Bruma è da qualche giorno che
si è trasferita a Genova, per studiare all'Accademia di Belle Arti,
(sempre che, naturalmente, il Comune della Regio Gheennalis non la chiuda,
non la sfratti per riempirla di uffici di iuppis, non decida di venderla
al miglior offerente sul mercato globalizzato) e non ha stretto amicizia
con nessuno. Così le dico se ha voglia di venire a cena con me e
i miei amici. È un invito che sembra quasi peloso, sospetto, ma
la faccia da vecchio guru che ho indosso deve esser rassicurante così
lei accetta e così troviamo gli altri amici in piazzale Kennedy,
alla Festa Settembrile del Partito della Sinistra Unita, o almeno di quello
che ne resta di esso. Sono le occasioni per stare un po' assieme, amici
di vecchie battaglie con mogli e i figli che se ne vanno già per
conto loro e ricordi del tempo che è stato, così come si
conviene ai sessantenni delusi da una rivoluzione fallita, e da un'esistenza
che comunque si avvia al fallimento e alla morte; nulla più di o
di meno; così ci si ritrova tutti assieme, a percorrere i lugubri
stand non più rivoluzionari, non più internazionalisti, non
più barricadieri, ma semplicemente piccoloborghesi - nel senso più
deteriore del termine - l'uno in fila all'altro che vendono giubbotti di
pelle e muntan baich e dolciumi e gins d'ogni colore e misura e perfino
tramite compiuters ricerche araldiche sul vostro cognome...
E ora proviamo a fare un'ipotesi su
quello che sta accadendo. Guardiamo dal di fuori gli eventi e come prendono
piede, perché in seguito sia più facile accorgersi che non
è un incubo che si spalanca dinanzi a noi, ma una realtà.
Immaginiamo il nostro protagonista
e la ragazza che lo accompagna, a tavola con gli altri, in un prefabbricato
che potrebbe essere quello, ad esempio, dell'intramontabile Circolo Latino
Americano, ancora in voga nonostante che gli anni siano trascorsi, gli
Inti Iglimani tornati in Cile raccontino che tutta quella bagarre furono
gli italiani a crearla, che loro non erano comunisti... il vecchio Pinocié
intanto è il Padre della Patria, e laggiù, a Genova, Italia,
Europa, non ci sono più loro a cantar el publeo unido gamas serà
vensido e noi non siamo più tutti sudamericani... immaginiamo quindi
questa quasi lieta brigata di amici che discorre...
Chiacchierano. Il protagonista, benché
sia abituato a nascondersi dietro una cortina di silenzio, a sua volta
ha voglia di comunicare quella sera e non per farsi bello o interessante
agli occhi della ragazza, che chissà perché ha deciso di
invitare a quella stolida serata.
- Qualcosa non va?
Guardai gli occhi di Bruma che mi
fissavano intensi. Guardai il buio attorno e tornai improvvisamente da
dove ero partito, ma anziché a tavola con gli amici ero vicino al
molo frangiflutti, avevamo finito di cenare e ci stavamo recando alle auto;
l'interrogazione di Bruma rimane sospesa per aria, quando dal nulla tre
uomini si materializzano e ci fronteggiano con le pistole; vogliono qualcosa
da me, qualcosa che ho nascosto, ma che io sono sicuro di non avere.
I miei amici sono radunati tutti assieme,
sotto la minaccia di uno dei tre con il revolver; nessuno osa fare un cenno,
dir qualcosa.
- Tu, - dice quello che sembra il
capo, puntandomi contro un'arma - Vieni via con noi. Non ti succederà
nulla. Dobbiamo solo farti parlare con qualcuno, poi ti lasciamo andare.
La sua voce è fredda e dura,
il tono è deciso.
Mi volgo verso gli altri: - Va tutto
bene, ragazzi. Non vi preoccupate.
Faccio un cenno a Bruma. Lei annuisce
lentamente.
Inutile dire che ho paura, certo.
Il brivido che mi attraversa e mi ghiaccia è l'avvertimento della
morte che mi gira attorno, e conta se l'ora è quella giusta o se
invece si tratta solo di un avvertimento passeggero. Comunque sia, di fronte
alla minaccia armata non c'è modo di opporre resistenza...
Quello che sembra il capo mi fa un
cenno con l'arma. C'incamminiamo, mentre il secondo ci segue...
Mentre stanno per entrare in auto,
compare dal nulla la ragazza amica del protagonista. I due uomini che lo
scortano la vedono giungere improvvisamente, sorpresi, non si capacitano
del come lei sia riuscita a sganciarsi dal terzo uomo che aveva il compito
di tenere a bada gli amici; stanno per muoversi, per dir qualcosa, per
gridare o sparare - lei invece urla al protagonista di gettarsi a terra,
chiude gli occhi e lancia in aria qualcosa che esplode, proprio mentre
sta giungendo di corsa il terzo uomo.
La luce è intensa. Il mondo
si trasforma in un'improvvisa visione al negativo del mondo circostante.
I tre uomini per un istante sfolgorano, poi diventano tre visioni traslucide,
incorporee. La ragazza grida al protagonista di scappare, gli si avvicina
mentre il mondo si trasforma in un caleidoscopio di immagini psichedeliche
che sembrano mettere in forma e corpo le peggiori visioni dell'animo umano;
lo prende per mano e i due iniziano a fuggire.
Adesso sono al riparo.
Il protagonista domanda alla ragazza
cosa stia succedendo. Lei gli domanda se ricorda cosa è accaduto
fino ad allora. Lui risponde negativamente. Scompaiono i fantasmi. Intanto
scoppiano i fuochi artificiali, e nello sfolgorio, i due riprendono la
fuga mentre i tre corpi traslucidi lentamente si dissolvono...
- Ora apro una Soglia, - grida lei.
- Appena l'ho aperta prendimi per mano e salta via con me!
Il trionfo dell'alba, come una tela
sanguigna incombe sui tetti della città e nel cielo, e le moderne
architetture della Chiesa di Nostra Signora della Virtualità svettano
in alto.
Bruma è appoggiata di schiena
a un muretto, il capo chino, le mani in tasca. Il vento le scompiglia i
capelli. Io le sono accanto e scruto la Chiesa che si erge su di noi, e
più lontano una città sconosciuta, che si chiama Secondya
almeno a quanto dice una mappa turistica, una specie di meridiana topografica
di metallo incisa sulla balaustra, qui, in questi giardini dove ci siamo
riparati. L'Angelo del Cyberspazio flette le sue ali metalliche al posto
della croce. Noi siamo sotto il tempio, poco discosti dalla spiaggia e
dalle cabine abbandonate.
Scuoto il capo per distogliermi da
quella visione. - Cos'è successo?
Il sole nella sua ascesa rende Bruma
di una bellezza ancor più arcana di quando, la mattina precedente,
l'avevo incontrata sulla spiaggia. Sorrido a me stesso, riflettendo ancora
una volta su quale fu il disegno del caso che mi ha fatto incontrare quella
ragazza. Un vento immateriale parla di altri mondi.
Lei mi scruta per un po' in silenzio.
- Stai sorridendo. A cosa pensi?
- A nulla di particolare. - Distolgo
lo guardo da lei e nel crepuscolo rovesciato il sangue cola dagli scogli
dei Moreschi, quasi sotto il profilo basso della città. Il cielo
fiammeggia lontano e una manciata di nubi, il vento sparge e poi si gonfieranno
per effetto della luce, gravide di chissà quali buriane.
