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Bàrnabo delle montagne


di Dino Buzzati-FANTASTICO

"I Garzanti" n. 442, ed. Garzanti, '77, "Oscar narrativa" n. 1416, "Scrittori italiani", ed. Mondadori


Altri contributi critici

-"Invito alla lettura di Buzzati", di Antonia Veronese Arslan, "Invito alla lettura" n. 23, ed. Mursia, '74, pag. 53

-Al "Caffè Letterario" di Milano si è tenuto, il 29 gennaio 2002, un incontro con Marcella Borghi su di esso

-vedi il mio "Il realismo magico di Buzzati"


Fu questo il primo lavoro letterario di Dino Buzzati; esso non può ancora essere definito romanzo, ma piuttosto racconto lungo, che del racconto ha la struttura narrativa e la trama. Valutato dalla critica in disparati modi, rimane comunque indispensabile lettura per chi voglia addentrarsi nell'universo buzzantiano.

È una storiella leggera, con una "struttura narrativa molto esile", come ebbe a dire lo stesso autore, una storia che però oltre alla trama spicciola racconta molte altre cose. La storia è semplice: Bàrnabo è un guardiaboschi, e insieme a pochi suoi compagni monta la guardia ad una vecchia polveriera, poichè si sa che sui monti si nascondono dei briganti. Un giorno un vecchio guardiaboschi viene ucciso, ed iniziano le ricerche. Quando ormai sembra tutto inutile, e quasi ci si è dimenticati dell'assassinio, viene avvistata una colonna di fumo che sale dalle crode più inaccessibili dei bricchi, e Bàrnabò sale a vedere con il suo compagno Berton; nulla.

Ma i briganti assaltano la polveriera, ed è in quel preciso momento che accade qualcosa alla vita di Bàrnabo; egli commette un atto di viltà, poichè invece di combattere fugge davanti all'aggressore. Viene allontanato dal servizio di guardaboschi, e andrà a lavorare da un suo cugino in pianura, a fare il contadino. È un vero e proprio esilio, e alla fine decide di ritornare alle sue montagne. Ma là tutto è cambiato, i guardaboschi ora risiedono in paese, e la polveriera è stata abbandonata. A lui viene affidato il compito di guardiano della casa dei guardiaboschi. Lì ritrova la felicità, e quando, alla fine, i briganti tornano per l'ultima volta, pur potendo ucciderli tutti, rinuncia alla vendetta e al trionfo.

Quest'opera racchiude in sè gli elementi futuri del discorso letterario di Buzzati, anche se non ancora esplicitati completamente nel suo tipico simbolismo. La storia acquista il suo vero sapore, la sua giusta dimensione, nell'atmosfera magica, al di fuori del tempo, in cui si svolge; benchè alcuni particolari lascino intuire che la vicenda si svolga nel primo decennio del secolo, è proprio questa una, come dicevamo, di quelle ancora larvate caratteristiche che rendono l'universo letterario buzzantiano una delle più vaste riserve di immaginario della letteratura italiana.

Nella prima parte, che descrive la vita dei guardiaboschi, già si notano le singolari presenze che animano gli elementi del paesaggio di una propria vita e il senso angoscioso del trascorrere del tempo: "Il sole si leva dalle grandi cime, gira sopra la casa dei Marden, e tramonta dietro il colle verde. Soffia il vento della sera, portando via un'altra giornata." (pag. 7); "Senza che nessuno vi faccia caso, il tempo continua a passare; siamo già verso l'autunno e molti ricordi vanno perduti." (pag. 34).

I rapporti interpersonali tra i guardiaboschi sono descritti con una lucidità eccellente, così come con un certo realismo viene descritta la festa del paese per l'inaugurazione della nuova casa dei guardiaboschi. Comunque il realismo di quest'opera prima è solo un residuo che verrà successivamente abbandonato; Paul Guiton parlava di "freschezza e realismo dimostrati dallo scrittore nella descrizione dell'ambiente alpino."

