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Ballard, James G., Regno a venire

(Kingdom Come, 2006) "I canguri", ed. Feltrinelli, 2006; traduzione di Federica Aceto; edizione originale: (Fourth Estate, 17.99 £, 280 pagg.)

Ultimo romanzo del grande Ballard, è ormai qualcosa che, con la fantascienza, ha poco o nulla a che vedere. Come ormai da un po’ sappiamo, delle sue opere.
Ma rimane, per chi le ha lette tutte, quel filo conduttore che lega queste sue ultime alle precedenti, che ce la fa apparire quasi come se lo fossero; di fantascienza.
Se ricordate "La mostra delle atrocità", ricorderete che, anche se di un tipo molto particolare, lo si poteva tranquillamente dire di Sf. E "Crash"? L’atmosfera era la stessa, ciò che vi si diceva era, in un certo senso, pure lo stesso.
Poi i vari "Cocaine night" e "Super-cannes" confermarono questa nuova strada intrapresa dall’autore per dire ciò che voleva dire.
E se la realtà ha superato la fantasia, e la fantascienza si stà stemperando nel mainstream, allora tutte queste opere di Ballard lo sono.
Qui, seguendo un po’ l’atmosfera di "Millennium people", si racconta la storia di una cittadina della provincia britannica. Che, anche qui, vive delle esperienze decisamente al di là della cosidetta normalità.
Una normalità dalla quale l’ha svegliata l’arrivo di un Metro-Center, un centro commerciale ultramoderno che "…si ergeva sugli uffici e gli hotel circostanti come lo scafo di un’enorme astronave." (pag. 19). Ecco. Non ci sono gli alien, ma l’invasore si.
Il Metro-Center va ha sconvolgere gli equilibri di quella cittadina fino ad allora tranquilla, e scatena desideri e pensieri nuovi: "…qui a Brooklands avevamo una vera comunità, non solo una popolazione di registratori di cassa… Siamo stati invasi da intrusi che pensano soltanto a guadagnare…." (pag. 36); "È molto più di un negozio…. È un’incubatrice. La gente entra lì dentro ed è come se si svegliasse, perché si rende conto di vivere un’esistenza vuota. E quindi cerca nuovi sogni." (pag. 65); "È solo una pentola a pressione. Con il coperchio ben fissato e il fornello a fiamma altissima" (pag. 69).
Il protagonista è un pubblicitario che ha appena perso il lavoro e che è arrivato là per l’eredità del padre. Ucciso da un pazzo proprio nel Metro-Center: "Credono a qualsiasi cosa che la gente come lei gli dice." (pag. 37).
È quindi subito chiaro qual’ è l’obbiettivo di Ballard: il consumismo.
A capo del Metro-Center c’è un attore di spot pubblicitari, appunto: "…un bell’uomo, alquanto robusto, dai modi disinvolti da venditore, un tipo di persona che conoscevo bene dopo aver lanciato centinaia di prodotti, uno di quelli con la parlantina sciolta, un sorriso e una promessa per ogni frase elegante che pronunciava." (pag. 40). Ma è, evidentemente, soltanto un fantoccio.
Accertato che il padre gli ha lasciato solamente la casa, il protagonista si trova però subito immerso in un’atmosfera che capisce contenere qualcosa di pericoloso, anche se, ancora, non riesce a capire di che cosa si tratti: "Sono posti stranissimi dove niente è mai davvero come sembra.- È per questo che la gente si trasferisce qui, in queste tranquille zone residenziali. Sono l’ultima frontiera del mistero." (pag. 54). Ed è penso qui che Ballard dice ciò che più gli preme: il mistero, oggi come oggi, è dato semplicemente, e solamente, dalla sovrapposizione del modello consumistico della realtà alla… Realtà. Alla Boudrillard: "Fa tutto parte di uno scherzo bonario… Al giorno d’oggi la realtà deve apparire artificiale…. È tutto inventato, ogni emozione, ogni ragione per vivere. È un mondo immaginario creato da gente come lei (il protagonista pubblicitario)" (pag. 73).
E capisce, anche, che la vera causa, di ciò, è la noia: "Dietro quel folle avvicendamento di merci c’era più che altro una noia gigantesca." (pag. 70); "C’è tantissima violenza in giro. La gente non se ne rende conto, ma si annoia a morte." (pag. 74).
