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Ballard, o la catastrofe sotterranea


di Alessio Novi


Ne "L'impero del sole" Ballard raggiunge, insieme alla celebrità internazionale, e all'onore delle cronache (anche grazie alla trasposizione cinematografica di Spielberg), la dimensione, liberatoria della propria catastrofe interiore. L'internamento, adolescente, nel campo di concentramento giapponese, assume la figura di un'apocalisse privata, un punto zero dell'orrore che soltanto quarant'anni dopo l'autore sarà capace di "dire" in pubblico attraverso la messa in scena di Jim, il protagonista de "L'impero del sole". Ma Jim è James Ballard, romanziere di fantascienza, autore di una rivoluzione (prima ancora che di un'innovazione) nella tradizione inglese del romanzo catastrofico. Mentre Wyndham e Christopher parlavano ancora il linguaggio cartesiano della logica - sia pure della logica aberrante della sopravvivenza - Ballard, il reduce dai campi di concentramento, parla l'illogica di un'età ormai ulteriore rispetto alla chiarezza della modernità: la confusa babele di segni che attanaglia la nostra esistenza quotidiana. Catastrofi come sismografi dell'irrazionale, dunque, spazi interiori al posto dei consueti paesaggi della disneyland fantascientifica: Mr Ballard (l'autore, non l'omonimo personaggio che furbescamente si esibisce nelle pagine del suo più sperimentale romanzo) sa bene come trattare l'indocile materia delle proprie ossessioni.

E siamo a "CRASH", romanzo non-romanzo, escrescenza pseudonarrativa dell'universo emozionale che doveva condurre, - nel corso degli anni '80 - alla rivisitazione autobiografica de "L'impero del sole".

Sulla riuscita di "CRASH" come romanzo (come genere determinato della tradizione letteraria degli ultimi duecento anni) sono in pochi a scommettere. Troppo scoperta è l’esibizione del retroterra della produzione dell'autore, troppo esile il filo narrativo: "Crash" è piuttosto un repertorio del museo degli orrori ballardiano piuttosto che un romanzo con le carte in regola. Ma gli orrori di un geniaccio come Mr Ballard appaiono ancora migliori delle impeccabili produzioni degli epigoni, e questo bizzarro, deviante volume vale tuttavia la spesa delle 20000 del prezzo di copertina.

Per tornare al romanzo in questione possiamo dire che "Crash" altro non è che la pornografia dell'ultimo scorcio del XX secolo: la pornografia vera, non ciò che i ministri democristiani spacciano per essa.

La pornografia è sempre radicale: Sade è il radicalismo immondo della modernità, lo scandalo del suo versante oscuro. Ballard, più modestamente, è il lato oscuro della postmodernità, l’esibizione - nauseante fino all' ostentazione - delle viscere fumanti dell'epoca dell’automobile. Se in Sade il "soggetto operante" era ancora il centro della narrazione, in Ballard la soggettività si scopre nuda, impotente: alla passione sadiana del desiderato si sostituisce la possessione oggettiva del "desiderio" mediato e amplificato dalla sfera dei mass media.

Elizabeth Taylor, ovvero il suo fantasma sublimato dalla ridondanza dei mezzi di comunicazione di massa, appare l'oggetto continuamente ricercato della narrazione: un al di là, l'obiettivo ultimo e sempre evanescente di Vaughan, il co-protagonista del romanzo. Ma se la Taylor è l'icona erotica del sistema, la compenetrazione uomo-macchina appare come la blasfema comunione dell'universo ballardiano.

Che la "cultura" di quest'ultimo scorcio di secolo proponga sempre più - nei suoi incubi come nei suoi sogni - il fantasma della compenetrazione tra l'umano e l'artificiale, non è certo una novità: e che non si tratti di ossessioni personali di Ballard lo potrebbe dimostrare una ricognizione anche superficiale dell'universo immaginativo degli ultimi vent'anni.

Sarebbe superfluo citare qui un cineasta come Cronenberg, o le fantasie bio-meccaniche degli scrittori cyberpunk: rispetto a questi ultimi, tra l'altro, Ballard opera una sorta di "ritorno al presente", costruendo tutta la sua odissea in uno spazio e in un tempo che è il nostro spazio e tempo, e che pure è alieno e ostile e indecifrabile.

Eppure, sarebbe possibile la relazione tra Case e il computer se non ci fosse, dietro, l'oscura relazione che lega Vaughan all'automobile? O il "cyber-space" se prima un autore come James Ballard non ci avesse fatto provare il gusto acre e frammentato dello spazio dell'"autostrada elettrica"?

E per concludere la parola a lui, all'autore:

"Quali ferite avrebbero creato le possibilità sessuali delle tecnologie invisibili delle camere di reazione termonucleari, delle sale controllo rivestite di mattonelle bianche, dei misteriosi scenari dei circuiti elettronici? ( … ) Visualizzai mia moglie ferita in un incidente ad alta velocità, bocca e faccia distrutte, e un nuovo ed eccitante orifizio aperto nel suo perineo dalla frantumazione della colonna-sterzo - un orifizio né vaginale né rettale, da rivestire di tutto il nostro più profondo affetto"

O.k. Mr Ballard: love and napalm!






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