- Dimmelo.
Mi volto verso di lei. - Cos'è
successo?
Avanzo di un passo: - Chi sei tu?
Dico ancora: - Sei comparsa improvvisamente
dal nulla, in quella spiaggia, ieri pomeriggio. Un giorno che non sapevo
che mi sarei trovato a passeggiare laggiù... eppure c'eri. Abbiamo
fatto amicizia. Poi sei venuta con me a quella dannata festa, e mi hai
tirato fuori dall'incubo di quei tre misteriosi personaggi che volevano
rapirmi. Perché? Chi sei?
- Qualcuno che è giunto al
momento giusto per tirarti fuori dai guai. - Occhi verdi che scrutano dietro
il disegno del mare.
- Allora, vuol dire che c'è
un qualche disegno, un muoversi di ingranaggi nel cielo e sulla terra che
ci costringe ad un incontro, e di questo incontro io ignoro il significato.
È un enigma.
Lei sorride. - Nessun enigma. Ti stavano
cercando e ti hanno trovato, ma io ti ho trovato prima di loro.
- D'accordo. Chi sono loro? E tu?
Lei alza le spalle. - Devi essere
importante per qualcuno, evidentemente.
Rido. - Importante io? Devono aver
sbagliato persona... non sono importante neppure per me stesso.
- Chiamali emissari di un Altro Potere.
- Cosa vuol dire?
Bruma mi guarda, sorridendo. - Sai
dove siamo, ora?
- Dove siamo?
- Guardati attorno. Guarda quest'alba
rovesciata che arrossa il cielo, come un crepuscolo color sangue. E quell'Agelo
metallico sul frontale di quell'assurda chiesa. Ricordati quelle esplosioni
di luce attraverso le quali siamo fuggiti ai Guastatori...
- I Guastatori?
Annuisce. - Si chiamano così.
Sono... corpi che non appartengono al nostro piano di vita, che sono qualcosa
di meno e qualcosa di più degli esseri umani. Vengono... sono stati
creati in laboratorio, sono il braccio del potere lontano delle tenebre.
Te l'ho detto; sono gli emissari di un Altro Potere. Sono corpi che solo
per caso vivono, perché si nutrono delle scintille di vita degli
umani... - Con una mano si tira indietro i capelli; la sua risata si smorza
un po' contro il vento immateriale. È l'alba e io ignoro dove sono
finito... proprio come se fossi uscito or ora da un incubo. - Hanno fama
di essere imbattibili.
- Tu li hai fermati. Anche se ignoro
come ciò sia successo, li hai fermati. Mi hai salvato.
Alza le spalle. - Innanzitutto io
sono una Straniera, e noi Stranieri combattiamo contro di loro da anni.
E poi loro non sono vivi, e quindi non sono intelligenti... non riescono
a compiere più di un paio di operazioni per volta, e tutte molto
semplici. Ho disorientato il primo nel colore, e poi con il colore ho dissolto
tutti e tre. - Lancia un'occhiata al cronometro che porta al polso - A
quest'ora si saranno ricomposti, e staranno battendo tutta la città
per ritrovarci.
- Aspetta, aspetta... - mormoro. -
Aspetta un istante. Cosa stai dicendo?
Bruma sorride. Alza il capo verso
il cielo, sorridendo. Poi il suo viso compie un lento arco, fino a quando
i suoi occhi non si fissano su di me. - È una faccenda un po' lunga
da spiegarti.
- Provaci.
- Non dovrei nemmeno dirtelo, a dire
il vero. Non dovrei esser qui. Non so perché ti rispondo. Ma immagina
che si tratti di un gioco... di un gioco cosmico. Un qualche trastullo
degli Dei. Ecco tutto. Da una parte ci sono gli Dei, e dall'altra parte
c'è l'Altro Potere. Ecco tutto. Immagina l'universo diviso in questo
modo.
Indico il cielo. - Sono mesi che continua
instancabilmente a piovere pioggia acida su di noi... vuoi dirmi che la
colpa è di questo misterioso Altro Potere, se non riusciamo neanche
più a ricordarci come è fatto il sole?
Lei ride: - Puoi pensarla così,
se vuoi. Oppure puoi chiedere lumi alla meteorologia e parlare di aree
di bassa pressione e di venti che cambiano percorso spingendo fronti di
area fredda contro di noi. E un modo come un altro per spiegare quello
che non riusciamo a spiegare...
- Chi sei tu?
- Bruma.
- D'accordo. Chi è Bruma?
Mi guarda in faccia e i suoi occhi
blu scintillano: - Ti ho salvato la vita. Ti ho fatto fuggire dall'ombra
dei Guastatori. Ti ho portato qui, lontano da loro. Me ne andrò
e non mi vedrai più. Cosa vuoi ancora?
- Sapere che succede.
- Siamo fuggiti, ecco tutto.
- Va bene. Ma dove? - indica la città
e il mare che si estende attorno a noi. - Questo luogo è un'illusione...
è un luogo che non esiste. Non è Genova... è qualcosa
che assomiglia a una cittadina mediterranea è la mia città
natale.
- E allora?
Comincio a spazientirmi. Fino a che
non avevo incontrato Bruma la vita mi era parsa... mi era parsa...
- La mia vita, - mormoro.
Lei non dice nulla.
Faccio uno sforzo per cercare di farmi
tornare a mente qualcosa, ma per quanti sforzi possa fare è come
trovarsi di fronte a un muro impenetrabile; più lungo della Muraglia
Cinese, più solido del Vallo di Adriano, una frontiera sanguinosa
contro cui ogni mio tentativo di risalire è assolutamente impossibilitato...
tento di esplorare l'ombra ma l'ombra ha inghiottito tutto il mio passato...
solo qualche brandello ne fuoriesce a tratti, sotto forma di immagine lampeggiante...
di fiamma... di un grande incendio che arde...
Afferro Bruma per un braccio: - La
mia testa... la mia memoria...
Sento il cuore palpitarmi e uno strano
stordimento prender corpo in quella terra in cui non ho mai vissuto. Ora
lo scenario dei monti che s'alzano alti sopra di me incupisce, i monti
sono un livido presagio, e il fiume che scorre placidamente verso il mare
un'acqua torbida quanto il sangue della palude stigea.
- Non ricordo più nulla.
- Perché non c'è più
nulla da ricordare, - risponde semplicemente.
- Più nulla... c'è tutta
la mia vita, dietro. Sessant'anni di tempo, neanche uno scherzo. Una figlia
che ha la tua età, una ex-moglie, una compagna, se ricordo bene,
e degli amici... ho perso tutto e tu mi dici che non c'è nulla da
ricordare?
- D'accordo. - Scuote il braccio e
lo libera dalla mia presa - Hai una vita che non ricordi, e allora? Gli
universi sono colmi di persone che non ricordano parte della loro vita.
Nel transito dal una parte all'altra del mondo può darsi che tu
abbia perduto i ricordi... capita. Ma non disperartene troppo. Se io ho
l'età di tua figlia, in tutti questi anni ho percorso il mondo da
un lato all'altro ed è da quando ho sedici anni che ho abbandonato
i miei... l'ultima volta che ho visto mio padre, due anni fa, era nei pressi
di Luxor. Mia madre mi hanno detto che addirittura ha cambiato dimensione.
Andiamo tutti dall'uno all'altro mondo... e tu pensi alla tua memoria?