Altro elemento che risulta di primaria importanza è il prefigurarsi del tema simbolico della montagna, che traspare ad ogni istante, riempiendo ogni atto ed ogni azione in sua funzione. È una presenza incombente, magica, in cui si agitano presenze misteriose, che incute timore e reverenza, è implacabile desiderio di capire, di svelare, di scalare le sue crode inaccessibili proprio sulle quali sembrano manifestarsi i suoi misteri; altro elemento, questo del simbolismo, che rende quest'opera decisamente meravigliosa, di un favolismo che non utilizza quasi mai quelli che sono i meccanismi che siamo soliti ritrovare nelle opere etichettate fantasy, ma che, senza dubbio, lo permea in tutta la sua struttura: "Bàrnabo... sente come non mai la vicinanza delle montagne, con i loro valloni deserti, con le gole tenebrose, con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre che nessuno potrà dire mai." (pag. 122). Dicevo "quasi"; leggete un pò qua: "Tanti anni prima, nei boschi, si trovavano una specie di piccoli spiriti. Del Colle (il guardiaboschi ucciso dai briganti) li aveva ben visti qualche volta. Così leggeri, verdi come il prato, potevano essere stati loro a impedire i lavori della strada? Certo è che con i colpi di fucile, uno sparo oggi, uno domani, con l'arrivo dei lavoranti, con i rimbombi delle mine, gli spiriti della foresta forse erano stati disturbati e chissà dove si sono nascosti... Del Colle tira fuori di tasca una piccola armonica (...) Gli spiriti amavano quelle canzoni e dopo un pò... comparivano tra i tronchi." (pag. 19).

Questo è il punto culminante della trama, il preciso momento attorno a cui ruota l'intera vicenda, concentrato in un'unica pagina, di una concisione allucinante, in cui si avverte tutto il senso dell'impotenza, dell'irreparabile, del fato maligno. Così Buzzati ci scaraventa, dopo una cinquantina di pagine di narrazione pacata, nell'azione frenetica di quegli attimi: "Oltrepassato il contrafforte, Bàrnabo scorge quattro individui coi fucili che strisciano verso la polveriera". L'azione precipita, un brigante giunge alle spalle di Bàrnabo, e lo minaccia con lo schioppo. Ed ecco il momento, terribile e allucinato: "Un tremito nelle gambe. La lingua che non riesce a muoversi. Bàrnabo si ritira qualche passo, si getta dietro un lastrone. Si sente paralizzato dalla paura, se ne rende perfettamente conto, mentre si moltiplicano vicini gli spari." (pagg. 59-60).

Ed è tutta qui la sua vita, spazzata via dalla sua inabilità di cogliere il momento.

In altri termini, quindi, un sentimento di scoramento di fronte al già accaduto, una visione del passato come fatalmente condizionante il presente ed il futuro, dato proprio da quell'accadimento repentino; una decisione da prendersi in una frazione di secondo, lo sbaglio, e il segno che esso poi lascia per tutta la restante vita; non vi è rimozione, troppo importante, emotivamente, il cambiamento provocato, troppo legato a quelle montagne, quella gente, quei dirupi perchè ciò possa avvenire, in lui.

Tornando, comunque, al testo, dopo l'esilio, ad accompagnarlo nella sua nuova vita, solo una cornacchia, quella che, involontariamente, l'ha scaraventato nella rovina. In essa sembrano riflettersi gli stati d'animo di Bàrnabo, e può risultare interessante andare a rivedere in che modo sia entrata nella vicenda. Stava scendendo da un'ennesima esplorazione in cerca dei briganti, sulle crode, quando vede la cornacchia, ferita, su un masso; si ferma a curarla, perdendo quegli attimi che gli avrebbero permesso di giungere in tempo alla polveriera per la sparatoria. Poi la cornacchia lo seguirà sempre, fino a che gli si affezionerà.

