Recensione di Enrico Barbierato a "Il pontifex Valentine"
Ancora un ciclo: si tratta della saga, epica e romantica, di Lord Valentine.
Peccato. C'è cascato anche Silverberg.
Nel numero 4 84 di TDS, il buon Claudio (Tinivella) affermava, con una certa sicurezza, che la Sf americana non è in crisi: spiacente, ma sono dell'opinione opposta. Direi che dal '76 gli autori d'oltreoceano hanno ridotto le loro capacità narrative ad una miserabile telenovela che, tra l'altro, li ha resi ricchi sfondati.
Sento già le proteste. E Martin e Wolfe?
Andiamo per ordine: questi due signori scrivevano già quindici anni prima, ed erano già del buoni scrittori; quindi non appartengono di fatto, alla Sf degli anni '80.
Potrei citare, al limite, il nome di Varley, che ha prodotto qualcosa di interessante; di Bishop; ma oltre ad una certa misura non si può andare. Poi vorrei che qualcuno mi spiegasse una cosa: com'è che una volta nessuno (o quasi) scriveva dei cicli: d'accordo, Asimov scrisse la trilogia "Foundation", ma si rivelò assai noiosa; C.L. Moore scrisse dei cicli fantasy, ma leggendoli si sente che nacquero dal cuore e non dal portafoglio: discorso analogo per Kuttner, Anderson, Vance e tanti altri.
Oggi si pubblicano romanzi-fiume, da quattrocento pagine e oltre, dei quali e preannunciato il seguito del seguito dell'attesissimo seguito …
Vediamo di capirci: è una storia vecchia come il cucco (modo di dire tipicamente piemontese, ci risulta ndr), lo adottavano gli sceneggiatori negli anni '50 quando lanciavano i serials alla TV: numerosi episodi non necessariamente concatenati fra di loro, pieni di luoghi comuni, e soprattutto senza fine (regola n l!) in modo da poter produrre un eventuale seguito in caso di successo.
Da allora non è cambiato nulla. Herbert, vecchio volpone, ha scritto 1500 pagine che potrebbero finire tranquillamente nello sciacquone, insieme alla produzione tardo-asimoviana. E veniano a Silverberg. Dopo "Il Castello di Lord Valentine", un simpatico jouvenile (forse un pò prolisso) , "Cronache di Majpoor", un'antologia più meditata, più matura; poi il tonfo colossale, assoluto.
“Il Pontifex Valentine" è un inutile seguito composto da 283 pagine, privo di forma, di trama, di personaggi.
Soro troppo caustico? Andate a leggervi "Dying Inside", "Nighwings" ,"Time of Changes", e ne riparleremo.
Come dire ai vari Silverberg, Farmer, Pohl che questa non è Sf? Chi vogliamo prendere in giro? Perchè la Nord insiste per spacciare il ciclo di Valentine come un capolavoro?
Eppure, qualcosa ci sarebbe.
L'editore Viviani, della Nord, aveva accennato ad Ellison, a "Dangerous Visions", ma tutto è caduto nel dimenticatoio.
Stesso discorso per "Crash", di Ballard, si dice che sia al limite del traducibile, eppure "Stand On Zanzibar" di Brunner è stato tradotto, e le difficoltà erano le stesse.
Continuo? Ma certo: si guarda con interesse il mercato USA, e poi si dimentica quello francese (tra l’altro florido), quello sovietico (che ci ha dato Solaris), quello italiano. Potrei sbagliarmi, lo riconosco: però dopo Tinivella, credo sia corretto sentire anche un'altra campana.
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