- Dall'uno all'altro mondo. Cosa vuol
dire?
Bruma sospira. - Forse è il
caso che ti spieghi com'è la situazione.
- Sì. Sarebbe meglio.
Si guarda attorno. Le campane di Nostra
Signora della Virtualità risuonano nel silenzio dell'alba e l'Angelo
del Cyberspazio ad ogni rintocco batte le ali. - Non qui. Siamo troppo
poco esposti alla luce...
- Alla luce?
Bruma annuisce. - Ho bisogno di stare
alla luce più tempo possibile. I miei ritmi sono quelli del giorno
e della notte... è stato un caso che ieri sia rimasta in giro così
a lungo, e forse l'ho fatto perché ho sentito che c'era bisogno
di aiuto. Ma adesso devo riportare la mia energia ad un livello più
alto... - indica uno spiazzo vicino al mare - Laggiù. Quando il
sole sarà sorto, le acque faranno da specchio.
Ci muoviamo verso lo spiazzo. Mi guardo
attorno mentre il rosso lentamente si diluisce in un rosa antico, e i miei
occhi sfiorano i profili di Secondya.
Bruma depone a terra il suo zainetto.
Ne tira fuori due stuoie intessute a mano e ricche di disegni e di colori,
motivi che a una prima occhiata mi sembrano pellirossa. Le dispone l'una
accanto all'altro e mi fa cenno di sedere.
Obbedisco. Lei si siede alla maniera
indiana, un modo per me assolutamente scomodo. Cerco una posizione migliore.
Lei vede il mio imbarazzo e sorride. Ha uno strano modo di sorridere.
- Ti ho detto che appartengo alla
stirpe degli Stranieri. Sai cosa significa?
- No.
- Noi Stranieri andiamo e veniamo
da città a città, di nazione in nazione, di mondo in mondo.
Il nomadismo è la nostra abituale dimora; non siamo mai stati fermi
nello stesso luogo, e non apparteniamo a nessuno. Siamo... puoi chiamarci
"cittadini del mondo", se vuoi. Ma comunque siamo stranieri a tutti. Non
abbiamo identità, documenti, patria. Siamo stranieri in terra straniera...
Qualcosa mi torna improvvisamente
alla memoria. -... Ed essa partorì un figlio, al quale Mosè
pose nome Ghershom. poiché disse: io sono straniero in terra straniera...
- Già. Nel nostro mondo, Mosè
fu uno Straniero, uno dei primi, e condusse un popolo di stranieri ad una
terra da cui poi fu cacciato... Gilgamesh, Odisseo, Heracles... chi altri?
Con i secoli, gli Stranieri si differenziarono sempre di più, nacquero
nuove specie di individui impossibilitati a restar fermi nel loro territorio.
La loro fu una migrazione principalmente spaziale; poi pian piano scoprirono
il modo di aprire le Soglie e di muoversi in uno spazio... intermondano.
- Indica il suo zaino - Io lo faccio con il colore. Altri lo fanno con
la musica. Altri ancora con la danza, con la parola, con la musica, con
la preghiera, con la respirazione, con le tecniche del corpo...
Mi sembra di tendere le dita a percepire
qualcosa che mi è sfuggito senza che io me ne sia mai accorto. -
L'arte...
- Già. Ognuno ha la propria
arte...
Mi riscuoto da quello strano incantamento.
- Non ci posso credere. - Ed è vero. Quello che Bruma mi sta dicendo
trascende ogni mia possibile credenza, va oltre tutto quello che ho letto
e sentito a proposito del viaggiare... letto e sentito dove?
- Eppure hai visto anche tu come siamo
fuggiti ai Guastatori.
- Già. E dove mi hai portato?
- Chi lo sa? - Bruma scuote il capo
- Quando ho aperto la Soglia non ho avuto nemmeno il tempo di pensarci.
Ho agito d'impulso, non ho chiesto alle mie matite la direzione; ho fatto
un disegno - il primo che mi è corso dinanzi agli occhi, e ti giuro
che non ricordo assolutamente quale sia stato. Ogni tanto gli Stranieri
esperti lo fanno, lasciandosi guidare dall'istinto, solo per il piacere
di scoprire un posto nuovo, e nuove usanze... ma solitamente apriamo Soglie
in luoghi che abbiamo già conosciuto, o di cui qualcuno ci ha fornito
le coordinate. E comunque nel nostro mondo. E io non ho sufficiente esperienza
per provare a entrare nell'Altrove. - Si guarda attorno, indica Nostra
Signora della Virtualità, la corona dei monti. Guarda l'orologio
che ha al polso destro, sfiora con la mano un pulsante. - L'Indice di Verità
afferma che questo luogo è reale. Non è un luogo che qualcuno
degli Dei sta sognando, una memoria nascosta nei neuroni di qualcuno di
loro, una realtà simulata... no. È un luogo che esiste qui,
in Italia. Nell'anno 1999.
Guardo la ragazzina che mi ha salvato
la pelle aprendo una Soglia nel nulla, e che disinvoltamente parla del
suo orologio che dovrebbe indicare se un luogo è vero o no e non
mi capacito d'esser vivo. Se chiudo gli occhi mi si staglia sulla retina,
abbacinante, la forma traslucida dei tre Guastatori. - Grazie.
- Di cosa?
- Di quello che hai fatto.
- Noi Stranieri siamo molto solitari...
siamo individui, ragioniamo sempre in termini di singolo. Cerchiamo di
non intrometterci mai nelle vicende degli Stanziali, ma di fronte ad un'azione
dei Guastatori, diventa quasi un obbligo aiutare gli altri. I Guastatori
sono i mercenari dell'Altro Potere.
- Quelli che mi stanno cercando.
- Sì. Ma tu non sei uno Straniero...
se dici di aver perso la memoria, e io ti credo, potresti aver perso la
tua identità ma... me ne accorgerei. Non hai l'aura dello Straniero.
- E allora perché mi cercavano?
- Non lo so. Perché hai fatto
qualcosa, probabilmente, che non piaceva a qualcuno dell'Altro Potere.
E l'unica spiegazione logica.
- Non ricordo nulla della mia vita
precedente... forse hai ragione tu: il passaggio dal mio mondo a questo
deve aver cancellato parte della mia memoria. Ricordo solo di averti conosciuto
ieri pomeriggio sulla spiaggia, e di averti accompagnata in auto... poi
ti ho chiesto se venivi a cena con me. Frammenti che mi riportano poi a
ieri sera, alla cena con gli altri, ai Guastatori e a tutto il resto. Buio,
d'altra parte. Tu non ricordi cosa ti ho detto di me?
- Molto poco. Che una volta facevi
il professore, che sei in pensione, che ti occupi di religione ma che non
sei religioso.
Non riesco a trattenere un sorriso.
- Siamo stati assieme tutto il giorno e questo è quanto sei riuscita
a sapere di me?
- Potresti essere un ottimo Straniero...
hai alzato una cortina fumogena sulla tua vita, parlando di religione e
di filosofia, e quando hai visto che avevo con me gli arnesi per il disegno
ti sei messo a parlare di arte. Ecco, questa potrebbe essere una buona
traccia... conosci molti artisti, nel tuo mondo. Se facessimo ritorno,
potremmo chiedere a loro, sempre che lo choc del passaggio non ti faccia
tornare la memoria.
- Già. - Bruma sorride. - Adesso
cerchiamo di capire dove siamo finiti, d'accordo? Questo posto non mi piace,
me ne voglio andare.
