Recensione di Antonio Scacco a "Città di stelle"
Gregory Benford, Città di stelle (Beyond Infinity, 2004), "Urania" n. 1512, luglio 2006, Mondadori, Milano, pp. 310, € 3,60
Come dichiara lo stesso autore nella postfazione, il romanzo è la continuazione di Against the Fall of Night, la prima versione di La città e le stelle di Arthur C. Clarke. Sulla falsariga del suo modello letterario, la vicenda è collocata in un futuro lontano da noi miliardi di anni, durante i quali si sono succedute sulla Terra, sia per effetto di mutazioni genetiche artificiali, sia a causa delle leggi dell'evoluzione, di cui Benford è convinto assertore, miriadi di specie umane: i Naturali, gli Oscurantisti, gli Accelerati, i Fabbricanti, i Compatti, gli Esteti, i Signori della Materia... Il ricordo di tutte queste specie è conservato, assieme al loro DNA, nella Biblioteca della Vita, che è custodita da una razza di superuomini, i Supra, anch'essi frutto di un'avanzatissima ingegneria genetica. A sua volta, il sistema solare p stato completamente cambiato. Il Sole è stato spostato nei pressi di un'altra stella con la conseguente mutazione dello scenario delle costellazioni delle notti terrestri. Tutti i pianeti sono stati resi abitabili e la vita ha avuto uno sviluppo rigoglioso. Lo spazio non è più una fredda e minacciosa distesa vuota, ma è popolato da creature, sintesi del mondo animale, vegetale e tecnologico, dalle dimensioni colossali e dalle funzioni straordinarie: la Girandola, un mediatore tra l'atmosfera terrestre e lo spazio; il Giona, simile a un fico d'India e grande quanto una montagna, creato per trasportare materiale biologico verso il Leviatano, grande quest'ultimo come una catena montuosa e destinato alla diffusione della vita nel sistema solare.
Dietro tanto progresso, si cela però una storia di distruzioni e di morte.
L'insaziabile brama di conoscenza ha spinto, un giorno, gli uomini a creare, con l'aiuto di una razza aliena, una creatura dalla smisurata intelligenza, il Maligno (si veda il Vanamonde di Clarke), che realizza, si, il progetto per cui è stata creata: la "comprensione finale" dell'universo, ma che poi decide di tenere per sé la scoperta e di eliminare "ogni intelligenza capace di arrivare allo stesso risultato" (p. 196).
Dopo innumerevoli massacri e devastazioni di intere galassie, gli uomini, con la collaborazione degli alieni, riescono ad imprigionare il Maligno in una prigione temporale, il Multipieghe; ma la lotta li ha lasciati esausti e scoraggiati e decidono di abbandonare la via delle stelle e vivere confinati sulla Terra. Con il passare del tempo, la loro voglia di vivere si estingue e a custodire il loro ricordo rimangono gli ultimi esemplari delle loro manipolazioni genetiche: i Supra. Questi, un giorno, decidono di far ritornare la Terra alle condizioni primigenie, di ricoprirla di boschi e di ripopolarla con la specie umana più vicina a quella antica: gli Originali, tra i quali una donna, Cley, presto si distingue per spirito di iniziativa e intelligenza.
Ma il progetto non piace al Maligno, che nel frattempo è fuggito dalla prigione temporale e tenta di sopprimere gli Originali, soprattutto Cley, che è dotata di un potere speciale, in grado di annientarlo. La donna, aiutata da Cercante, un procione geneticamente modificato, che le fa da aio, da fonte di informazione e da guardia del corpo, prima si nasconde tra i boschi terrestri, poi fugge nello spazio e trova rifugio nelle viscere del Leviatano. Qui, avviene lo scontro finale con il Maligno, che è immane e coinvolge anche creature provenienti da universi quadridimensionali. La vittoria è di Cley, che così può dedicarsi serenamente a far da guida alla moltitudine di Originali, che i Supra vanno man mano sfornando dai loro laboratori di genetica.
Romanzo di non agevole lettura per l'affastellarsi di teorie cosmologiche, fisiche, biologiche e genetiche. Gli scenari surreali e rutilanti e le bizzarre creature che li popolano dovrebbero, nell'intenzione di Benford, accendere l'interesse del lettore, ma in realtà lo lasciano piuttosto freddo. Per niente convincente è la teoria della continua autocreazione di specie umane, su cui si basa Città di stelle. Non solo non ha una base teologica: l'uomo come imago Dei non può essere geneticamente modificato. Ma non ha neanche una base razionale. Scrive il filosofo tedesco R. Spaemann: "A servizio di quali scopi, dovremmo porre questa ricostruzione? Un tale mutamento della natura, al fine, per esempio, di migliorare l'idoneità al soggiorno nello spazio, significherebbe degradare gli uomini futuri a semplici mezzi". Dietro la mistica del genoma umano, che spinge Benford ad immaginare la creazione, nel futuro, di una Biblioteca della Vita, una sorta di santuario laico custodito da un altrettanto laica confraternita di esseri geneticamente modificati, c'è la pretesa di conferire al genoma umano tutte le qualità tradizionalmente attribuite all'anima. Ma l'uomo, ridotto a puro e semplice meccanismo biologico, non può che perdere la propria dignità e diventare la cavia di spregiudicati esperimenti eugenetici, che pensavamo solo un triste ricordo dei regimi dittatoriali nazisti e comunisti, mentre oggi ritornano in forma subdola e pervasivi.
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