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VONNEGUT KURT - DIVINA IDIOZIA

Kurt Vonnegut
Divina Idiozia (Wampeters, Foma & Grandfalloons, ’65)
Traduzione di Elena Fantasia
edizioni E/o
Collana: Piccola biblioteca morale (n. 148)
Pagine: 136
Anno: 2002
€ 6,50

È, questa, la prima delle tre raccolte di saggi pubblicate da Vonnegut, che raccoglie materiale degli anni sessanta e settanta. Articoli apparsi su quotidiani e riviste, e testi di discorsi tenuti in pubblico. Nei quali la satira al vetriolo che lo caratterizza è già abbondantemente all’opera ("Ghiaccio 9" e "Mattatoio n. 5" erano già stati editati); ed i temi non possono che essere quelli che pervadevano le coscienze in quegli anni; il Vietnam, soprattutto, ma anche il Biafra, e poi la conquista dello spazio, e tanto altro, tutto con la capacità sua di dire, davvero incredibile. -"Fantascienza" (6 pagine, pag. 15)-nel quale, principalmente, si dice del fatto, assolutamente vero, che il mondo della Sf è settario: "…sono dei gregari. Sono una cricca." (pagg. 16-7). E, poi, del così detto assioma di Bradbury, che qui prende questa formula: "In questo campo le persone che possono essere tacciate di pessimo gusto sono il 75% degli scrittori e il 95% dei lettori, anzi, non proprio pessimo gusto, a dire la verità, quanto piuttosto di infantilismo." (pagg. 17-18). Il confronto classico fra Sf e mainstream ha, qui, per il tipico sarcasmo dell’autore, una formulazione, ancora, tanto originale quanto efficace: "Ci si ostina a pensare che nessuno scrittore può essere rispettabile e allo stesso tempo capire come funziona un frigorifero…" (pag. 15); "…ci sono quelli che adorano essere definiti scrittori di fantascienza, quelli che si allarmano al pensiero che un giorno magari potrebbero essere considerati dei semplici scrittori di racconti o di romanzi che, tra tante altre cose, fanno anche riferimento ai ritrovati dell’ingegneria e della ricerca." (pag. 16). Discorso che lo porta a dire, in questo vecchio articolo, di quanto, oggi, stà effettivamente accadendo, e, cioè, del progressivo svanire della Sf, dell’assottigliarsi dei confini che la separano dal mainstream: "La loggia si scioglierà e svanirà nel nulla. Tutte le logge fanno questa fine, prima o poi. E sempre più scrittori "ufficiali"…daranno (alla tecnologia, n.d.a.) almeno il posto che nelle favole è riservato alla matrigna cattiva." (pag. 20). Ma, nonostante tutto quanto vi si dice di negativo, vi traspare, indubitabile, l’amore dell’autore per il nostro genere: "…editori, curatori…e redattori…riesc(o)no a far convivere armoniosamente nelle loro teste le due culture di cui parla C.P. Snow." (pag. 19). -"Dove vai se il Nirvana non ce l’hai" (14 pagine, pag. 21)-ispirato da un’intervista che l’autore fece ad un santone indiano in missione in occidente, dice, prevalentemente, della venialità che caratterizza questo tipo di culti. Ma non vi si nasconde neppure una certa qual ammirazione, fosse pur solo per l’abilità di catturare l’attenzione di tanta gente. Due le cose che mi sono sembrate particolarmente interessanti, entrambe da domande al santone non fattegli dall’autore. La prima nella quale si vede bene quell’essere un rosso dell’autore: ""Cosa pensa dei diritti civili?" … "…ogni uomo oppresso può insorgere mediante la pratica della Meditazione Trascendentale. Egli farebbe automaticamente meglio il suo lavoro, l’economia lo pagherebbe di più, e di conseguenza potrebbe permettersi di comprare quello che desidera…. A quel punto ho aperto gli occhi, e ho scoccato al Maharishi uno sguardo fulminante." (pag. 30). E l’altra su Gesù: "Qualcuno ha chiesto al Maharishi che opinione aveva di Gesù Cristo. Ne aveva una. Prima di rispondere ha fatto una premessa che iniziava con la preposizione dipendente: "Stando a quello che mi hanno detto su di Lui…"… al Maharishi non era mai venuto in mente di aprir(e la Bibbia) per vedere un po’ che aveva detto davvero questo Gesù." (pag. 31). E, oltre a ciò, un’osservazione ambientalista che, anche se non pertinente, mi pare degna di rilievo: "Si conquisterà tutti gli esponenti della borghesia di tutto il mondo (questa nuova religione), e intanto il pianeta continuerà a morire-perché se una cosa è certa, è che il pianeta stia morendo-per avvelenamento dell’aria e dell’acqua." (pagg. 24-5). -"Excelsior! Andiamo sulla luna! Excelsior!" (15 pagine, pag. 35)-sulla conquista dello spazio, nel quale l’autore esprime tutta la sua