- D'accordo. Come facciamo?
Lei si alza, io la imito. Raccoglie
le due stuoie e le infila nello zaino. - Non è che tu abbia viaggiato
molto, vero?
- L'ultima volta fu il mio viaggio
di nozze, - rispondo. - Circa trent'anni fa.
- Ah - Risponde lei.
- People are strange, when you're
a stranger, faces look ugly, when you're alone...
A mezzavoce Bruma canticchia una vecchio
brano dei Doors, e il vento che chissà quante volte l'ha
udita, le risponde.
- Strana città, - mormora Bruma.
I miei occhi si fissano sui palmizi
che stanno a lato delle case, sui giardini che crescono fra casa e casa,
sulle siepi che il primo sole indora. Rade auto si muovono lentamente nelle
vie, ma quel che mi colpisce maggiormente è il fatto che l'aria,
a differenza di quella della Regio Gheennalis, sia perfettamente respirabile.
- È una città mediterranea,
e a giudicare dal sole, sulla stessa costa ligure. Poche auto e tutte di
lusso, edifici bassi e moderni, giardini e tanto verde. Non capisco se
si tratti di un quartiere residenziale, o se tutta la città sia
stata costruita così. Gli edifici sono per la maggior parte recentissimi,
tre, quattro anni i più moderni. Deve essere una delle nuove cementificazioni
della Megalopoli Mediterranea. Chissà dove siamo.
- Non sarebbe più semplice,
chiedere a qualcuno qual' è la stazione più vicina?- provo
a suggerire.
- Il qualcuno a cui lo chiedi potrebbe
insospettirsi, una volta costretto a parlare con noi. Per ora siamo abbastanza
invisibili, ma se ci facciamo notare qualcuno potrebbe domandarsi chi siamo,
perché siamo così laceri e sporchi in questo elegante quartiere.
Potrebbe chiamare la polizia e voglio vederti spiegare a loro quale coppia
siamo, e come tu sei finito qui, e soprattutto perché io sono con
te, io che ho documenti falsi che se facessero una verifica mi arresterebbero
immediatamente.
- Già.
Bruma si guarda attorno sospettosamente.
- C'è poca gente in giro. Ma guarda come ci studiamo.
- Potrebbero pensare che siamo padre
e figlia.
- Non ci somigliamo abbastanza...
e abbiamo un comportamento che non è adatto a impersonare questo
ruolo. Si vede benissimo che non siamo mai stati in questa città,
e che cerchiamo di capire di cosa si tratti e... tombola!
- Che c'è?
- Abbiamo la polizia alle spalle.
Io faccio finta di niente e mi volto
appena. Una grossa jeep azzurra, con la scritta "Comune di Secundia" sulla
fiancata e i lampeggianti rossi e blu sul tetto rallenta lentamente dietro
di noi. Dentro ci sono quattro agenti, tre uomini e una donna, dall'aria
molto poco raccomandabile. Perché le municipalità hanno una
loro polizia privata, che pesca le loro reclute da quelli che sono stati
scartati dalla polizia di stato e non ci va molto per il sottile. A Regio
Gheennalis la polizia comunale è tanto amata dai cittadini che spesso
deve arrivare la polizia di stato a sedare la rissa fra di loro.
- Ottimo.
- Tu resta... non hai da temere nulla.
Puoi sempre dire di avermi appena conosciuto. Io me la filo verso la spiaggia.
Se riesco a raggiungere un muro posso aprire una Soglia e scomparire.
- Non ci pensare neanche... vorresti
lasciarmi qui da solo? Sono solo quattro cagnotti - Mi fermo, mentre la
macchina ci affianca, tiro fuori il miglior sorriso e mi avvicino.
- Ehi, - Dice Bruma, allarmata - sei
pazzo?
- Figliola, che tu abbia girato il
mondo e io no, non significa che non sappia trattare con un cagnotto. Sono
tutti eguali... è solo questione di prezzo.
L'auto si è fermata. Io continuo
a tener fuori il mio sorriso, mi avvicino. In un mondo tutto privatizzato,
le polizie private sono eguali, e non c'è motivo per dubitarne.
Assumo l'aria da padre di famiglia. Mi avvicino fino ad essere inquadrato
da tutto il gruppo. Dietro di me Bruma - Buongiorno, agenti. - Porto la
mano destra alla fronte, come se stessi salutando militarmente. Ciò
costringe loro a rispondermi allo stesso modo. - Vogliate scusarmi, ma
avrei bisogno di un'informazione. Io e mia figlia siamo scesi stamane dalla
stazione ferroviaria, siamo venuti a fare un giro e ci siamo persi. Ci
potreste indicare, per favore, la via del ritorno? Abbiamo i bagagli al
deposito, e vorremmo trovare un buon albergo, farci una doccia e cambiarci.
Con la coda dell'occhio scorgo la
preoccupazione sul viso di Bruma. Ma l'aria del buon padre di famiglia,
così come sono abituato a recitarla, ha sempre buon gioco.
I quattro cagnotti mi scrutano a lungo.
In ogni squadra che si rispetti c'è quello fa la carogna, il buono,
l'indifferente, e poi varietà e tipologie a scelta. Quello che mi
dà un'occhiata incuriosita deve essere il buono, ed è alla
guida.
- Signore, - dice quello con l'aria
da duro, che è accanto al pilota. - Ci favorisca i documenti.
Bruma impallidisce accanto a me. Fa
per muoversi, ma io mi volto verso di lei e ammicco. Apro il portafoglio,
tiro fuori due tessere e quattro biglietti da centomila che brillano un
istante alla luce e poi spariscono nelle mani della ragazza, che deve essere
il cassiere.
Il duro prende le tessere, le scruta
attentamente, guarda me e Bruma, poi me le restituisce. - Signore, per
la stazione, procedete per questa via per un centinaio di metri, e poi
svoltate a destra, in via Bahia, fino in fondo. - Mi lancia un sorriso
che vorrebbe risultare simpatico ma non lo è. - E se cercate un
albergo, andate al Buenavista, vicino alla stazione. E dite che mi manda
il sergente Antoni.
Io raccolgo le mie tessere e le rinfilo
nel portafoglio. - Molto obbligato, sergente. Grazie per le indicazioni,
e buona giornata.
L'auto riparte. Noi due ripartiamo.
- E ora filiamo verso la stazione,
prima di incappare in qualche altra pattuglia meno malleabile.
Bruma tira un respiro di sollievo,
mentre la jeep si allontana. - Che diavolo gli hai fatto vedere?
- Quattro biglietti da centomila,
una tessera dell'Associazione Amici delle Forze dell'Ordine intestata a
mia nome, e una vecchia carta d'identità di mia figlia.
Procediamo a destra, lungo la strada
indicata dagli agenti. - Te l'ho detto... saresti un ottimo Straniero.
Sei sicuro di non avere il nostro sangue nelle vene?
- Sono solo un uomo prudente... la
mia memoria è partita, ma certe cose mi sono rimaste impresse. Sapevo
di avere quella tessera ed altre simili in tasca, e di avere i duplicati
dei documenti di mia moglie e mia figlia. - Guardo la stupefazione negli
occhi di Bruma e sorrido - Prima che se ne andassero, ho provveduto a fingere
uno smarrimento, a fare i duplicati, e a tenermi gli originali... pensavo
che mi sarebbero stati utili. - Mi batto una mano sulla fronte - Ma guarda
cosa mi è rimasto in testa!