Ed è questa violenza quel qualcosa di "strano" che si aggira in quella cittadina: "La maggior parte della gente non si rende conto di tutta la violenza che ha dentro…. La nostra specie fa parte dei primati, e abbiamo un incredibile bisogno di violenza." (pag. 107); "Il consumismo detta legge, e la gente muore di noia. Ha i nervi a fior di pelle, non vede l’ora che succeda qualcosa di enorme e d’insolito." (pag. 109).
I consumatori, dopo le partite organizzate dal Metro-Center, si lasciano andare a vere e proprie razzie nei quartieri degli extra-comunitari, scene alle quali assiste appunto il protagonista. Ma come se ve lo si fosse voluto, far assistere.
Così come per altri episodi "strani" (la moglie dell’indiziato per l’assassinio di suo padre nell’ufficio del suo avvocato), a cui sembra che qualcuno lo voglia far assistere.
Quando, poi, esplode una bomba, al Metro-Center, e si scatena una vera e propria rivolta popolare, quell’attore/fantoccio si tira indietro, e non ubbidisce alla cricca che ha ordito il tutto; che lo voleva leader di una rivoluzione dai connotati davvero poco chiari, ma dall’inconfondibile impronta fascista.
Ed è a questo punto che il protagonista ha un’idea, spinto da un desiderio di rivalsa contro il Mondo che lo ha spinto ai margini. Decide di "assumere" il fantoccio, e di dargli un’anima, una nuova vitalità, prendendo lui il bandolo di quell’intricata vicenda: "La gente accumula capitale emotivo oltre che soldi in banca e ha bisogno di investire quelle emozioni in una figura di leader…. È un nuovo tipo di democrazia, si vota alla cassa invece che alle urne. Il consumismo è lo strumento migliore mai inventato per controllare le persone." (pag. 156). Sarà il suo sceneggiatore, per vendere di più, ma anche per "dire" qualcosa: "Non c’è messaggio. I messaggi fanno parte della vecchia politica…. La politica nuova parla dei sogni e delle necessità delle persone, delle loro speranze e delle loro paure…. Lei non dice al suo pubblico cosa pensare. Lei li fa uscire allo scoperto, li incoraggia ad aprirsi e a dire cosa provano…. Una forma nuova di politica. Niente manifesti, niente impegno. Nessuna risposta facile. Sono loro a decidere cosa vogliono…. Incoraggiamo le persone a impazzire un po’… Ogni tanto la gente ha bisogno di essere messa in riga. Ha bisogno di ricevere ordini…. di essere trattata un po’ male. Il masochismo è in voga. Lo è sempre stato. È la musica d’atmosfera del futuro. La gente ha bisogno di disciplina e vuole la violenza. Ma soprattutto di una violenza strutturata." (pagg. 156/8).
E la cittadina cambia completamente; sembrano tutti quanti contenti, marciando al suono dei refrein pubblicitari verso il Metro-Center, e sventolando le bandiere con la croce di S. Giorgio negli stadi nei quali si svolgono incessanti partite e tornei. Ma la violenza dilaga, proporzionalmente.
Il prevalere di una forma degenerata di Volontà di Potenza è ormai in essere: "La ragione è andata a farsi benedire. È l’emozione che guida tutto…. A cosa servono la libertà, i diritti dell’uomo e la responsabilità civile? Quello di cui abbiamo bisogno è un’estetica della violenza. Crediamo nel trionfo dei sentimenti sulla ragione…. Abbiamo bisogno di qualcosa di più drammatico, vogliamo che le nostre emozioni vengano manipolate, vogliamo essere presi in giro e blanditi…. Il male e la psicopatologia si sono trasformati in stili di vita. È una prospettiva inquietante, ma il fascismo consumista forse è l’unico modo per tenere insieme una scietà. Per controlare quell’aggresività e arginare tutte quelle paure e quelle forme di odio." (pagg. 180-1).
Questa questione del voler essere presi in giro è ripetuta più volte ("Alla gente piace essere presa in giro." (pag. 51), per esempio), e dice, evidentemente, di una delle principali molle che muove il fascismo, ed ogni "ideologia" che gli si avvicini.
Ma, se potrebbe sembrare che peggio di così… poi la polizia, e l’esercito, intervengono, e si apre lo scenario veramente ballardiano di questo libro, quello per il quale tutto il precedente non era che la necessaria premessa: i fedeli del Metro-Center ("Questo non è soltanto un centro commerciale. È più simile a…"-"Un’esperienza mistica?"-"Esatto! È come andare in chiesa." (pag. 45)), vi si asserragliano, in una vera e propria azione di guerra contro il Sistema: "…una rivolta popolare, la lotta dell’uomo consumistico e della sua consorte consumistica contro le élite metropolitane e il loro disprezzo per i templi dello shopping." (pag. 237); in cui si dice un’altra delle verità, di questo romanzo.
