Recensione di Marcello Bonati a "I viaggiatori di Jespodar"
Robert Silverberg, I VIAGGIATORI DI JESPODAR (Kingdom of the Wall, '93), I romanzi Sonzogno, '93, (trad. A. Di Gregorio); 333 p. -28000 lire
È, questo, il più recente romanzo di Silverberg tradotto; è uno science-fantasy molto ben riuscito, che racconta di un pianeta sul i Terrestri vanno a stabilire una base, cosa che crea una credenza, un mito, per il quale gli abitanti dei villaggi di quel pianeta intraprendono un pellegrinaggio annuale alla vetta del monte ove credono risiedano gli Dei. In realtà i loro Dei sono i Terrestri, che rivelano al Primo Scalatore, il primo che osò infrangere la proibizione divina di salire alle loro alture, da cui non potevano scendere per una questione di densità di atmosfera: "... avevano vietato la scalata alle alture raccontando che Sandu Sando il Vendicatore ci aveva cacciato un tempo e ora ci proibiva di ritornarvi." (pag. 309), molte preziose tecniche e cognizioni che permisero a quegli alieni di migliorare di molto il livello di qualità della vita: "Egli apprese da loro l'uso del fuoco, e la tecnica per costruire utensili, per raccogliere le messi e fabbricare solide case, oltre a molte altre utili cose." (pag. 10).
Il romanzo è la narrazione di uno di questi pellegrinaggi, che parte, appunto, dal villaggio di Jespodar. Questi alieni sono antropomorfi, ma con delle caratteristiche fisiche essenziali molto differenti; la più rilevante a che sono normalmente asessuati, e che assumono gli attributi sessuali solamente quando desiderano accoppiarsi: "… sapevo che se l'avessi toccata fra le cosce, non avrei trovato un'apertura ad attendermi. Era completamente neutra e intenzionata a rimanere in quello stato." (pag. 91).
Altre differenze, il loro essere dotati di ventose alle mani, anche differentemente strutturate in quanto a dita, e di poter, seppure con fatica, trasformare volontariamente alcuni loro arti. La loro vita media, poi, e sui quarant’anni.
Un'altra cosa denotante il loro basso livello di conoscenza, è che ritengono che il loro pianeta sia piatto: "... anche un bambino può dirti che il mondo è piatto... dovetti riconoscere che riuscivo a intravedere una leggera curvatura in lontananza, vicino all'orizzonte." (pp. 98-99). Moltissimi i miti e le leggende che permeano la loro cultura: "Gli altri noi stessi, perfetti e invulnerabili. Vivono nel Mondo Doppio che pende dal cielo e tocca le pendici più alte del Mondo." (pag.105).
Il racconto è costellato di innumerevoli strane creature, abitanti di molti reami, vedi il titolo originale, che si trovano alle e sulle pendici del Kosa Saag. Ci sono gli elfi del vento, con: "… corpi non molto differenti dai nostri, ma molto piccoli e delicati, come infantili, morbidi e flosci, dalle braccia esili e dalle gambe di nano... quei piccoli corpi infelici pendevano da enormi ali pelose, dall'ampiezza straordinaria e dalla grande potenza, che li tenevano sospesi nell'aria, in una sorta di lieve, quieta planata." (pp. 129-30); i Liquefatti: "... esseri deformi oltre ogni immaginazione... non ve n'erano due simili tra loro." (pag. 133); i Grandi Nove, i Re dei Liquefatti, Elfi del vento succhiasangue; la Kavnalla: "Una feroce creatura del Muro. Un'entità che è stata posta in questo luogo per deviare i più deboli dal loro cammino... Un essere gigantesco; un parassita. un nemico del genere umano." (pag. 218); i Trasformati del reame della Kavnalla, : "... esseri lunghi e bassi, dalle membra allungate, che servivano loro per spingersi in avanti lentamente" (pag. 222); e quelli del reame del Knuz, : "Pellegrini che hanno perso la strada. Arrivati fin qui non sono più andati oltre e hanno lasciato che il fuoco di Mutamento li riplasmasse a suo piacere. (...) Le gambe erano piccole e rattrappite e visibilmente muscolose, e terminavano con minacciosi artigli ricurvi. Nudo e glabro, la pelle incolore formava delle pieghe che gli pendevano dal corpo che era scarno e informe. Il muso, invece, gonfio e distorto dalla paura e dall'odio, era tutto occhi e bocca, le nari ridotte a fessure e senza nessuna traccia di orecchie." (pp. 238-9); i trasformati della Fonte della Vita, : "Ci andiamo ogni cinque anni, o anche più spesso se vogliamo, vi entriamo e ne usciamo fuori come ci vedi adesso." (eternamente giovani, n.d.a; pag. 276); le creature al servizio del Sembital, che non si sa che cosa sia.: "... i loro arti erano... estremamente allungati e deformi... in mezzo a questa struttura di lunghe membra ossute, piccoli, esili corpi pendevano come un'appendice... gente del tutto pacifica" (pp. 228-9); la gente degli Alti Reami che, : "…avevano spinto la loro capacita di mutare la nostra forma oltre ogni immaginazione, e lo avevano fatto volutamente e in perfetta coscienza... questa gente ave(va) mutato sé stessa dall'interno, per libera scelta." (pag. 266). Quel pianeta è chiamato dai suoi abitanti Mondo, ed è orbitante in un sistema di stella doppia, tra i soli Ekmalios e Marilemma. Sebbene ci sia un tentativo di esplicitazione simbolica da parte del capo-protagonista-narratore dell'attraversamento dei primi reami, : "La Kavnallaera il luogo della più miserevole impotenza, il Sembitol, il Reame dell'ottusa perdita della coscienza, il Kvuz, infine, quello del più totale e squallido isolamento dello spirito." (pp. 240-1), è fin troppo esplicito il significato simbolico del racconto; è un viaggio iniziatico dall'ignoranza delle credenze fasulle alla conoscenza della realtà. Particolarmente interessanti gli ultimi capitoli, in cui i pellegrini, una volta appresa la verità, subiscono un doloroso travaglio interiore, per arrivare, dopo aver, simbolicamente molto significativamente, uccisi i falsi dei, arrivare ad accettare la realtà, e ad apprezzarne i lati positivi.
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