contrarietà. Contrarietà che, prevalentemente, è dovuta ad una considerazione molto diffusa: "Finora abbiamo speso qualcosa come trentatre miliardi di dollari in imprese spaziali. Avremmo fatto meglio a spenderli per ripulire le nostre sudice colonie qui sulla terra." (pag. 38). Ma ve ne fa, anche, un’altra, decisamente sua, e che mi ha lasciato un po’ perplesso: "I terrestri sono gratificati proprio dall’aspetto Houdini del programma spaziale…quello che piace loro sono gli spettacoli in cui la gente si fa ammazzare… Il bello è che c’è chi li organizza davvero questi spettacoli, per farli divertire." (pagg. 40-1); "…un costosissimo spettacolo televisivo organizzato per sollazzare le masse." (pag. 42). Vi sono, anche, due considerazioni marginali, uno sul tema della conquista, così americano: "È risaputo che i concetti di realtà in cui credevano le genti conquistatrici e dominatrici sono risultati, in retrospettiva, stupidi e solipsistici." (pag. 38); e l’altro sulla Sf: "Isaac Asimov…ha evidenziato che finora lo sviluppo della fantascienza americana ha percorso tre stadi, e ora noi stiamo attraversando il terzo stadio: 1. Avventura predominante 2. Tecnologia predominante 3. Sociologia predominante…. "sociologia": un interesse obiettivo e rispettoso delle nature originarie da cui provengono i terrestri che popolano la terra." (pag. 45). Si conclude con un toccante aneddoto, nel quale racconta della visita di un suo ammiratore: "Disse che la sua generazione era stata la prima a credere di non avere più un futuro…. La quantità di biossido di carbonio presente nell’atmosfera era aumentata del 15 percento dall’inizio della Rivoluzione industriale…e ulteriori aumenti avrebbero ridotto il pianeta a una enorme serra dentro cui noi saremmo finiti arrostiti." (pagg. 47-8). E, quindi, viene un po’ a mancare il Vonnegut capace di affrontare ogni argomento con un’invidiabile imparzialità; infatti non considera per nulla quello che, secondo me, è l’argomento più a favore della conquista dello spazio, e cioè che gli sforzi tecnologici che necessita si sono, già, riversati con notevole vantaggio nella vita di tutti i giorni delle persone, e che potrebbero continuare a farlo con sempre maggiore…qualità. -"Discorso all’American Physical Society" (14 pagine, pag. 50)-nel quale si spazia un po’ per vari argomenti, iniziando da una divertente, ed azzeccatissima "teoria del canarino-nella-miniera-di-carbone": "Secondo questa mia teoria gli artisti sono utili alla società proprio perché sono così sensibili. Anzi, sono ipersensibili. Cadono stecchiti come i canarini nelle miniere di carbone sature di gas velenoso, molto prima che i tipi più robusti si rendano conto che la situazione sta diventando pericolosa." (pag. 51). Per passare ad una spiegazione del suo scrivere (e leggere): "…come scrittore sono stato fortunato a dover studiare materie scientifiche invece della letteratura…. È per questo che per me leggere e scrivere hanno sempre rappresentato un puro e semplice piacere…. Tanto tempo fa… Prendevo in giro i miei confratelli alla Cornell che stavano sprecando le loro energie su argomenti privi di consistenza come la sociologia, il governo, la storia. E la letteratura." (pag. 52). Che lo porta a parlare del suo pubblico, almeno potenziale: "…per la maggior parte delle persone l’interesse principale è la gente….i lettori sono esseri umani, e il loro interesse principale sono gli esseri umani. La gente è umanista. O almeno, gran parte della gente lo è." (pag. 54). Per poi finire, lungamente, ed in maniera molto approfondita, a parlare di uno dei temi fondamentali della sua poetica, e cioè dell’antimilitarismo. Cosa che, visto il pubblico al quale si stava rivolgendo, fa prendendo spunto dalle ricerche scientifiche a scopo militare. Partendo dalla sua esperienza lavorativa alla General Electric: "…H.G. Wells decise di fare visita al laboratorio….Irving Langmuir…una personalità molto rispettata…vincitore del premo Nobel… Si inventò una storia di fantascienza che magari il signor Wells avrebbe gradito usare come spunto. Parlava di una forma di ghiaccio che rimaneva stabile a temperatura ambiente." (pag. 56); che è, anche, una curiosità sull’ispirazione di "Ghiaccio 9". Per passare, quindi, a parlare della moralità che dovrebbe essere in ogni scienziato: gli "…scienziati…non sono necessariamente uomini forniti di spiccate doti morali, e tanto meno di sensibilità o immaginazione" (pag. 59); "Perché ogni anno diminuisce il numero di studenti iscritti alle facoltà scientifiche?"