Lyon S. de Camp, un profilo
di Dario Tedeschi
Lyon Sprague de Camp, classe 1907, è fra gli scrittori maggiormente apprezzati e conosciuti nell'ambito dell'eterogeneo mondo della fantascienza e della fantasy.
L'immutato impegno e la sua costante passione, nonostante abbia già oltrepassato la soglia degli ottant'anni, fanno ancor oggi dell'autore di Villanova (Pennsylvania) il portacolori per eccellenza di quella generazione la quale ha vissuto in prima persona la tanto vagheggiata e favoleggiata «epoca d'oro» della fantascienza, un periodo che ci viene consegnato intatto, immutato, grazie alle imprevedibili sorprese che de Camp puntualmente riserva agli aficionados.
Come sempre accade, anche per il Nostro, l'accostamento alle stramberie della fantascienza avviene in modo casuale. Iscritto all'università, dove si laurea in economia ed ingegneria aeronautica, de Camp viene introdotto nei meandri dell'impossibile da un compagno di camera, il quale lo presenta a Schuyler Miller, con cui, durante i goliardici anni dell'università, scrive «Genus Homo».
E proprio a quel primo tentativo letterario è correlato l’immancabile, curioso aneddoto.
Inedito per lunghi anni, «Genus Homo» si è immediatamente presentato agli appassionati non appena Lyon Sprague de Camp si guadagna una buona notorietà grazie a «Lest Darkness Fall», la prima esperienza narrativa, di una serie destinata a divenire interminabilmente avvincente ed appagante.
L'esordio di de Camp risale tuttavia al 1937, su quella che tutti gli amanti del genere riconoscono all'unanimità come la prima rivista pulp che si distanzi dallo stile peculiare e diffusissimo di quell'epoca. Il riferimento è ovviamente per «Astounding Science Fiction», ossia quella palestra di fantascienza che nel '60 diverrà poi nota come «Analog». «Astounding Science Fiction» si proponeva di affascinare e divertire il lettore per mezzo di storie inconsuete, ed è su queste pagine, nel numero di settembre, che fa la sua comparsa un nuovo e promettente scrittore con il racconto «The Isolinguals».
Per la prima volta il pubblico si trova a scorrere la prosa divertente ed incalzante di Lyon Sprague de Camp: incondizionati consensi pervengono alla redazione.
E, probabilmente, ciò che distanzia de Camp dagli altri scrittori del genere, è proprio l'ironia unica contenuta nei suoi racconti, i quali non solo riescono letteralmente ad incatenare il lettore per quel continuo susseguirsi di colpi di scena, ma, nel contempo, a divertirli in maniera intelligente. Il culmine della fama, viene raggiunto dal Nostro nel '39 con «Lest Darkness Fall», un romanzo accompagnato da un costante successo che a quasi cinquant'anni di distanza fa sì, che in tutto il mondo, questo piccolo gioiello venga ancora ristampato. Esso rappresenta il primo fra i vari scritti di de Camp inerenti ai viaggi nel tempo ed alle relative problematiche.
Durante l'anno seguente il nostro colto autore inizia a pubblicare, unitamente a Fletcher Pratt, un fortunatissimo ciclo che vede nei panni di protagonista l'esilarante Harold Shea; ed è in questa serie che possiamo ritrovare ed apprezzare appieno il singolare umorismo, le capacità narrative e descrittive di de Camp. Il protagonista Harold Shea si muove, non senza difficoltà ora comiche ora terrificanti, in mondi immaginari scaturiti da altre immaginifiche penne. V'è, infatti, l'universo creato dall'Ariosto per «L'Orlando Furioso», il mondo delle fate di Spenser, le tanto ricorrenti tematiche della mitologia nordica, e mille altri ingredienti d'indiscussa attrattiva.
Quella fra de Camp e Pratt, si rivela come una delle più riuscite fusioni d'ingegni nel campo della fantascienza.
Al termine del '41 la brillante ascesa di Lyon Sprague viene interrotta dalla guerra, e nulla, o poco più, apparirà a sua firma sino agli anni '50, nei quali ritorna prepotentemente sulla scena con svariate opere. Non a caso risale ai primi anni '50 il ciclo «Viagens Interplanetarias», in cui la fantascienza viene abilmente miscelata con la fantasy.
Sempre risalenti ai medesimi anni sono libri che si distaccano dal semplice racconto, in quanto vengono dati alle rotative, nel biennio 1952-53, il mastodontico saggio su Atlantide e le civiltà scomparse, intitolato «Lost Continents», nonché il manuale per novelli scrittori, «Science Fiction Handbook».
Fra i fifties ed i sixties avviene anche il suo riavvicinamento alle avventure stilate da Robert Ervin Howard, già incontrate sin dall'epoca dell'università.
Come infatti racconta Sam Moskowitz, il Nostro apprende dell'esistenza di un baule contenente materiale di Howard, probabilmente la stessa cassa di cui ci parla Glenn Lord in «Il Mistero di Howard», testimonianza apparsa sul precedente numero di «Yorick».
Manoscritti, disegni, appunti, racconti inediti, passano dalle mani dell'agente letterario a quelle di de Camp che, dopo essersi acculturato sul mondo di Conan e sullo stile-Howard, inizia una meticolosa opera di revisione, la quale porta alla definitiva stesura, per l'entusiasmo dei numerosi appassionati di heroic fantasy, di opere incomplete. Lo scrittore di Villanova si sente talmente attratto dall'istrionica figura immaginaria di Conan, e da tutto il mondo fantasy di Robert Ervin Howard, da divenirne, unitamente a Glenn Lord, uno dei maggiori estimatori.
Presumibilmente ispirato dalle letture howardiane, de Camp indirizza i successivi sforzi prevalentemente in direzione dell'heroic fantasy, palesando altri singolari personaggi, fra i quali spicca la forte personalità, accomunata ad una grande carica comica, di Jorian di Iraz. Eroe ed antieroe nel medesimo tempo, Jorian vive in un universo assorto fra le modernità e le peculiarità primitive, rivelandosi, di volta in volta, avventuriero e spudorato mentitore alle prese con i portenti della tecnica odierna che allibiscono i più temuti maghi del passato. In questi ultimi anni Jorian ed altri personaggi che popolano i mondi immaginari del Nostro, sono ripresi dall'autore per introdurre nuove, mirabolanti peripezie.
Un'avventura, una vena letteraria, quella di de Camp, ancora ben lungi dall'inaridirsi, come peraltro dimostra la lettera inviataci dallo stesso autore, da noi interpellato, la quale viene proposta, con grande orgoglio, in questa stessa pagina.
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