecti c'è un esemplare singolare, un "homo eccezionale";
mentre gli altri grugniscono e, in genere, si dedicano a passatempi piuttosto
grossolani, più vicini all'animalità che all'umanità, il nostro è decisamente
più intelligente: tutta la trama è rivolta a dimostrare ciò. Può essere letto
come nascita dell'intellettuale, linea interpretativa suggerita da Cremaschi
nell'introduzione; io direi piuttosto che è piacevole a leggersi ma che
scarseggia in quanto a contenuti: un inno all'evoluzione, o, più semplicemente,
un buon racconto sulla preistoria.
Secondo
della sezione ed ultimo dell'antologia, ecco infine "Tempo
d'elezioni", di Riccardo Leveghi (pagg. 319-25). Italia, un futuro
imprecisato (si parla di 1991 o di 2091 o che?), propaganda elettorale di
strani partiti che in qualche modo, inevitabilmente, si tende a comparare a
quelli attuali. Non si dice propaganda elettorale, ma pubblicizzare, il limite
d'età è otto anni, cronistoria affrettata di successioni al potere; il protagonista
va di porta in porta, di famiglia in famiglia a pubblicizzare il suo partito.
Scialbo, privo di idee originali, innanzitutto, ma solo di pseudoidee per nulla
interessanti. Sembra di intuire che potrebbe trattarsi di un'antiutopia, che
Leveghi voglia dir male del futuro che prospetta, ma se questa era la sua
intenzione l'ha fatto senza incisività; non la si rileva poi molto. Più che
altro a me sembra un abbozzo di una possibile situazione politica futura,
decisamente riuscito male. Peccato che questa antologia che, come abbiamo
visto, contiene prevalentemente testi validi, debba finire proprio con questo
brutto racconto.
Originariamente in "The Dark Side" n. 1, anno 5°, '86
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