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La filosofia cyberpunk. La trilogia di W. Gibson


di Alberto Corda


Nel 1984 un giovane autore americano, William Gibson, vinse con Neuromancer tutti i maggiori premi dedicati alla Sf: il premio Hugo, il premio Nebula e il prestigioso premio in memoria di Philip K. Dick (1). Questi premi consacrarono una tendenza, uno stile, una scuola di scrittori che si battezzò "cyberpunk" e che ebbe poi, sino al giorno d'oggi, una vastissima fortuna. Essa si estese dal campo propriamente letterario alle aree più diverse: la filosofia, la politica, la vita quotidiana.

È noto che parole inventate dagli scrittori cyberpunk, e da Gibson in particolare, sono entrate nel linguaggio quotidiano: valga per tutte "ciberspazio", termine ormai adoperato, anche impropriamente, per indicare lo spazio informatico e telematico in generale. Partiremo ora dall'analisi del nome "cyberpunk" per poi esaminare le intersezioni tra questo movimento e certe particolari realtà. L'ultima parte del nostro saggio tenterà una ricognizione più approfondita della trilogia di Gibson costituita da Neuromancer, Count Zero e Mona Lisa Overdrive.

"Cyberpunk" è termine composto da "cybernetics" e "punk". Può sembrare una precisazione ovvia, ma non lo è. Difatti se andiamo a vedere le caratteristiche della cibernetica e quelle del punk, e le uniamo assieme, otteniamo già una descrizione accettabile del cyberpunk. Cibernetica, ossia scienza dell'informatica, dunque mondo in cui il computer assume una tale rilevanza da poter addirittura creare universi paralleli rispetto al nostro, e quasi altrettanto reali.

Punk, ossia senso della ribellione anarcoide e trasgressiva, come veniva praticata nella Londra anni Settanta dai musicisti e dal pubblico del punk rock.

Disagio urbano, vite al limite della delinquenza, colore da "maudits": tutto questo effettivamente accomuna punk rock e cyberpunk, ancorchè la musica ascoltata da Gibson sia il rap (che è d'altronde la musica del disagio metropolitano dei nostri giorni).

La fusione di tutti questi elementi ha certamente contribuito alle fortune del cyberpunk, al di là dei suoi meriti letterari, spesso contestabili e contestati (2). Qui, comunque, non ci soffermeremo sul valore propriamente letterario di Gibson e del cyberpunk, giacché possiamo concordare in buona parte con quel che ne ha scritto Renato Ghezzi nell'articolo ricordato in nota. Esamineremo ora il rapporto tra cyberpunk e politica, rapporto quanto mai controverso, perché, se è vero che nessuna opera letteraria è esente da un qualche contatto con la politica, è pur vero che il carattere quasi "militante" del cyberpunk può aver appesantito la produzione (ciò è evidente peraltro soprattutto nelle opere di Sterling, l'altro grande nome di questa tendenza).

Cyberpunk e politica

In un suo intervento (3), Bruce Sterling sembra prendere le distanze dal diretto coinvolgimento del cyberpunk nella politica. Sterling distingue molto opportunamente tra la produzione letteraria cyber e la politica. Il mondo degli hacker, i cosiddetti pirati informatici che si introducono nelle reti telematiche e rubano segreti dai computer, ha visto specialmente in Neuromancer una sua legittimazione. Il collegamento del cyberpunk con l'underground e i circuiti alternativi americani ha fatto il resto.

Specialmente in Italia, la scrittura cyberpunk è stata letta come una produzione politicizzata in un senso rivoluzionario, anarchico o anarcoide. Il libro di Sterling Giro di vite contro gli hackers e T.A.Z. (6) del teorico neoanarchico americano Hakim Bey hanno teso ad avvalorare quell'interpretazione. Comunque Sterling afferma, in polemica sia con chi vorrebbe una letteratura "morale" sia con chi la vorrebbe "antimorale": "Essendo un autore di fantascienza il mio compito non è quello di far sì che la gente si comporti come si deve, il mio compito è far immaginare la gente" (7).

Comunque, il risultato più interessante della connessione cyberpunk/politica sembra essere la progettazione di comunità telematiche, ossia comunità alternative di persone che non si incontrano se non nel ciberspazio, nello spazio informatico (8).

