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Le Guin Ursula K. - La salvezza di Aka
(The Telling, 2000) , di Ursula K. Le Guin
traduzione di Piero Anselmi
"Strade blu", ed. Mondadori, 2002
Edizione originale: (Harcourt), poi (SFBC, 2000), (Ace, 2001, 2003), (Orion/Gollancz, 2001, 2003)
225 pagine, 12,40 €
Ultimo romanzo della serie hainiana, o dell’Ekumene (1), è un bellissimo racconto…sul raccontare, sul valore della narrazione come mezzo per tramandare cultura.
La trama è riassumibile davvero in breve; da una Terra entrata a far parte dell’Ekumene, una civiltà interplanetaria creata dagli hainiani, della quale entrano a far parte i pianeti che di volta in volta decidono di visitare, parte una emissaria per Aka, pianeta che, dopo essere stato contattato proprio dalla Terra, ha voltato la faccia alle proprie tradizioni per incamminarsi sulla via di un Progresso che, però, sembra avere un prezzo decisamente troppo elevato.
E là riesce a scovare, nella clandestinità a cui si è dovuto rifugiare, ciò che rimane dell’antica cultura; cultura basata, appunto, sulla narrazione.
Che, alla fine, riuscirà a preservare dalla distruzione, e da quella clandestinità che la immiseriva.
E quindi, già da questo, si vede come quello che è il nucleo centrale della poetica dell’autrice ne sia addirittura elemento base, cosa che, in altro modo, era già stata per "Il mondo della foresta".
In una narrazione lenta, con lunghe parti quasi didascaliche, nelle quali si espongono, appunto, gli appunti di lavoro di questa antropologa spaziale, veniamo infatti a sapere che il sapere, la cultura, su quel pianeta, erano, sono, basate su questa Narrazione: "È tutto quello che abbiamo…. È così che abbiamo il mondo. Senza la narrazione, non abbiamo nulla…. La nostra mente ha bisogno di raccontare, ha bisogno della narrazione. Per trattenere. Il passato è passato, e nel futuro non c’è nulla da afferrare. Il futuro non è ancora nulla. Nessuno può vivere nel futuro, no? Quindi, quello che abbiamo sono le parole che dicono cos’è successo e cosa succede. Quello che è stato e quello che è…. Noi siamo il mondo. Siamo la sua lingua. Così noi viviamo e il mondo vive." (pag. 126).
Le parole, dunque, come strumento per "porre mano" al mondo, che, altrimenti, risulta immaneggiabile: "Così, senza la narrazione, le rocce e le piante e gli animali vanno avanti benissimo. Ma le persone no. Le persone vagano smarrite…. Si fanno male. Si arrabbiano e si fanno male a vicenda…" (pag. 128).
E, quindi, la responsabilità morale di coloro che usano le parole: "…io tiro avanti grazie alle parole.
Proprio come il mondo." (pag. 127); "Se non raccontiamo il mondo, noi non conosciamo il mondo. Ci perdiamo nel mondo, moriamo. Ma dobbiamo raccontarlo bene, in modo veritiero…. Dobbiamo prenderci cura di esso e raccontarlo com’è davvero." (pagg. 128-9).
La figura dei quali è qui trasposta in quella dei maz, i narratori: "I maz raccontavano. Narravano, leggevano, recitavano, discutevano, spiegavano e inventavano." (pag. 110).
In una di queste, poche, narrazioni che vi vengono dette, si dice, significativamente, di un giovane che "sognava di volare…così spesso e in modo così vivido che a un certo punto cominciò a scambiare i sogni per la realtà."; e che "Disegnava mappe di bellissime terre sconosciute dall’altra parte del mondo, nuove terre scoperte durante i suoi voli." (idem), evidente parafrasi dello scrittore di Sf, cosa che ritroviamo anche più oltre: "…mappe di Aka, mappe di mondi immaginari…" (pag. 171).
