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Riecco il barbaro


di Mariella Bernacchi


Alcuni numeri fa, Marcello Bonati chiuse la sua presentazione della fantasy di Lyon Sprague De Camp escludendo dalla trattazione le revisioni e i "pastiches" scritti da quest’autore sulle opere di Robert Erwin Howard, il "texano furibondo e suicida", come il Bonati poco caritalevolmente e anche scarsamente documentato, precisa. Quale studiosa e appassionata howardiana, devo innanzitutto precisare che il texano si suicidò per una depressione psichica sopravvenuta a seguito del coma irreversibile che aveva colpito l'amatissima madre. E poi non era affatto fisicamente cagionevole, ma un uomo dal fisico prestante e praticava molti sport, studiava mitologia e altri campi del sapere, il suo carattere era molto mite, affezionato agli animali. Una prima grave depressione lo colpì alla morte del suo cane Patch; si allontanò da casa e tornò solo dopo alcuni giorni dalla sepoltura del suo animale, che per 12 anni aveva nutrito dividendo con lui i pasti. Molto cordiale con gli amici, era timido e riservato con le donne, non risulta che andasse in crisi furiose.

Quanto di sanguinario e primordiale si trova nei suoi racconti, è lo spirito fedelmente conservato dell'epica nordica, nutrita di faide, battaglie, ecatombi e confronti con tenebrosi spiriti dei boschi. Questo crudo narrare, sgradevole e non compreso nel suo significato di fedeltà alla purezza della saga, è il vero valore della heroic fantasy howardiana.

Gli eroi nordici furono cantati dai bardi di epoche dure ai margini dei ghiacci, per un'umanità costretta a battersi quotidianamente contro animali, gelidi venti, fame e altri uomini contro cui le tribù dei boschi si scontravano in cerca di cibo. Gli eroi celti migrarono oltre oceano con i coloni europei in cerca di spazi vitali lontano dalla madre patria non sempre prodiga. Non "L'avventura" oggi salottiera moda, ma fame, peste, carestie, guerre, miseria, soprattutto persecuzioni religiose , cioè bisogni di immediata sopravvivenza fisica, popolarono l'America di anglosassoni.

Nella crisi del '29, il mito dell'eroe solitario e vincente fu apprezzato come "esorcismo" delle paure e insicurezze e in più, riproponeva un patrimonio leggendario radicato nel passato celta degli americani. In tempi di crisi della civiltà urbana, il barbaro che sopravvive al di fuori e oltre il crollo di tale civiltà rassicura. E il modo di combattere di quei popoli era esattamente, necessariamente "furente" in epoche in cui non si facevano prigionieri. Non possiamo far la morale al passato, ma piuttosto è interessante scoprire come l'eterno barbaro sopravviva in noi, pronto a mostrarsi in momenti di crisi collettiva o personale, come istinto insopprimibile di sopravvivenza, radicato in ogni vivente sano.

Per De Camp, matematico di formazione e ironico per indole, ci fu un incontro casuale col Barbaro, che si trasformò in fervente passione, anche se De Camp si sentì in dovere di smussarne i toni più crudi, facendone un ragazzone americano a caccia di guai, rompitutto e reso "umano" con vizi e virtù e quotidiani rompicapi di routine. Prima di conoscere Conan, un substrato di iniziazione al fascino della barbarie silvestre mi era stato dato dal mio inimitabile nonno, che mi portava con sé a caccia - quando esistevano ancora cose da cacciare - ammaestrandomi come forse toccò a Conan da parte di un anziano della tribù. Sosteneva mio nonno: "Per sopravvivere all'uomo sono necessari un coltello, una corda e un bastone. Con questi ti farai l'arco, con l'arco si può conquistare il mondo". Così, il nucleo inconscio di sintonia col Barbaro era già in me dall'infanzia, e potevo capirne il mondo e le gesta, portarli con i suoi valori primordiali di amorale autosufficenza, agli urbani in sempre più grave crisi di "identificazione" con gli sciocchi miti repressivi di un mondo livellatore, uccisore di' ogni fierezza e diversità individuale. L'occasione buona per sedurmi, il Barbaro di Howard se la prese nel freddissimo gennaio dell'85, quando venti siberiani flagellarono la Liguria, stravolgendola in un gelido Nord in cui l'istinto di sopravvivenza veniva a galla insieme all'insicurezza strisciante del tessuto urbano e tecnologico che cedeva davanti al Generale inverno, lasciandoci privi di un tenore di vita acquisito come immutabile e coi "black out" dei suoi meccanismi condizionanti, riportandoci a lottare col più antico nemico dell'uomo: il gelo che vide apparire l’homo sapiens tra gli ultimi ghiacciai del periodo di Würm.