Cyberpunk e filosofia

Più interessanti sono, dal mio punto di vista, i rapporti tra il cyberpunk e il pensiero filosofico. Se, come ho già ipotizzato in un mio precedente intervento (9), la vera filosofia dei nostri giorni è la fantascienza, quale genere di concezione filosofica emerge dai romanzi di Gibson?

Certamente Gibson, memore della lezione dickiana, tende a presentarci un universo frammentato, incerto, plurimo: ma, a mio avviso, retrocedendo rispetto a Dick, reintroduce un concetto di 'realtà forte' distinta dalle 'realtà deboli' o 'virtuali' nelle quali i protagonisti dei suoi romanzi sono soventi immersi.

Infatti, laddove i personaggi dickiani fluttuano tra una dimensione del reale e un'altra sino a che la 'realtà prima' diviene 'realtà seconda' e viceversa, in uno scambio continuo delle parti, i personaggi di Gibson partono dal mondo reale, dalla 'realtà prima', e in essa tomano, fatto salvo il caso di certi personaggi che, morendo, rimangono in vita nella realtà virtuale, privi però di coscienza (10). Forse questa ostinazione gibsoniana nel riconoscere l'esistenza di un mondo reale oggettivo nasce da quella che altrove ho chiamato la sua superfetazione tecnologica (11), ossia il fatto che per Gibson la tecnologia è madre degli universi.

Per Dick la tecnologia era una metafora, per Gibson diventa il fattore fondante. Per Dick si crea un universo con le droghe o con l'immaginazione del singolo, per Gibson sempre solo con la mediazione della tecnologia. Dick avverte che Dio non ha bisogno di interfaccia per comunicare con gli umani (12); Gibson fa comparire a più riprese le divinità del vudu attraverso la matrice del computer e mostra una sorta di Dio supremo al quale si accede sempre per via informatica (13).

In conclusione, la concezione di Gibson sembra più legata ad una distinzione ferrea tra il reale ed il virtuale, nello stesso momento in cui si pone il virtuale al centro della propria attenzione. Si pone perciò il problema della connessione tra cyberpunk e realtà virtuale.

Cyberpunk e realtà virtuale

È stato il cyberpunk a ispirare la realtà virtuale? O è quest'ultima a venir riflessa nei romanzi cyberpunk?

In verità, sembra che l'idea prima dei sistemi di simulazione descritti da Gibson sia da ricercarsi più nei normali videogiochi e nel coinvolgimento totale che essi provocano in colui che ne fa uso. Orbene, i videogiochi costituiscono certamente una realtà virtuale, ma del tipo più semplice, quello in cui, "quando si gira la testa dallo schermo, si vede il proprio ufficio o la propria camera e non un'altra parte del mondo virtuale" (14). È certo interessante che Gibson, a partire dalla semplice esperienza dei videogiochi, sia arrivato a preconizzare la realtà virtuale immersiva, ossia quella in cui il soggetto si trova circondato dal mondo virtuale (15).

Negli stessi anni in cui Gibson scriveva le sue storie, la NASA iniziava i suoi esperimenti di realtà virtuale immersiva. Non è stata la prima volta che un autore di Sf ha previsto nuove dimensioni tecnologiche o sociali, ma il caso di Gibson è l'esempio migliore.

È difficile poi dire a quali scenari sociali futuri la realtà virtuale potrà condurci. La discussione tra coloro che vedono nello sviluppo di queste tecnologie un mezzo di liberazione e quelli che, al contrario, vi scorgono il segno del dominio sociale e del totalitarismo, e più che mai aperta. Ma, in fondo, questa discussione non riguarda direttamente il cyberpunk (16).

La trilogia di Gibson

Affronteremo qui non il problema del valore letterario delle opere di Gibson, ma il modo in cui in esse, sin dai titoli (tanto significativi in inglese quanto generalmente mal tradotti, o del tutto traditi, in italiano), la filosofia cyberpunk si presenta. Sui difetti letterari del cyberpunk si è pronunciato molto chiaramente Renato Ghezzi sulle pagine di questa stessa rivista (17). Ai difetti e limiti da lui ricordati vanno aggiunti i sospetti che, in qualche modo, il cyber abbia finito, al di là delle intenzioni di Gibson, per essere una moda, una tipica moda che tende a conformare tutto ai suoi clichés.

Dicevamo dunque dei titoli, di quelli in lingua originale beninteso.