Bruma annuisce: - Eri un poliziotto
o qualcosa di simile? Un consulente, un criminologo... non sono i ragionamenti
di un professore. Meno che mai in pensione.
- Non lo ricordo. Per quel che mi
ricordo, posso esser stato un pusher, un contrabbandiere, un malavitoso.
Ma penso di aver avuto a che fare con la legge diverse volte, nella mia
vita, ed aver imparato a conservare sempre una via d'uscita in qualunque
occasione. - Le batto una mano sulla spalla - A parte alcune eccezioni,
come ieri sera.
Stiamo muovendo verso la stazione,
in viale Bahia, un lungo e largo rettilineo, diviso al centro da aiuole
e colme di cespugli e fiori, e costeggiato da bar all'aperto, pub, negozi.
La gente si è svegliata, e passeggia per le vie. Bruma osserva con
l'interesse di un antropologo gli autoctoni.
- Deve essere una qualche municipalità
privata, costruita come un luogo di villeggiatura per anziani danarosi
e le loro famiglie. Guarda gli abiti, e le auto.
- Proprio una bella gente... basta
guardare il modo con cui ci scrutano.
E in effetti ci guardano, eccome.
Guardano la ragazzina ventenne, alta e sottile, con i jeans tagliati al
ginocchio e la maglietta a righe bianche e blu, con il suo zaino colorato;
e accanto quello che a scelta può essere il padre, lo zio, o l'amante,
età media cinquant'anni, alto, grosso, un po' imbolsito, corta barba
sale e pepe, capelli di media lunghezza, scarpe da vela, pantaloni di lino
beige un po' stazzonati, camicia azzurra altrettanto stazzonata e sporca,
occhiali rotondi sul naso.
- Perché siamo diversi da loro,
- dice Bruma - Gli Stranieri, quando capitano in qualche luogo che non
conoscono, cercano subito di capire chi è la gente e come si veste.
Per noi l'arte della mimesi è una delle arti principali... dobbiamo
subito mimetizzarci in mezzo agli altri. Non possiamo permetterci di farci
scoprire.
- E se vi scoprono?
- Se ti prendono e ti mettono in prigione,
per uno Straniero è la fine. Non puoi resistere più di una
settimana fra quattro mura... - Apre la bocca e indica un punto della mandibola
- Se non riesci ad aprirti una Soglia in qualche modo, e a fuggire, la
prima soluzione è un segnale d'allarme, che speri possa esser raccolto
da qualche Straniero di passaggio, che venga a tirarti fuori. - Indica
un secondo punto della mandibola - La seconda è il cianuro.
Mi sento rabbrividire. - Perché?
- Te l'ho detto... abituati alla libertà,
non ce la faremmo mai a restare fra quattro pareti. E se ti passano a qualche
droga psicodislettica, gli racconti magari tutto di noi, e così
scoprono la nostra esistenza. - Bruma alza le spalle, come per farsi scivolar
di dosso tutte le magagne dell'esistenza. Poi, nel mentre che passiamo
davanti ad un bar, mormora. - Che ne dici di mangiar qualcosa?
- Mi sembra una buona idea. Ma prima
andiamo a mimetizzarci da buoni cittadini di Secundya, anche perché
sono stufo di essere osservato da tutti. - Indico a Bruma una boutique.
- Andiamo laggiù.
- Ma hai proprio dei soldi da buttar
via?
- Non lo so. Ma mi sembra comunque
che saranno ben spesi, se c'impediranno di ficcarci nei guai.
Quando usciamo, i nostri vestiti e
lo zaino di Bruma sono rinchiusi in una elegante borsa da viaggio. La ragazzina
ventenne indossa un lungo abito di cotone a minuscoli fiorami, verde chiaro,
e porta sulla spalle un giubbetto beige. Il padre cinquantenne ha un paio
di calzoni color sabbia, una camicia bianca con le maniche corte, una giacca
terra di siena e un panama che gli nasconde i capelli. Perfettamente mimetizzati
nell'ambiente della cittadina di Secundia, il nostro protagonista e la
ragazza che l'accompagna convengono che sia possibile ora accomodarsi per
il desinare e si siedono ad un tavolo nel patio del bar Orchidea Nera,
dove consumano una breve colazione a base di succhi di frutta, brioches
calde, caffè di cereali.
Mentre stanno discutendo sul da farsi,
diverse persone entrano nel patio.
- C'è qualcuno, - mormora improvvisamente
la ragazza.
Il padre si guarda attorno, senza
capire. - Che cosa?
La ragazza sembra intenta a captare
una qualche forma di percezione diversa da quella quotidiana. Se noi potessimo
osservarla con attenzione, scopriremmo che sta rivolgendo le sue invisibili
antenne radar, al di là della metafora ciò che noi chiamiamo
Terzo Occhio, nel patio e vicino perché ha udito una frequenza familiare.
- C'è uno Straniero... vicino a noi, ma non riesco a individuarlo.
Il padre scruta i nuovi venuti che
stanno prendendo posto. - C'è gente di tutti i tipi...
Poi un giovanotto sui venticinque
anni, alto e ben piantato, dalla pelle color miele e dai capelli corti
e biondi, vestito con una camicia hawayana e un paio di pantaloncini da
mare, entra in scena e sorride all'indirizzo del padre; gli si avvicina
con un sorriso ancor più grande, si china verso di lui e mormora:
- Straniero?
La ragazza è più veloce
a rispondere: - In terra straniera.
Il giovanotto sorride: - Fate finta
di niente... potrebbe esserci qualcuno dell'Altro Potere. Comportiamoci
normalmente.
Il padre si rivela un abilissimo public
relation. Fa accomodare il giovanotto, lo presenta alla figlia come il
figlio di un suo conoscente, ordina alla cameriera qualcosa... nessuno,
osservando la scena, sospetterebbe qualcosa. Solo un attentissimo ossevatore
potrebbe notare sotto il panama i capelli lunghi del padre, e sotto la
camicia hawayana i tatuaggi del giovanotto che non sono propriamente quelli
che vengono fatti nei negozi di cosmetica.
Dopo colazione il protagonista e i
due Stranieri escono a fare una passeggiata verso la spiaggia.
- Genova, - spiega lo Straniero che
si chiama Roberto. - Dista un'oretta da qui in treno, mezz'ora in aliscafo.
Ma se hai la forza adatta, ti conviene usare una Soglia, perché
siamo al centro di un'area che è controllata dall'Altro Potere.
Temo che ci siano controlli alle stazioni marine e terrestri. Non vogliono
intrusi. E meno ci facciamo vedere in giro, meno possibilità abbiamo
di farci prendere.
- È un brutto posto, infatti.
- Ci sono arrivato ieri, e mi sono
subito mimetizzato... ma oggi voglio ripartire. Non c'è nulla di
interessante, qui. - Roberto indica via Bahia che ora stanno ripercorrendo
all'incontrario - Fino a un paio di anni fa, quest'area era un parco naturale...
una meraviglia. Potevate andarvene lungo i sentieri, fra gli ulivi e i
vigneti, o scendere direttamente in qualche baia tranquilla e deserta,
in spiaggia, sulla scogliera. I vecchi paesi erano abitati per la maggior
parte d'estate, e da un pugno di turisti. Poi i comuni si sono uniti in
una società per azioni e hanno eliminato il parco, con la scusa
che dovevano aprire nuovi posti di lavoro per i cassintegrati, gli esclusi
e i licenziati. Hanno fatto una colata di cemento che non si era mai vista
in tutto l'arco ligure, e nel giro di un anno hanno tirato su questa schifezza.
