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Lem Stanislaw, L’ospedale dei dannati
(Szpital przemienienia, ’55), "Varianti", ed. Bollati Boringhieri, 2006 (18,00 €, 208 pagg.); traduttore Vera Verdiani; edizione originale: (Wydawnictwo Literackie, ‘55), vedi il mio saggio
Questo, che è uno dei primi romanzi, di Lem, originariamente era il primo di una trilogia. Successivamente l’autore rinnegò gli altri due, così come fece per altre delle sue opere, impedendone la ristampa, destino che non toccò, invece, a questo.
Che, diversamente da quegli altri, a detta dell’autore e di molti critici, è di una qualità decisamente superiore. Anche perché non intriso di "realismo socialista", delle restrizioni che imponeva agli scrittori: "Non è che io accetti solo il realismo: qualunque genere letterario è buono, a condizione che l’autore rispetti la logica interna dell’opera: una volta che hai creato un eroe capace di attraversare i muri, devi continuare a farglielo fare." (pag. 57).
Vi si racconta di un medico che arriva nel paese di alcuni suoi zii per la morte di uno di loro e, là, vi incontra un vecchio compagno di università che lo invita, lui disoccupato, ad andare a lavorare con lui in un ospedale psichiatrico.
Ospedale che si rivelerà essere una sorta di girone infernale, nel quale i degenti vengono curati con metodi a dir poco inadatti, e sottoposti, per incapacità ed incompetenza, a trattamenti inumani.
Ma che sarà, anche, una sorta di isola felice, nella quale dell’invasione dei nazisti della Polonia, dove è ovviamente ambientato, arrivano solamente gli echi.
Per poi, però, irrompervi in modo devastante e drammatico nel finale.
Nella postfazione, "La guerra come claustrofobia" (pagg. 195-203), Francesco M. Cataluccio scrive: "Nel romanzo è facile individuare, in nuce, molte delle questioni filosofico-morali del successivo scrittore di fantascienza. Le sue domande sulla natura dell’universo e dell’uomo, la sua diffidenza verso la scienza che si presenta come pura, le razionalizzazioni che si propongono come assolute e le spiegazioni che ambiscono a essere definitive, il fascino verso il calcolo delle probabilità e la paura dell’inspiegabile, l’ostilità verso le asserzioni morali non sostenute da un profondo umanesimo." (pagg. 199-200).
Ma anche che ha avuto una "…evidente e dichiarata… influenza (dal) capolavoro di Thomas Mann… "La montagna incantata"…" (pag. 201).
Il nichilismo di cui abbiamo detto, di Lem, vi è già più che accennato: "Ognuno di noi è un biglietto che ha vinto il primo premio della lotteria: qualche decennio di vita…. In un mondo di gas surriscaldati, di nebulose vorticanti fino al calor bianco e dello zero assoluto cosmico, salta improvvisamente fuori un grumo di proteina, di grasso gelatinoso tendente a decomporsi in esalazioni di batteri e putredinde…" (pag. 59).
Grande rilevanza vi ha la questione dell’Arte. Come forse ricorderete, in Lem c’è sempre stata la questione del non dire la filosofia, ma di riuscire a dirla per mezzo della narrazione. Cosa che è anche qui; il protagonista comincia a leggere un libro di storia della filosofia, ma lo smette per "…il proprio disinteresse per le sottigliezze dei sistemi ontologici…", e comincia invece ""Le mille e una notte"… mentre la storia della filosofia giaceva abbandonata su uno strato di muschio secco." (pag. 103); "…tengo rigorosamente separate le mie opinioni filosofiche dalle mie creazioni artistiche." (pag. 78).
Ma, spesso, qui, i protagonisti dissertano filosoficamente, e, appunto, di frequente sull’Arte: "L’opera letteraria è il frutto di una convenzione: il talento sta nella capacità di infrangerla." (pag. 57) ; "Una poesia mi appare come una serie di frammenti policromi sotto un intonaco scrostato: lucenti frammenti isolati, tra cui si aprono zone di vuoto. Poi cerco di unire l’arco di un braccio con l’orizzonte, lo sguardo agli oggetti contemplati… una serie di ruote vorticanti che finiscono per fondersi in un tutto unico. La cosa più difficile è traghettarla fino alla coscienza dopo il risveglio…. Ogni parola espressa mi deruba di migliaia d’altre, ogni strofa comporta una serie di rinunce. Devo creare una certezza artificiale. Quando i pezzi di intonaco vengono via dal muro, sento che sotto, dietro i frammenti dorati, si apre un indicibile abisso…. Le parole mi sgorgano fuori come l’acqua che entra da sotto la porta durante un’inondazione. Non so che cosa ci sia dietro e se si tratti di un’ultima ondata. Non ho il controllo delle fonti. Sono talmente profonde da essere al di fuori di me." (pagg. 69-70); "L’essenziale è che un’opera ti faccia sentire una botta allo stomaco, esprima un riflesso del mondo, l’attimo fuggente immortalato, la catarsi." (pag. 77); "Un vero scrittore, dotato di talento, della metafora giusta per ogni occasione, di umorismo e della più assoluta mancanza di compassione. Che poi è la cosa principale, in quanto permette di descrivere qualsiasi orrore contemplandolo con la più totale impassibilità dal fondo di tutti gli strati geologici." (pag. 137).
Ma, nonostante ciò, nel complesso l’opera non risulta affatto pesante, e la si legge piacevolmente.
Certo, molti suoi successivi di Sf lo sono decisamente di più, ma penso che chi li abbia apprezzati potrà farlo anche di questo.
La postfazione dice anche molte altre cose interessanti, prevalentemente raffronti con altre opere polacche del periodo.
Altri contributi critici: "Due cerchi di poesia", di Marco Belpoliti, "L'espresso" del 14/12/2006
Aggiunto: August 14th 2007 Recensore: Marcello Bonati Voto: Link correlati: Stanislaw Lem - un superamento del nichilismo Hits: 1101 Lingua: italian
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