…(per)chè i giovani sono rimasti impressionati dai processi per crimini di guerra di Norimberga…. Non hanno intenzione di lavorare per la creazione di nuove armi." (pagg. 60-1); "…ogni giovane scienziato a cui viene richiesto dalle forze militari di creare un’arma terribile come il napalm sarà tenuto a sospettare che accettando commetterebbe un peccato moderno." (pag. 63). Oltre a quella curiosità su "Ghiaccio 9", vi si trova anche una riflessione che non può che ricordare "Mattatoio n. 5": "La seconda guerra mondiale è stata una guerra contro l’essenza stessa del male…. Non c’era niente di troppo orribile che non si potesse fare a un nemico tanto abietto. Una tale certezza morale e la crudeltà a cui essa dava libero sfogo non furono placate nemmeno a guerra finita." (pag. 59). -"Biafra, un popolo tradito" (24 pagine, pag. 64)-in cui dice di un suo viaggio in quella nazione, in compagnia di Vance Bourjaily, uno scrittore suo amico, pochi giorni prima che venisse annientata dalle truppe della Nigeria, dalla quale aveva tentato di rendersi indipendente. E ciò che vi spicca è senz’altro l’ammirazione dell’autore per quel popolo che tentò: "…di dare al mondo il primo governo moderno dell’Africa. Ma fallirono." (pag. 85). Un popolo composto da "…settecento avvocati, cinquecento fisici, trecento ingegneri, otto milioni di poeti, due romanzieri di prima scelta e Dio sa cos’altro. Circa un terzo di tutti gli intellettuali africani." (pag. 72). Quell’"otto milioni di poeti" lo si capisce poi, quando si viene a sapere che molti, non potendo più svolgere la propria attività a causa della guerra, si erano messi a scrivere poesie: "Tutti i progetti sono stati temporaneamente sospesi…è per questo che tutti noi stiamo scrivendo poesie." (pag. 77). Un grido muto, dunque, sull’assurdità di un genocidio di un popolo per sordidi motivi economici, appoggiato dall’occidente civilizzato. -"Discorso al laureandi del Bennington College, classe 1970" (13 pagine, pag. 89)-nel quale passa, discorsivamente, da un argomento all’altro; queste le cose che mi sono sembrate significative. Un dire del suo, notorio, pessimismo, anche se non aggiunge niente di nuovo a quanto già saputo: "Un tempo anch’io ero un ottimista…. Pensavo che gli scienziati avrebbero scoperto il funzionamento di ogni cosa, per poi migliorarlo…. La verità scientifica ci avrebbe reso tanto felici e tranquilli. Invece al compimento del mio ventunesimo anno di età successe che sganciammo un po’ della nostra verità scientifica su Hiroshima. Uccidemmo tutti laggiù. E io ero appena tornato a casa dalla guerra in cui ero stato prigioniero a Dresda, proprio quando la città fu rasa al suolo dalle fiamme." (pagg. 91-2). Con una perla ai porci, di supporto, presa dall’"Enrico VI°": "Versar lacrime riduce il peso del dolore." (pag. 93). E quest’altra, che mi pare particolarmente importante, sulla necessarietà di non deprivare di valore il pensiero antico per il solo fatto di esserlo: "Circa settecento anni fa Tommaso d’Aquino aveva già qualche raccomandazione su quello che la gente potrebbe fare con la propria vita, e non mi pare che queste idee siano diventate ridicole al giorno d’oggi, nell’era dei computer, dei viaggi nello spazio e dei televisori." (pag. 98-la sottolineatura è mia). E che si conclude con un’esortazione, a degli studenti degli Stati Uniti d’America, a…: "…lavorare per una forma di governo che si avvicini all’idea socialista." (pag. 100). Vonnegut conosce bene l’arte di usare le parole, e, rivolgendosi a dei giovani, dice ciò passando per un dato base della loro psicologia: "Un’altra frottola colossale è l’idea che tutte le persone della vostra età sono chiamate a salvare il mondo…. Non è compito vostro…. È compito delle persone più grandi di voi salvare il mondo. E voi potete aiutarle. Non caricatevi il mondo intero sulle spalle. Fate anche un pochino di baldoria ogni tanto…" (pag. 99). E, quindi, senza paura, dice quanto non so quanti abbiano il coraggio di dire in pubblico, negli States: "La libera impresa si accanisce troppo duramente sui vecchi, i malati, i timidi, i poveri e gli stupidi, e su quelle categorie di persone che non stanno simpatiche a nessuno. Sono persone che non riescono proprio a gustarsela per niente, questa libera impresa…. Assicuriamo che tutti siano provvisti di cibo per la sopravvivenza, che tutti abbiano un tetto sopra la