Io non lo sapevo, naturalmente... ero stato un anno a Roma, per vedere
se c'era possibilità di vederla prima che il Giubileo la distruggesse
completamente. Sono arrivato, sicuro di trovare il panorama a cui ero abituato.
E sono finito qui.
- Già. - Il padre assume un'espressione
disgustata - Ora mi ricordo che città è questa. C'è
Prima, Secondya, Tertia, Cuarta, Quinta...
- Un tempo si chiamavano Cinque Terre.
La ragazza dice: - Credi davvero che
ci sia gente dell'Altro Potere?
Roberto: - E chi, se no, potrebbe
trasformare uno dei più panorami della riviera in una serie di cittadine
turistiche?
La ragazza annuisce. - Tempo mezz'ora
e scompariremo. Tu dove vai?
Roberto sorride. - Prima voglio fare
un salto alla Casa Madre. E poi voglio andare in Cina. È un luogo
che mi attira, ma non ho mai trovato la maniera di restarci per un po'
di tempo... non è che sia facile mimetizzarsi, essendo un bianco.
Ora sono riuscito a prendere una borsa di studio a nome di un altro studente
di Roma.
- Un bel colpo.
- Già... la mimetizzazione
da studente è la migliore, in un posto così. Studente di
lingua e cultura cinese. Inespugnabile... - Lo Straniero sembra considerare
per un istante la prospettiva della Cina, ma invece segue un qualche suo
pensiero - E per quanto riguarda il vostro problema, non so che dirvi.
Nessuno degli Stranieri che ho incontrato in questo periodo mi ha accennato
a una maggiore attività dell'Altro Potere... e non riesco ad immaginare
perché mai qualcuno potrebbe averti scagliato contro addirittura
tre Guastatori. Probabilmente conosci qualcosa di importante per l'Altro
Potere, qualcosa che devono sapere direttamente da te; per questo ti hanno
cercato di rapire. - Lo Straniero sorride amichevolmente allo Stanziale
e gli batte una mano sulla spalla - In caso contrario, ti avrebbero già
ucciso.
La ragazza mormora: - Cosa consigli
di fare?
- Consiglio la massima attenzione.
Tu sai come sono fatti i Guastatori: avranno in memoria le vostre immagini,
e vi cercheranno fino a che non vi avranno trovati, o voi li avrete distrutti.
- Non è semplice... ci ho provato
con il colore...
Lo Straniero si ravvia i capelli con
una mano, e fa una smorfia: - Dovresti frequentare più spesso la
Casa Madre, Bruma... si scoprono spesso cose interessanti. Un ragazzo di
Londra ha dissolto un Guastatore con la sua musica. Lo ha intrappolato
in una stanza e ha suonato ininterrottamente il proprio violino per un'ora,
fino a quando il processo di decomposizione ha intaccato il sistema nervoso
del Guastatore. - Sorride. Visto così, sembra un innocuo giovane,
bravo ragazzo. - Attualmente stanno cercando di studiare una qualche arma
che li dissolva, ma credo che il processo sia troppo complicato. - Si mette
una mano intasca e ne estrae un oggetto piatto e sottile, che sembra uno
degli odiati cellulari. - Per ora hanno inventato questo. È l'ultimo
ritrovato della Commissione Scienze degli Stranieri. Rivela nel raggio
di dieci chilometri i Guastatori, ed ha una durata praticamente illimitata,
perché percepisce la loro composizione chimica. Puoi far finta di
dire sciocchezze al telefono e aver sempre sotto controllo la situazione.
- Lo porge alla ragazza. - Ne avete più bisogno di me.
- E tu?
- Fra un'ora sarò alla Casa
Madre... sarebbe il colmo della sfortuna incappare in un Guastatore, per
giunta in grado di riconoscermi.
- Dimmi una cosa, - domanda il padre
al giovane Straniero. - Questa guerra che vi oppone all'Altro Potere e
ai Guastatori, da quando ha avuto origine?
- Non lo so. Credo che nessuno lo
sappia, neanche gli Anziani... tutto quello che si sa a proposito, e credo
che Bruma te ne abbia parlato, è che il cosmo intero è diviso
fra gli Dei da una parte, e l'Altro Potere dall'altro. Gli Dei crearono
l'universo per proprio divertimento, e crearono anche l'Altro Potere, i
propri antagonisti... da allora lottano, in questo mondo e in altri, per
la supremazia. In mezzo ci siamo noi Stranieri e voi Stanziali. Noi abbiamo
un piccolo vantaggio, su di voi, che è quello di poter accedere
all'Intermundia, e attraverso di esso allo spazio e alle altre dimensioni...
- Tu sei mai entrato in qualche altra
dimensione? - chiede Bruma.
- Non me ne vogliate, - risponde lo
Straniero scuotendo il capo. - Ma non sono autorizzato a parlarne in presenza
di uno Stanziale... già quello che stiamo dicendo, è troppo.
- Io non parlerò di certo.
A lei devo la vita, di certo.
- Sì. Ma noi non dovremmo rivelare
la nostra esistenza... in nessun caso. Finisce che spesse volte lo facciamo,
e sempre per motivi di questo genere: aiutare gli Stanziali contro l'Altro
Potere. Tutte quelle leggende metropolitane sui viaggiatori, da dove credi
che nascano? Dalle chiacchiere che si fanno su di noi.
Ora i tre, i due Stranieri e lo Stanziale,
sono arrivati alla spiaggia. Lo Straniero indica un muro, dietro le cabine.
- Laggiù c'è un ottimo
muro, al riparo, adattissimo per aprire Soglie.
La ragazza dice: - È ora di
andarsene.
Lo Straniera l'abbraccia e la bacia.
- Buona fortuna, Bruma. Se ti capita di passare a Canton vienimi a cercare.
- Buona fortuna, Roberto. Porta i
miei saluti alla Casa Madre. Dì al Collegio degli Anziani che cercherò
di mettermi in contatto con loro per saperne di più.
Lo Straniero mi stringe la mano. -
Buona fortuna anche a te. Peccato che si nasca Stranieri e non lo si possa
diventare, perché tu hai la stoffa per esserlo.
- Buona fortuna anche a te, Roberto,
e grazie di tutto.
- Stranieri... - dice lui.
- In terra straniera, - aggiungo.
- Vedi? Cominci a comportarti come
uno di noi.
La superficie del muro è grande
e bianca.
Bruma estrae dallo zainetto che ha
sulla schiena la sua scatola di matite colorate, e rapidamente comincia
a disegnare sulla superficie del muro un paesaggio urbano.
- Che stai facendo?
- Apro una via d'uscita.
Guardo le sue mani che corrono veloci
sull'intonaco. I capelli neri, il vento meridiano li trasforma in un nembo
più scuro di quelli che il crepuscolo gravita sulla città.
- Per dove?
- Per dove siamo venuti.
... la sua tecnica mi ricorda qualcosa
o qualcuno, ma per quanti sforzi faccia non riesco assolutamente a ricordare.
C'è un'insidiosa muraglia di pietre che non riesco ad attraversare
e quella muraglia è la mia frastornata memoria.
- Ma la gente che vede i disegni,
non sospetta di nulla?
Bruma si passa una mano sul viso.