Questo, la protagonista lo scopre partendo da una sua ricerca della religione, o quantomeno della spiritualità, di quel popolo, ricerca che ha degli esiti molto normalmente…non normali, non cumuni, non terrestri: "…non esisteva nessun teismo o deismo indigeno. Su Aka "dio" è una parola senza referente. Niente lettere maiuscole. Nessun creatore… Nessun padre eterno che premi o punisca, che giustifichi l’ingiustizia, stabilisca la crudeltà, offra salvezza…. Nessuna gerarchia di Naturale e Sovrannaturale. Nessun elemento binario tipo Tenebra/Luce, Male/Bene, Corpo/Anima. Nessuna vita ultraterrena, nessuna rinascita, nessuna anima immortale disincarnata o reincarnata. Nessun paradiso, nessun inferno." (pag. 93); e, da ciò, un’etica assolutamente scevra da ogni cosa di quel tipo: "L’azione giusta è fine a se stessa. Dharma senza karma." (pag. 94); "…nel vecchio modo di pensare akano qualsiasi luogo, qualsiasi atto, se percepito in modo corretto, (era) in effetti misterioso e potente, potenzialmente sacro. E la percezione sembrava comportare la descrizione: parlare del luogo, o dell’evento, o della persona. Parlarne, farne una storia." (pag. 95); ""buono" era sempre un aggettivo… Il Bene o il Male come entità, forze contrastanti, mai." (pag. 96).
In effetti, è proprio questa Narrazione la loro unica etica, che, come vedremo, può avere, o raggiungere, anche degli aspetti, appunto, quasi religiosi: "Pronunciando i nomi, gioivano della complessità e della specificità, della ricchezza e della bellezza del mondo, erano partecipi della pienezza dell’essere. Descrivevano, nominavano, raccontavano tutto di tutto. Ma non pregavano, non chiedevano nulla." (pag. 120); "Ciò che è vero è sacro. Ciò che è costato sofferenza. Ciò che è bello…. La sacralità esiste. Nella verità, nella sofferenza, nella bellezza. Quindi la narrazione di queste cose è sacra." (pag. 173).
Per tornare un momento alla trama, bisogna anche dire che la protagonista arriva da una Terra nella quale c’è stata una rivoluzione anti extraplanetari, che della cultura hainiana, fortemente connotata di elementi delle religioni, e pensiero, orientali, aveva fatto il proprio bersaglio, con grandi falò di libri, e sapere, cosa speculare a quanto avvenuto su Aka, per via della sete di Progresso: "I burocrati dell’Azienda (il nuovo potere su Aka) hanno…instaurato un teismo di stato quando hanno scoperto che un concetto di divinità era importante…che la religione è uno strumento utile per chi è al potere." (pag. 93); "Tutti quegli elementi (il dogmatismo, il rinvio a una ricompensa futura, ecc.), di cui gli akani avevano fatto tranquillamente a meno…erano stati introdoti da Dovza (il leader della rivoluzione akana)" (pag. 109); "…persone per le quali la massima realizzazione spirituale era raccontare il mondo fedelmente, e che erano state ridotte al silenzio." (pag. 144).
Dunque, vi si dice di una cultura che, al contatto con un’altra che ritiene superiore alla propria, si incammina in una direzione sbagliata, quella dell’imitazione, portata a ciò da una visione mistificata di quella, invece che conservare la propria autonomia culturale: "…sacrosanto diritto di essere sciocchi, irragionevoli e ipocriti a modo nostro…non nel modo di qualcun altro." (pag. 209); commettendo il tipico errore di cui mistifica, credendo tutto giusto del modello che vuole imitare: "Voi avete imparato tutte le cose sbagliate che abbiamo fatto, e nemmeno una cosa giusta." (pag. 178); ignorando, o fingendo di ignorare, la sua fallibilità.
E, questo, a fianco del lavoro della protagonista, e del fatto che il padre dell’autrice sia stato un antropologo, penso che sia significativo; così come "La tua gente è venuta qui e ha portato con sé un nuovo mondo. La promessa che il nostro mondo sarebbe cresciuto, sarebbe migliorato…. Ma coloro che volevano accettare quel mondo erano frenati, ostacolati dalle vecchie usanze…. Era necessario spingerli da parte, fare largo al futuro." (pag. 198).