Interessante notare come la sua vita in pianura praticamente non esista, come egli viva solo e unicamente in uno stato di interiorizzazione completa, in cui nulla significano i propri compiti quotidiani, tutto teso a vivere nel ricordo, nella tensione a quella vita perduta, che viene idealizzata.

Il tempo corre via con una velocità vertiginosa, agghiacciante, resa artisticamente con una tecnica che Buzzati applicherà poi anche nel "Deserto dei Tartari", e cioè con il susseguirsi di brevi capitoletti distanti l'uno dall'altro mesi e anni, che bene esprimono lo stato interiore sopra indicato. E la cornacchia, giorno dopo giorno, perde forze, si debilita, e sempre più insistentemente punta lo sguardo verso le montagne, finchè un giorno, con uno sforzo supremo, spicca il volo verso di esse. E anche Bàrnabo torna; là tutto è cambiato, o, meglio, sono cambiate le cose degli uomini: "Ecco la casa dei Marden. È diventata ancora più vecchia" (pag. 110); ma le cose vere, la natura, no: "Guardò insistentemente le pareti corrose e verticali, toccò con le mani i tronchi degli alberi, ascoltò con piacere i ben noti rumori. Nulla davvero era mutato." (idem).

Nella vecchia casa, da solo, crede di aver ritrovato la pace, ma: "Ma ormai non si sente più tranquillo; continua ad aspettare qualcosa, come aveva fatto per anni e anni. Deve venire il 25 Settembre, arriverà bene la sua giornata." (pag. 112). Aspettando qualcosa, sempre, come sempre, una delle angosce della poetica buzzantiana, così umana e così vera. Lì cerca con tutte le sue forze di ritrovare l'atmosfera dei bei tempi, quel qualcosa sui cui aveva fantasticato quando era in pianura, va alla polveriera, e i ricordi scorrono in lui, e in un momento di sconsolazione tenta addirittura di recitare un turno di guardia, come se il tempo fosse tornato indietro, ma: "Per quanto si sforzi, neppure nelle giornate più belle Bàrnabo sa ritrovare la bellezza di certe mattine quando era guardiaboschi." (pag. 113); "Sembra che il tempo ci metta tanto a passare e poi invece fugge come il vento.", e giunge il 25 Settembre, giorno in cui i briganti avevano detto di tornare.

Gli altri guardiaboschi, che avevano promesso di raggiungerlo, non si fanno vedere, provocando un suo scatto d'ira. Ma c'è un fuoco sulle crode, il fuoco dei briganti, ed è: "...come se egli si fosse liberato da tutti gli affanni." (pag. 123).

Eccolo, sulle crode, ad aspettarli: "Per sè, Bàrnabo davvero non sente il bisogno di prendersi una vendetta" (pag. 128); "Sarà invece la sua vittoria; i nemici precipitati nel fondo, il suo ritorno al paese, il racconto meraviglioso. Il racconto, proprio il racconto. Egli ci tiene a poterlo narrare ai compagni; ed è tutto qui, c'è poco da dire." (pag. 127).

E alla fine arrivano, ed ecco che di nuovo assistiamo al dilatarsi del tempo, al suo fermarsi, in un preciso momento, e la grande vittoria, il rompersi di un incanto: "Stavolta non è per paura, ma qualcosa è rimasto indietro insieme con la fuga del tempo. Bàrnabo, in silenzio ha un sorriso, il suo fucile si abbassa, le sue mani si sono allentate." (pag. 129).

Tutto è riparato, l'evento è compiuto: "Le montagne sono nascoste ma si sentono vicine; sono immobili e solitarie, sprofondate nelle nubi." (pag. 132).

Bàrnabo, in effetti, non è un personaggio, non ha caratteristiche personali, individuali, di uomo singolo, ma è un tipo, un ricettacolo di sensazioni e di vite multiformi, in cui non ci si può immedesimare, ma nel quale si sentono vibrare sensazioni che sono dell'Uomo.

Ne è stato tratto un film omonimo.


originariamente in "The Dark Side" n. 4, anno 4°, '85






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