Gibson: "Addio al consumismo, meglio la spazzatura"
Pubblichiamo parte dell'intervista di Sandro Veronesi a William Gibson, che andrà in onda questa sera su Rai-Tre a «Magazzini Einstein»
Quando finisce la vita delle cose? È un problema di proporzioni colossali, ormai.: che si pone innanzitutto in termini pratici, con le valanghe di immondizia che si riversano ogni giorno sul nostro pianeta, ma che ha il suo risvolto filosofico, come per gli esseri viventi. L'arte, in questo secolo, è stata terreno di sperimentazione costante per l'acquisizione di una coscienza nuova sulla reale vita delle cose, tanto che ormai che nella nostra cultura iperconsumistica pare essersi affermato un precetto. tutto moderno: il consumo degli oggetti, la loro decadenza, non significano più la loro morte. Al contrario, proprio l’obsolescenza finisce a volte per diventare un valore.
Uno degli scrittori che ha per primo affrontato questo tema è William Gibson: le sue antenne di marziano, che gli hanno fatto prevedere il cyberspazio e il mondo digitale, lo hanno anche orientato fin dai suoi primissimi scritti verso uno scenario nel quale il già consumato prevale sul nuovo, in un suggestivo miscuglio di decadenza e nuovo romanticismo che sembra diventato il segno nel quale l'immaginario occidentale si appresta a esaurire secolo e millennio. Ed è molto contento, Gibson, di parlare di questo, una volta tanto, e non solo di fantascienza, tecnologia e cowboy cibernetici.
Quando, nel 1980, lei scriveva di Rubin, il gomi non sensei, il «maestro dei rifiuti» che nel suo racconto Mercato d'inverno trasforma in arte la spazzatura, cosa aveva in mente? «Bè, predo che si tratti di un tema importante. È un elemento che dopo quella storia è diventato ricorrente nel mio lavoro.
Per come vedo oggi quella storia, penso che parli di due modalità conflittuali di fare arte. Una è quella di Rubin, del creare nuove cose con gli scarti che la nostra società produce a getto continuo. L'altra è rappresentata da Liz, l'artista, questa donna impedita fisicamente ma che, riesce a penetrare in zone della propria coscienza dalle quali estrae immagini di una purezza incredibile, poi le registra in modo che chiunque possa accedervi. Ed è un'idea estremamente romantica, questa, è proprio il concetto byroniano su che cosa debba essere un poeta; ma nel mio racconto lei è condannata mentre Rubin sembra abbastanza felice. Mentre lo scrivevo non ne ero del tutto consapevole, ma credo che in un certo senso stessi dicendo: "Io sto con Rubin. Non proverò l'altra strada. È un vicolo cieco"».
Ed è stato così? Ha poi effettivamente seguito processi compositivi di quel tipo? «In un certo senso si. Soprattutto i miei racconti vengono compilati in quel modo, mettendo insieme piccoli pezzi, cose rimaste per anni nel profondo dei ricordi e per le quali alla fine trovo un uso. Spero che al lettore si presentino in modo più unitario, più maneggevole di quanto non sia per me: a me appaiono ancora come dei patchwork di cianfrusaglie che ho accumulato negli anni, che ho messo insieme in modo bizzarro che alla fine cominciano a scappare via come storie compiute».
E crede che la società occidentale, quella dell'abbondanza, stia effettivamente imparando a sviluppare questa attenzione agli scarti e al già consumato? A prescindere dall'arte, intendo, crede che la vita degli oggetti stia tornando ad allungarsi? «In realtà noi viviamo in un mare di oggetti del genere. E credo che sarà sempre più difficile per noi credere nell'oggetto nuovo. Per quanto mi riguarda, non mi sento granché attirato dall'ultimissimo modello di un determinato computer, perché mentre torno a casa dal negozio posso sentire che sta diventando superato già nel bagagliaio della macchina.
In realtà e superato già quando arriva al negozio! Il brivido della novità e della primizia assoluta non fa per me, e mi piace pensare che questo atteggiamento si stia diffondendo sempre più nella nostra società, Vedo sempre più gente che, quando deve comprarsi un oggetto, va in cerea di qualcosa che funzioni davvero, che sia progettato per il suo scopo e che duri a lungo. Ed è un atteggiamento che mi piace molto più di questa produzione all'infinito di oggetti.
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