Oltre a ciò ci sono alcune altre cose da dire, su quest’opera: innanzitutto lo stile, che rimane quello, ottimo, al quale l’autrice ci ha abituati, che ha un po’ dell’elegiaco, quasi, e, comunque, si discosta notevolmente da ogni altra cosa si possa oggi leggere, rimanendo uno suo, molto personale: "Dietro di loro, a destra, una serie di picchi spuntava dalla foschia e dall’ombra, un mare immobile di onde ghiacciate, frastagliate, che si perdevano all’orizzonte lontano." (pag. 158); "…vide la luce del giorno come un perfetto cerchio ardente incastonato nel nero assoluto." (pag. 167).
E un uso del linguaggio in una potenzialità significativa che, a volte, travalica le normali regole: "…di un’immensa parete coperto che tanta…"; "…dove sembdi granito…"; "aveva srava che si…" (pag. 145), a significare l’ancor non detto essere arrivati, dei protagonisti, in un paese nel quale si parla una lingua differente: "…faticava a capire il dialetto di montagna" (idem).
Oltre ad un accenno all’importanza del corpo, di quanto il corpo trattiene, del significato: ""Il resto della sua narrazione è nel corpo". Si riferiva agli esercizi fisici…" (pagg. 110-1), esercizi, ancora, di ispirazione orientale, tipo zen, anch’essi clandestini, vietati.
In ultimo mi sembra significativo, anche in vista dell’importanza che i nomi hanno, nelle opere della Le Guin, il fatto che quello della protagonista, Sully, sia quello della "…moglie di Shiva…(che) con la sua danza crea il mondo e lo distrugge…. Tu sei la collera. Tu sei la danza." (pag. 195), rapportato a questa bellissima frase, nella quale si dice, poeticamente, di uno dei fondamentali dell’antropologia: "Era andata su Aka per imparare la canzone di quel mondo, a ballare la sua danza…" (pag. 90).
(1)-comprende "L'ultimo pianeta al di là delle stelle", "Il mondo di Rocannon" (Racannon's World, ’66), "Delta" n. 1, ed. Sugar, ’73, "Sf narrativa d'anticipazione" n. 41, "Cosmo argento" n. 296, ed. Nord, '84, '99, "Pianeta dell'esilio" (Planet of Exile, ’66), "Cosmo argento" n. 84, e in "I mondi di Ursula Le Guin", "Tascabili omnibus" n. 6, ed. Nord, ’79, ’92, "Città delle illusioni" (City of Illusion, ’67), "Pocket Sf" n. 529, ed. Longanesi, ’75, "Classici Urania" n. 117, ed. Mondadori, '86, "La mano sinistra delle tenebre" (The Left Hand of Darkness, ’69), "Slan" n. 9, ed. Libra, ’77, "Cosmo oro" n. 65, ed. Nord, '84, "I reietti dell'altro pianeta", "Quelli di Anarres" (The Disposessed: an Anbiguos Utopia, ’74), "Sf narrativa d'anticipazione" n. 6, "Cosmo oro" n. 111, "Narrativa" n. 43, ed. Nord, ’76, '90, '94, e "TeaDue" n. 1034, ed. Associati, 2002, "Il mondo della foresta" (The World for Word is Forest, ’72), "Cosmo argento" n. 62, in "I mondi di Ursula Le Guin", op. cit., "Narrativa" n. 119, ed. Nord, ’79, '92, '99, e in "Classici Urania" n. 140, "I premi Hugo 1972-1973", "Classici Urania" n. 226, ed. Mondadori, '88, '96 e "Il giorno del perdono" (Four Ways to Forgiveness, ’95), "Il libro d'oro" n. 99, ed. Fanucci, ’97; in "Universi lontani" (Far Horizons: All New Tales from the Greatest Worlds of Science Fiction, '99), a cura di Robert Silverberg, "I libri della mezzanotte" n. 10, ed. Sperling & Kupfer, 2002, c'è un racconto, "Vecchia Musica e la schiava" (Old Music and the Slave Women, ’99), che, anche, ne fa parte.
Aggiunto: December 25th 2004 Recensore: Marcello Bonati Voto: Link correlati: Recensione Iannozzi Hits: 2071 Lingua: italian
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