- I disegni si autodistruggono dopo il Transito... durano solo pochi minuti,
il tempo di aprirsi una strada e scomparire. Ma il pericolo è che
qualcuno ti veda all'opera.
- Starò di guardia, - dico
io e mi metto ad osservare attorno, ma non vedo nulla e nessuno e il rilevatore
che ho in mano non segnala nulla.
Quando Bruma ha terminato il disegno,
attraverso l'aria qualcosa comincia a ronzare e il disegno sembra lento
lento prender corpo e spazio e forma dinanzi a noi. Allora Bruma estrae
dallo zaino i suoi pennelli e comincia a spargere colore su quelle strutture
che velocemente si animano.
- Che Soglia è? Dove ci porta?
- Da dove siamo partiti, ma in un
luogo in cui spero di non incontrare nessuno degli emissari dell'Altro
Potere. - Il suo volto esplode in un buffo sorriso, mentre il sole che
è alto chiama a raccolta tutti i demoni meridiani e dardeggia calore
sulla Soglia e sui pennelli di Bruma che schizzano colore. Non ricordo
quando ha cacciato via i Guastatori con il colore, ma certo doveva essere
uno spettacolo come quel momento in cui la Soglia comincia a tribolare
e splende di Luccicanza...
Lei ripone le sue cose nello zaino,
e mi prende per mano. -Ora, ora è il momento di transitare!
... il Transito da Soglia a Soglia
avviene istantaneamente, senza scossoni o tremiti o movimenti. L'Intermundia
è un vuoto lattiginoso e amniotico che dura un secondo, e da quel
luogo misterioso in cui fino ad allora ci stavamo trovando, di colpo siamo
proiettati nuovamente nella vecchia Regio Gheennalis.
Ci mescoliamo tranquillamente ai cittadini
che passeggiano lungo via XX Settembre. Gli uffici stanno chiudendo e le
scuole aprono allo sciame degli studenti. Bar e paninoteche rigurgitano
di persone. Nel Transito, mi dice Bruma, basta assumere indifferenza e
muoversi senza dare nell'occhio per scapolarla, giacché nessuno
si accorge, se ti muovi con naturalezza, che di colpo ti sei materializzato
di fronte a lui.
- Ok, - faccio a Bruma. - Ora dimmi
dove siamo e cosa sta accadendo. Chi sei tu, chi sono io, chi sono i Guastatori
e il luogo da dove veniamo. E che facciamo qua. Se il passaggio inverso
doveva farmi tornare la memoria, non l'ha fatto.
Bruma mi prende a braccetto e le unghie
sfiorano il mio braccio. Un brivido mi serpeggia sotto il segno delle sue
unghie e mi sale ai lombi e al cervello... cerco di cacciar via quei pensieri
ricordando che mia figlia Rachel ha la stessa età di Bruma.
- Ci saranno mille orecchie che ti
ascoltano, qui. Cerca di esser naturale, eh?
- Naturale?
- Sì. Almeno fino a quando
non entreremo a Palazzo Ducale, a veder la mostra di Magnasco.
- Vuoi andare a vedere la mostra di
Magnasco? Ora?
- Certamente, - dice lei - È
uno dei luoghi che i Guastatori che hanno difficoltà ad affrontare.
L'arte, in tutte le sue forme, risulta così incomprensibile da mandare
in cortocircuito le loro funzioni neurovegetative. È per quello
che il colore li disorienta.
Bruma adesso ha riassunto l'identità
di una studentessa dell'Accademia, che forse è la sua vera realtà,
e chiacchiera piacevolmente di Alessandro Magnasco mentre ci facciamo strada
nelle eterne trincee che stanno dinanzi a Palazzo Ducale. Il traffico è
completamente bloccato e la gente si destreggia a fatica fra gruppi di
operai lucidi dal sudore e nerboruti, blocchi di pietra e furgoncini della
manutenzione bloccati fra le reti arancioni. Le guardie municipali a fatica
incanalano il traffico. Il colpo d'occhio su palazzo Ducale è impressionante,
sembra uno sventrato campo di battaglia fra le macerie e la polvere ma
ciò che maggiormente mi stupisce, devo dire, è come il caos
sia aumentato dalla sera precedente.
Nell'atrio, a cui giungiamo dopo una
sarabanda infernale che ci costringe a muoverci fra mucchi di sabbia e
parallelepipedi pietrosi, non c'è poi molta gente. Facciamo i biglietti.
Bruma continua a chiacchierare piacevolmente di Magnasco.
Passo i due biglietti alla ragazza
che sta ai piedi dello scalone. Le ne straccia un angolino, con un cenno
e un sorriso c'invita ad accomodarci. Saliamo ai piani superiori, un momento
per guardare i tetti di lavagna e i comignoli della Regio Gheennalis, i
campanili e le case vecchie prima che il Comune decida di abbatterli per
costruire nuovi grattacieli.
- Ma chi sono? Voglio dire, chi...
li ha generati, i Guastatori?
Bruma si passa una mano sul viso.
- Chi lo sa? Improvvisamente sono comparsi... una trentina d'anni addietro.
Li creò qualche Agenzia, qualche Ufficio che aveva bisogno di una
manodopera poco costosa e molto efficiente. I primi esemplari furono segnalati
durante la rivolta di Chicago, nel 1968...
- Mi ricordo. I vecchi beat e gli
hippy intonarono una loro qualche pagana rogazione per cacciare via le
forze del male, rappresentate allora dal sindaco Daley. Forse anche a Genova
ne avremmo bisogno, per allontanare l'attuale sindaco e la sua corsa alla
distruzione... come se volesse trasformare la città in un ufficio,
o un supermercato, e tutto in vista di questo assurdo party...
Bruma ride. - Scusami, ma sei buffo
quando fai così. Anche ieri... continuavi parlare del sindaco e
della città e dei partiti che l'hanno ignobilmente governata. Sei
proprio uno Stanziale.... non ti allontaneresti mai dalla città.
- E per andare dove?
- I tuoi amici hippy avevano una bella
canzone che tiravano fuori per spiegare meglio questo concetto... aspetta...
come faceva? - Sembra pensarci un po' sopra, si schiarisce la voce, cambia
posizione e poi la sua voce si leva nel silenzio ed il vento immateriale,
rotola lungo i tetti e gli abbaini e raccoglie tutte le parole, sembra
rinforzare il suo canto: - HI JACK the starship carry 7000 people past
the sun and our babes'll wander naked thru the cities of the Universe c'mon
free minds free bodies free dope free music the day is on its way the day
is ours...
Sento qualcosa che mi cola dagli occhi,
e non è nostalgia.
La mostra di Magnasco ci tiene occupati
fino a metà pomeriggio, anche perché riusciamo a consumare
un simpatico spuntino, da buoni turisti, alla cafeteria del museo. Bruma
dice che è meglio attendere che cali il buio per far ritorno a casa
mia, ed io le dò ragione, anche se vorrei soprattutto dimenticare
l'immagine dei Guastatori e di quella notte incredibile. Ma non ricordo
chi sono stato, e questo è un problema.
Dopo pranzo Bruma, per ingannare il
tempo, suggerisce di andare al cinema. Benché sia pericoloso, lo
è meno che girare senza meta e poi i Guastatori non vanno al cinema.
Di primo pomeriggio, mi ricordo d'esserci stato l'ultima volta quando mia
figlia Rachel era bambina. Mi ritrovo però a vedere L'ultima
tempesta di Peter Greenway, film che Bruma non conosce; e le piace
tanto che mi costringe a vederlo due volte.