Neuromancer (1984, tr. it. Neuromante, ed. Nord, 1991). Ossia negromante dei neuroni. Stregone dei neuroni. In riferimento alla possibilità, esplorata nel libro, di installare i sistemi di stimolazione percettiva direttamente nelle sinapsi neuroniche, insomma nel sistema nervoso.

Ma "neuromante" suona anche come "new romacer", ovvero nuovo romancero, per il carattere di romanzo d'avventura picaresca, sia pure in coloritura ipertecnologica e futuribile, che questo libro presenta. E ancora, forse, vi è un'assonanza con "new romantics", neo-romantico. Di sicuro il titolo è fortemente sovradeterminato, cioè possiede una molteplicità di significati.

Count Zero (1986, tr.it. Giù nel ciberspazio, Mondadori, 1990). Qui il titolo italiano, inutile dirlo, banalizza già, notevolmente. Conte Zero è il soprannome di uno dei protagonisti, un "cow boy della consolle" capace di immergersi "giù nel ciberspazio" grazie alle sue capacità e cognizioni informatiche.

Ma "count zero" evoca anche il "countdown", il conteggio sino a zero, "three, two, one, ... zero, liftoff!" che scandisce i lanci spaziali, le partenze delle astronavi verso lo spazio esterno.

C'è quindi un tentativo esplicito di Gibson di paragonare il ciberspazio, la nuova dimensione virtuale da lui celebrata, allo spazio esterno. Lo "spazio interno" di Ballard, cibernatizzandosi, diventa "ciberspazio".

Monna Lisa Overdrive (1988). Qui davvero la "traduzione" del titolo, nell'edizione italiana Mondadori del 1994 è un obbrobrio. Diviene infatti Monnalisa Cyberpunk. In altre parole, si mantiene la Monna Lisa del titolo originale, ma la si coniuga alla paroletta "cyberpunk", non sappiamo se in funzione di sostantivo o di aggettivo. Ma sicuramente in funzione di acchiappa-acquirenti, essendo nel frattempo il cyber divenuto anche una tendenza dominante e non solo nel mondo della fantascienza. È lecito deturpare così un titolo per motivi puramente commerciali?

Monna Lisa è un personaggio del romanzo, "overdrive" si riferisce forse all'accelerazione delle diverse storie che in quest'opera vanno verso la loro conclusione.

Difatti in Mona Lisa Overdrive si congiungono le storie dei due precedenti romanzi, che vanno così a costituire con il terzo una vera e propria trilogia.

Oggi, Gibson sembra aver abbandonato il cyberpunk. È stata probabilmente una saggia decisione, per un autore di grandi qualità che rischiava di rimanere impigliato in una facile etichettatura. Mi auguro, e tutti penso ci auguriamo, che egli sappia riconfermare anche in futuro le sue doti e correggere i difetti.


NOTE

1 S. Pergameno, Presentazione di W. Gibson, Neuromante, ed. Nord, Milano, 1991, p. 1.

2 R. Ghezzi, Due o tre cose che penso del cyberpunk, in "Future Shock", n. 10, 1992, pp. 6-11.

3 B. Sterling, Una dichiarazione di principi, in "Decoder Newsletter", n. l, 1994, pp. 1-2.

4 Cfr. AA.VV., Cyberpunk, antologia di testi politici, Shake ed., 1990.

5 B. Sterling, Giro di vite contro gli hacker, Shake ed., 1993.

6 Hakim Bey, T.A.Z., Shake ed., 1993.

7 B. Sterling, Una dichiarazione di principi, cit., p. 1.

8 M. Kapor, Un'autostrada attraverso le paludi, in "Decoder Newsletter", n. 2, pp. 1-2.

9 AC. orda, Philip K. Dick: fantascienza e filosofia, in "Future Shock", n. 11, 1993, pp. 9-12.

10 Cfr. W. Gibson, Monna Lisa Cyberpunk, Mondadori, 1991, pp. 248-251.

11 A. Corda, cit., pp. 11-12.

12. Philip K. Dick, Valis (Tractatus: cryptica scriptura), in La trilogia di Valis, Interno Giallo/Mondadori, 1993, pp. 229-214.

13 Cfr. W. Gibson, Giù nel cyberspazio, Mondadori, 1990, pp. 229-230.

14 Ibidem.

15 A. Pontis, Deus ex machina, in "Erbafoglio", n. 15, 1994, pp. 82-92.

16 Cfr. R. Ghezzi, cit..






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