E, quel centro commerciale abitato da persone che hanno un’idea alquanto vaga, del motivo per il quale vi si trovano, sospinti ognuno da pulsioni interiori non razionalizzate, diventa appunto il luogo ballardiano, nel quale le vere protagonisti sono le psicopatologie individuali
Con, ancora, quel dire del bisogno di riempire il vuoto dovuto alla morte di dio, dal dilagare del nichilismo: "…il messaggio è: non esiste un messaggio. Niente ha significato, quindi almeno siamo liberi." (pag. 269), che è della poetica di Ballard: "Il consumismo può sembrare una cosa pagana, in realtà è l’ultimo rifugio dell’istinto religioso." (pag. 266).
I fedeli, alla morte del saltimbanco le bugie del quale, suggerite dal protagonista, avevano seguito fino ad allora, lo deporranno fra le mascotte del Metro-Center, dopo averlo scorrazzato fra le merci, in cerca di una possibile resurrezione, e si prostreranno ai suoi piedi, pregando: "Stanno pregando. È il sogno consumistico che diventa realtà…. Stanno pregando gli orsacchiotti." (pag. 278).
In conclusione, è la visione di una "…razza umana (che), come un esercito di sonnambuli, camminava verso la totale perdita di memoria, con il pensiero rivolto unicamente al logo che ci sarebbe stato sul proprio lenzuolo funebre." (pag. 46), degli incredibili scenari che si potrebbero prospettare alla società dei consumi dal punto al quale oggi è arrrivata, di soluzioni che, per quanto con timore, si affacciano alle consapevolezze.
La consapevolezza del proprio essere miserevoli, degli artefici di quel complotto, dice molto di più; dice appunto della consapevolezza odierna di una vacuità alla quale si intuisce che qualcosa debba necessariamente sopperire, intuendone la pericolosità: "…siamo dei degenerati. Non abbiamo spina dorsale né fiducia in noi stessi. Abbiamo una visione del mondo da tabloid, ma nessun sogno, nessun ideale…. Non valiamo nulla, ma adoriamo i nostri codici a barre. Siamo la società più avanzata del pianeta, ma non siamo in grado di permetterci la decadenza. Siamo così disperati che dobbiamo fare affidamento su persone come lei (il protagonista) perché si inventino favole nuove, piccole e comode fantasie di alienazione e di colpa." (pagg. 276-7).
Forse, purtroppo, la visione di Ballard, di un’impossibilità di un superamento del nichilismo ("Le città lungo l’autostrada erano costruite su una frontiera tra un passato esaurito e un futuro senza illusioni e senza snobismi, dove l’unica realtà era nella certezza dell’esistenza delle lavatrici e delle cucine di ceramica…" (pagg. 279-80)) positivo, appare plausibile. L’imbarbarimento necessario, inevitabile, la violenza.
Per quanto riguarda lo stile, c’è da dire che la propensione per le similitudini complesse, di Ballard, qui si esplica molto bene. E molto di frequente; una per tutte questa, che mi è sembrata la più vicina alla poetica delle sue opere del primo periodo: "…elettroencefalogrammi di un gigante che cercava di svegliarsi da un sogno delirante." (pag. 286).
E, per quanto possa sembrare impossibile, è riuscito ad inserire anche in uno scenario come quello del Metro-Center la sua immagine della piscina colma di rifiuti; inserisce infatti un "laghetto" artificiale (appunto (??)), nel quale le solite scorie dell’umano vivere galleggiano. Che poi diventerà "…nero come la morte, una pozza di catrame piena di orrori." (pag. 286); l’inconscio collettivo è irrimediabilmente contaminato, non rimane nessuna speranza.

Altri contributi critici: "Ballard, l'Apocalisse che nasce dall'esperienza", di Filippo La Porta, "Corriere della sera", del 16/1/2007

Aggiunto: June 13th 2007
Recensore: Marcello Bonati
Voto:
Link correlati: Ballard J. G.
Hits: 1484
Lingua: italian

  

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