testa, e assistenza medica in caso di necessità….vorrei che l’America mettesse alla prova il socialismo." (pagg. 100-1). -"Tortura e lacrime" (4 pagine, pag. 102)-in dice del napalm, in Vietnam, come di una tortura a cui gli americani sottoposero il popolo nordvietnamita. Qui, il suo sarcasmo gli fa dire una cosa molto vera; gli fa paragonare i bambini, che hanno ancora molto sadismo, in loro ("I bambini trascorrono le ore a parlare di torture…pensano che la tortura sia un buon metodo per controllare le persone, il che non è vero…pensano che il dolore può far cambiare idea, il che non corrisponde a verità." (pag. 104)), alla classe dirigente statunitense ("…la storia segreta del Pentagono rivela che anche molti adulti americani potenti lo pensano, e tra di loro vi sono anche professori universitari. Che si vergognino per la loro ignoranza." (idem); che non è certo un complimento -"In un modo da far vergognare anche Dio" (26 pagine, pag. 106)-scritto in occasione del congresso repubblicano che investì Nixon del suo mandato, vi si possono leggere molte delle tipiche stilettate dell’autore all’american way of life. Il suo antimilitarismo estremo, ed il Vietnam, prevalentemente. Ma, anche, gli indiani, i Perdenti, quelli scacciati dalle loro terre da un popolo che afferma: "Noi non aneliamo al possesso di un territorio che appartiene ad altri. Noi non desideriamo affermare il dominio su un altro popolo." (pag. 125); dal messaggio dei quali al presidente Nixon è tratto il titolo; sulla qualità delle loro vite. E, più in generale, su quello che oggi viene detto imperialismo economico, la reale strategia degli States: "E se un posto in Cina ci dovesse proprio andare a genio allora potremmo metter su una casetta, un albergo, o magari una catena di fast food come il Pollo Fritto del Kentucky del Colonnello Sanders. Noi non aneliamo al possesso di alcun territorio. Ci piacerebbe solo comprarne o affittarne una piccola parte, se potessimo-così poi tutti quanti avremmo l’opportunità di diventare ricchi." (pag. 125). L’articolo inizia con la frase "Se io fossi un visitatore venuto da un altro pianeta…" (pag. 106), cosa poi ripresa più volte, che si spiega nel finale: "…un visitatore proveniente da un altro pianeta, che potrebbe avere un punto di vista più ampio delle nostre azioni quotidiane, uno che potrebbe darci almeno un’idea di quello che sta succedendo." (pag. 130); la notoria capacità, della Sf, di far avere una mentalità più ampia, più planetaria. -"Discorso alla conferenza del PEN, a Stoccolma nel 1973" (5 pagine, pag. 132)-il PEN è un’associazione di scrittori (Club dei poeti, saggisti, e romanzieri), e, qui, l’autore parla di uno dei pensieri più frequenti che lo scrittore ha; "ma ha che serve, quello che faccio?". E vi dice una cosa giustissima, e, cioè, che, in realtà, anche se spesso gli sembra il contrario, lo scrittore è molto influente. Lo fa partendo da una considerazione, quasi, pro America: "…gli scrittori di romanzi, di opere teatrali, di racconti e poesie non sono mai stati presi di mira né ostacolati in modo particolare." (pag. 132). Per, poi, dire dello scrivere, in una prospettiva, appunto, di utilità: "Il nostro intento è rendere il genere umano consapevole di se stesso, in tutta la sua complessità, e fargli sognare i suoi sogni." (pag. 135); e di come l’ispirazione venga dall’esperienzialità, dal vissuto: "…non siamo noi a scrivere il meglio di quello che scriviamo. È il meglio delle nostre cose a estrarre da noi informazioni, energia e integrità." (idem). Conclude dicendo quanto ho premesso, nel suo solito, divertente, stile: "Io sono convinto che noi siamo spaventosamente influenti…La nostra influenza è lenta e insidiosa, ed è percepita soprattutto dai giovani. Loro desiderano ardentemente avere dei miti pervasi dai misteri del loro tempo. Noi diamo loro questi miti. Noi diverremo influenti quando quelli che avranno prestato ascolto ai nostri miti saranno diventati influenti." (pag. 136). Il volume, a cura di Elena Fantasia, è corredato da un’ottima introduzione, da una nota biografica e da delle note esplicative. Ora, non ci rimane che augurarci che le E/O, o altra casa editrice, voglia tradurre anche le restanti due raccolte di saggi, "Palm Sunday" (Delacorte, ’81) e "Fates Worse Than Death" (Putnam’s Sons, ’91).

Aggiunto: April 15th 2004
Recensore: Marcello Bonati
Voto:
Hits: 1257
Lingua: italian

  

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