In questo contesto, una pila di fumetti e libri howardiani digeriti davanti al fuoco trovarono immediata risonanza nel selvaggio represso in me da anni di frustrazione urbana e fantasia freudianamente censurata e simbolica. Decisi di seguire tutte le avventure del Cimmero, di addentrarmi nella sua "privacy" più stretta, nei suoi rapporti con la vita, la morte, le donne. Conan si fa odiare perch° la sua barbarie è il rifiuto dell'urbanesimo, della sostituzione della lotta per il potere attraverso gli "status simbols", al posto della gratificazione primordiale e essenziale del proprio istinto di sopravvivenza. Conan non è mai un sadico, né crudele, né violento con le donne, segue lineari e semplici soddisfazioni di bisogni vitali: l'uomo che tende ad appropriarsi di cose mettendosi alla prova, che non conosce alternative alla vita e alla morte e perciò è contro tutti gli déi, i non-morti, i mostri arcani, le magie sovrannaturali.

Conan è virile, e questo disturba moltissimo il maschio urbano, o civile, costretto da una crescente crisi del suo ruolo e dall'aggressività femminile a rendersi conforme ad una unidimensionalità dei ruoli che lo vuole abbastanza debole e nevrotico, in un gioco di coppia che ripiega sempre più su una larvata omosessualità. Disturba anche il modo in cui Howard attraverso il suo eroe mette a nudo contenuti del suo inconscio, della sua personalità ossessiva presente e l'atavico ritorno ad archetipi di eroi anglosassoni e celti: un culto per l'etnia, la stirpe, un voler conservare sé stesso attraverso i millenni, un'immagine vincente del proprio io, mentre in realtà Howard era soggetto a crisi depressive e paranoiche che lo portarono alla morte.

L'uomo urbano/civile non sopporta contatti veri, e questo materiale bruciante dell'inconscio di un uomo gettato febbrilmente in faccia gli è inaccettabile: L'uomo civile non vuole che contatti ritualizzati e resi inautentici dal ruolo, non ama la generosità istintiva, è schizzinoso nei rapporti che coinvolgono lo sua fisicità e il mondo esterno; le piante, la terra, gli animali, il sesso, sono "cose sporche". e lo è anche il naturale odio contro chi ci ha fatto del male. La legge ci ha espropriato della vendetta, per cui le fantasticazioni di furiose vendette sono considerate molto pericolose. Conan non è un personaggio da "giustificare"; la sua dimensione è senza censure, la connivenza col suo mondo è subliminale, emotiva, del simile che attira il simile, dell'appagamento onirico.

De Camp non conobbe Conan che relativamente tardi; credeva che le storie di Howard fossero storie di fantasmi, e non amava il soprannaturale. Un giorno Lin Carter gli ficcò in mano una copia di "Conan the Conqueror", De Camp ne rimase affascinato al punto di riproporre e forse a torto rivedere a modo suo l'intera serie completa o abbozzata da Howard, e a inventare storie nuove di sana pianta.

Il personaggio di Conan nacque nel 1932 e tenne impegnato l'autore negli ultimi quattro anni della sua vita uscendo su "Weird Tales" con 20 racconti. Uscirono postumi o su altre pubblicazioni altri 4 racconti rifiutati a suo tempo da Fansworth Wright, curatore di "Weird Tales", e negli anni successivi alcune storie vennero raggruppate nel volume della Arkham House "Skull Face and Others" (1946).

Negli anni '50-55 la Gnome Press, editrice di New York specializzata in Fantasy ripubblica le avventure di Conan. Ma è solo dieci anni più tardi che De Camp nel 1966 raggiunge un accordo con la Lancer Books di N.Y.

A partire dal 1966, anno in cui appare "Conan the Adventurer" verranno pubblicati undici volumi composti dal seguente materiale: racconti originali di Howard, ma "revisionati" da De Camp; collaborazioni postume Howard-De Camp o Howard Lin Carter (in pratica si tratta di materiale dedotto da un abbozzo originale) e ci sarà anche materiale inedito scritto da De Camp, Lin Carter e Björn Nyberg per colmare le lacune della saga che a poco a poco ricopre l 'arco dell'intera vita di Conan.

Seguiranno numerosi "pastiches" di autori svariati e più o meno validi. Quattro di questi romanzi sono usciti negli Oscar Mondadori (in America Bantam Books).

La saga della Lancer Books, curata da De Camp e Carter, si compone dei seguenti titoli: "Conan the Adventurer" 1966, "Conan the Warrior" 1967, "Conan the Usurper"' 1967, "Conan!" 1968, "Conan the Avenger" 1968, "Conan the Wanderer" 1968, "Conan of Cimmeria" 1969, più il romanzo "Conan the Bucaneer" 1971. L'edizione Lancer è la prima a grande tiratura, è quella che lancia l’artista Frank Frazetta, che eseguirà la maggior parte delle copertine ed è ritenuto il maggior specialista del genere. Su questa edizione sono basate le traduzioni in italiano della "Nord".

Ora la Ace Books ha rilevato il catalogo Lancer e vi aggiunge anche qualche titolo: "Conan of Aquilonia" 1977.

