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GIBSON WILLIAM - AMERICAN ACROPOLIS

William Gibson
American Acropolis (All Tomorrow’s Parties, ’99
edizione originale: (Ace-Putnam, '99), "Strade blu", ed.Mondadori, 2000, traduzione di Daniele Brolli, 331 pagine-22.000 £

 
Ottimo, quest’ultimo romanzo del geniale Gibson racconta una storia che, mi pare di poter dire, è solamente un pretesto per far vedere lo scenario in cui si svolge.
E, in effetti, il suo vero personaggio è proprio…l’ambientazione.
Non, certo, che i personaggi che vi si muovono siano privi di consistenza; tutt’altro; sono personaggi incredibilmente veri, estremamente reali, che esprimono, molto bene, dei sentimenti vivi; vivi nel senso che sono nel sentire di oggi, ciò che, cioè, viviamo in questi anni turbolenti; la sensazione di spaesamento, di un futuro che ci profila, sempre più, con mille e più incognite, delle quali, quasi sempre, la risposta sembra impossibile, o, peggio, negativa.
Così come è, macroscopicamente, per il personaggio Ambientazione: mi è sembrato di capire che Gibson sia riuscito ad esporre molto bene uno dei sentimenti che maggiormente circolano oggi; quello di un desiderio di ritorno al passato, una nostalgia, quasi, per tempi trascorsi che pare, ormai, siano definitivamente finiti.
E, questo, mi pare proprio che sia il leitmotiv dell’opera, piena, in ogni pagina, un pathos forte, che divaga, spesso e volentieri, in divagazioni fra il poetico(-malinconico) ed il filosofico, che riesce a raccontare, anche, storie non pertinenti all’economia della trama, ma che dicono molto, proprio perché, come abbiamo detto, essa non è assolutamente rilevante.
I passaggi che mi sono parsi particolarmente significativi (ma ce ne sono anche molti altri, ovviamente!!), sono questi: "Forse usare il telefono non dava proprio l’idea di parlare con qualcuno che non c’era, anche se poi in effetti la realtà era quella. Parlavi con il telefono. Anche se, adesso che ci ripensava, quando usava il telefono connesso con l’auricolare dei suoi occhiali da sole brasiliani doveva fare la stessa impressione." (pag.153), in cui quell’antico sentimento di stranezza-novità addirittura per il telefono, fa da contrasto stridente con l’uso di quella nuova tecnologia. E: "Voglio l’avvento di una nanotecnologia funzionale in un mondo che rimanga il discendente riconoscibile di quello nel quale mi sono svegliato stamattina. Voglio che il mio mondo cambi, ma allo stesso tempo voglio che il mio posto in quel mondo sia l’equivalente di quello che occupo ora…sta cambiando. E io sono qui per controllare che il cambiamento prenda la direzione che preferisco, e non altre." (pagg.300-1), in cui si dice di quella che, anche per l’intera opera del Nostro, parrebbe essere la sua soluzione al dilemma nel quale ci stiamo dibattendo; un progresso che, se mantenesse le proprie radici nell’humus di ciò che è in essere, senza volersene distaccare troppo, o troppo bruscamente, avrebbe la possibilità di poter essere più umanamente vivibile; e, anche, del desiderio, tutto umano, di tentare di approfittarne, in un qualche modo, di avvantaggiarsene, in cui mi pare si possa vedere la nietzschiana Volontà di Potenza. In conclusione, come ben dice il Formenti, Gibson torna ad offrirci un’opera veramente notevole, dopo le parziali delusioni delle opere precedenti.  
A margine, una curiosità, per quanto riguarda il titolo; in un’intervista rilasciata ad Alessandro Ludovico Gibson così risponde ad una domanda: D: "Quale credi sarà la prima metropoli che collasserà socialmente?"
R: "Detroit, probabilmente, è l’esempio più impressionante di collasso di una metropoli negli Stati Uniti. Ciò che una volta era il magnificente nucleo centrale degli affari, la American Acrapolis, è in completo disfacimento.(…)("Intervista a William Gibson", "Neural" n.11, ed.Minus Habens, ’98, pag.55)  
Altri contributi critici: "Gibson, torna il cowboy del cyberspazio", di Carlo Formenti, "Corriere della sera" del 15/9/2000

Aggiunto: April 19th 2004
Recensore: Marcello Bonati
Voto:
Hits: 1240
Lingua: italian

  

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