Le versioni originali non rivedute da De Camp furono riedite con solo tre titoli dalla Berkeley Books N.Y.

Come già sappiamo, tutta la produzione o quasi di De Camp come scrittore di fantasy e SF è impregnata di disincantata ironia. Matematico razionalista, non emotivamente coinvolto nella sovreccitata creazione howardiana De Camp sentì la necessità, e si prese l'arbitrio, di dare dimensione umana al personaggio di Conan, un diritto che non aveva assolutamente, e che ha finito per annacquare la cupa bellezza del personaggio, la sua febbrile vitalità, l'essere forza della natura in un universo lovecraftiano di déi crudeli e innominabili fati e destini che non si derogano, sacerdoti iniziati a sovrannaturali poteri. De Camp si diverte a ironizzare e umanizzare i personaggi. Vediamo Conan che invecchia come qualsiasi altro uomo, si sveglia con un rutto solenne prima dei quattro passi salutari del mattino. De Camp si diverte a smussarne qua e là l'ombrosità ferina con battute di "humor nero" (alla Marco Gordini, tanto per capirci) e a creargli qualche complesso di inferiorità con la sua scarsa dimestichezza col galateo, che lui, ormai re incoronato di Aquilonia, dovrebbe esibire con i blasonati ospiti, o con qualche damigella molto rigida al codice d'onore dei nobili di Zingara, che lo rifiuta per i suoi natali plebei e per giunta barbari.

Nelle ultime avventure il nostro si dà da fare per recuperare prima la moglie rapita, poi il primogenito Corm, sequestrato dall'arci-cattivo stregone stygiano Thot-Amon.

Ormai sembra e ver messo la testa a posto, è diventato monogamo e ha liquidato l'harem di belle fanciulle che sopperivano ai suoi mai estinti e sempre robusti appetiti sessuali. In tutte queste vicende molto umane è tutta la disincantata e verista visione della vita di De Camp a prevalere sul canovaccio howardiano. Ma la morte della moglie risveglia in lui l'avventuriero; dopo aver abdicato il trono in favore di Corm parte, con l'intenzione di non far mai più ritorno, di smarrirsi nell'avventura e nella leggenda. Conan, ormai vecchio, si ritrova in locande di malfamati angiporti, dove incontra l’amico Sigurd, corsaro, nordico che compare già in "Conan the Buccaneer", descritto da De Camp come un omone panciuto e irsuto, che ha l'abitudine di ripulirsi le mani unte sul giubbotto d'agnello di colore indefinibile.

L'incontro fra i due vecchi amici è umano e commovente, la voce che "Amra", il leone, nome con cui Conan ha militato tra i bucanieri, è tornato e vuole imbarcarsi, percorre il porto come una tempesta e presto una galea parte verso le isole occidentali, donde un'arcana minaccia si protende verso Aquilonia. Abilissimo a ficcare i suoi personaggi nelle dimensioni più strabilianti, De Camp fa veleggiare Conan alla scoperta dell'America, (qui chiamata Antilia) diecimila anni prima di Colombo dove, ormai settantenne, fa strage di mostri, sacerdoti perversi dediti ai sacrifici umani e conquista ancora cuori femminili. Non sono più le fascinose principesse e odalische in pericolo dei suoi vent'anni, ma viene accolto in frangenti pericolosi dalla prostituta Catlxoc, una donna grassoccia e non più giovane, ma che riceve tuttavia raggiante nella sua alcova l'insolito straniero e riesce a farlo sentire ancora vivo, pronto per altre avventure. La saga si chiude con la partenza di Conan, Sigurd e Catlaxoc verso l'inesplorato nuovo continente. Le loro tracce si perdono, mentre il vecchio barbaro e il corsaro guardano felici l'oceano: "Un'altra avventura! Un'altra avventura prima che giunga la fine!".

De Camp chiude la leggenda con una visione di malinconica amicizia e tenero amore, mentre si allungano le ombre della sera. Probabilmente Howard avrebbe fatto sparire il suo eroe in un mare di sangue, avrebbe scatenato l'intero Ragnarok per celebrarne l'olocausto funebre. Non sappiamo quanto la crepuscolare e umana dissolvenza del super-uomo nel destino che accomuna e eguaglia tutti i viventi sia consona alla famosa descrizione che Howard fa di Conan, all’inizio della sua prima avventura: "Hithen came Conan, t he Cimmerian, bleckhaired, sulleneyed, sword in hand, a thief, a reaver, a slayer, with gigantic melancholies and gigantic mirth, to tread the jeweled thrones of the Earth under his sandalled feet."


NOTA PER IL LETTORE: per chi non volesse sforzarsi, il pezzetto in inglese descrive il nostro come uomo tagliato nel ferro, dalle grandi tristezze ma anche delle grandi baldorie, colui che sotto i suoi sandali ha sottomesso troni ingioiellati .... un Conan senza grigi, insomma ...






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