Usciamo che è buio. La sera
inizia a calare in fretta a settembre, ma l'aria è ancora calda
e l'autunno non comincia mai troppo presto a colorare il mondo della sua
presenza. Porto Bruma a vedere la Regio Gheennalis, o meglio quel che il
Sindaco (che ora comincio a pensare sia davvero un'emissario dell'Altro
Potere) ha risparmiato della città, passando dal Ponte Monumentale.
Il Sindaco deve essere un saiberpunch, perché ha tirato giù
i vecchi edifici ottocenteschi costruendo grattacieli che sembrano alveari.
Il post-moderno ha attecchito bene nella Regio Gheenalis, ma che io sia
dannato se ai cittadini è mai piaciuto questo pechuork di stili.
Una strana, quasi ebbra allegria mi
pervade le membra per questi strani giorni. Chissà perché,
l'idea che una serie di eventi sconvolgenti abbia distrutto l'ordine, o
almeno quello che io ricordo, della mia precedente esistenza, mi rallegra.
- No one remembers your name when
you're strange, when you're strange, when you're strange...
O forse è la voce di Bruma
che mi ha preso a braccetto, e canticchia questo vecchio hit dei Doors
che io fischiettavo già... quando? Strange Days uscì
nel 1967... io avevo... ventotto anni... bei tempi, eravamo tutti in piena
rivolta...
Forse mi sto divertendo così,
perché questa situazione mi ricorda proprio quegli "strani giorni"?
- È il caso che entriamo? -
dico. - Non ricordo assolutamente quel quartiere e meno che mai l'appartamento
in cui abito, ma tutto in quel mezzo buio mi appare sinistro.
- Per forza. È notte... la
mia energia se ne sta nuovamente andando. Ho bisogno di riposare, di mangiare
e di dormire. Non posso affrontare neanche un'ora, in questo modo.
- Ok. E se c'è qualcuno?
- Chi?
- La polizia, i Guastatori, il loro
mandante...
- Chi ha la chiave di casa?
- Nessuno, neanche la mia donna. E
comunque non è certo il tipo da darsi daffare per venire a cercarmi.
- E allora entriamo. I Guastatori
non ci sono, perché l'apparecchio non li segnala. E quanto alla
polizia, se ci scoprisse, inventerai una storia sulla tua fuga. Ho visto
che te la cavi egregiamente, per essere uno Stanziale.
Sospiro così forte che nel
buio potrebbero udirmi per tutta la Regio Gheennalis. Fino a ieri pomeriggio
era un calmo e tranquillo sessantenne, ancorché ben conservato e
passabilmente piacente, ed ora sono uno smemorato che se ne va in giro
con una ragazzina che appartiene ad una strana etnia nomade, dotata di
strani poteri, e sono braccati da tre golem e da qualcuno che combatte
contro gli Dei. Se facessi lo scrittore di fantascienza, avrei materiale
per scrivere un paio di romanzi.
Apro il cancello. Per fortuna il condominio
in cui abito è vuoto o almeno attualmente occupato in altre faccende,
e poche sono le luci accese. Traversiamo in silenzio il cortile. Nessuno
sembra accorgersi di nulla. Apro il portone, faccio entrare Bruma e guardo
dov'è il mio appartamento. Numero uno. Mi sembra di esser sul punto
di compiere qualcosa di illegale, e mi domando il perché ma non
riesco a capirlo... forse è il fatto di non riconoscere assolutamente
nulla di ciò che mi sta attorno. Apro la porta e prima che qualcuno
possa sentirci, apro velocemente la porta, faccio entrare Bruma e chiudo.
Tiro un respiro di sollievo. Nel buio mi muovo a tentoni imprecando e finalmente
trovo un interruttore della luce.
- Non accendere, - dice lei. - Potrebbero
vederti dall'esterno.
... frammenti di memoria iniziano
a riaffiorare...
- Una stanza per volta. - La luce
che trapela dall'esterno, come raggi di luna, dalle tapparelle. Un veloce
esercizio di fuga, di chiusura, di accensione. La luce è accesa
nell'ingresso. Una stanza per volta.
- Una bella casa, - mormora Bruma.
- Già. Peccato che la riconosca
solo per brandelli...
Mi muovo attorno, senza capire il
perché ed il percome dei miei movimenti, stanza per stanza. Ciò
che mi colpisce, della mia trascorsa abitazione, è il numero spropositato
di oggetti che vi sono deposti, come se avessi trascorso quasi tutta la
mia esistenza (e a questo punto comincio ad averne proprio il sospetto)
a raccogliere cianfrusaglie.
- Ed è anche una casa molto
grande, per una sola persona. - Bruma si guarda attorno perplessa - Ti
dispiace se dò un'occhiata in giro?
- Figurati. Peccato che non posso
illustrartene le bellezze... sono tutte nuove anche per me.
Libri... una studio colmo di libri.
Una libreria. Apro una porta e finisco in una cucina, piuttosto spartana.
Una seconda porta e una camera da letto.
- Sei sicuro di abitarci da solo?
- La voce di Bruma giunge da lontano, attraverso le pareti.
- Sì... o almeno lo spero.
Una stanza che contiene vetrine e
vetrinette. Le vetrine sono colme degli oggetti più disparati, che
vanno da blocchi di minerali a conchiglie, da fossili a statuette di divinità
di ogni tipo e religioni. Apro i cassetti e gli sportelli e scopro scatole
di cartoline e classificatori di francobolli.
Incrocio Bruma in una specie di grande
biblioteca, dove c'è anche una grande scrivania colma di scartoffie,
e un vecchio computer dall'aria obsoleta. Non riconosco nulla di questi
armadi metallici che contengono libri, scartafacci, fascicoli e pile di
fogli.
- Tu devi esser ben conosciuto dal
Collegio degli Stranieri. Te l'avevo detto che devi aver sangue nostro
nelle vene.
- Vale a dire?
Lei indica i libri impilati sui ripiani.
- Sono libri di viaggi, memorie e diari di esploratori, atlanti, testi
di geografia, riviste di viaggi e di turismo. Tu devi esser stato uno studioso
di nomadologia, nella vita che non ricordi. E dato che il Collegio tiene
sempre in massimo interesse gli studiosi di viaggi, è facile che
ti conosca, e che sappia qualcosa di te. Domani mi metterò in contatto
con loro.
- Qualcosa, - rispondo, e come ipnotizzato
continuo a scrutare i libri che ho davanti. - Qualcosa... guarda qui. In
questi libri c'è il mio nome. Devo averli scritti io, benché
non me lo ricordi affatto... forse ho scoperto qualcosa che ha a che fare
con gli Stranieri, e quelli dell'Altro Potere se ne sono accorti.
- È possibile... ma se è,
domani lo sapremo.
- Qui c'è una sala piena di
dischi e cd, musicassette, videocassette, libri di arte... è il
paradiso degli artisti, - mi avverte dopo la voce di Bruma. - Tua moglie
e tua figlia avranno apprezzato, immagino.
Seguo la voce e arrivo nella sala
in questione. Mi guardo attorno, e immagino di avere l'espressione di chi
va scoprendo di sé tutta una serie di cose che non conosce.
- Penso che non fossero in grado di
distinguere un impressionista da un concettuale, se è per questo.
Ma quel che è peggio, è il fatto che la figlia abbia preso
dalla madre. Non poteva prendere da me?
Bruma si materializza dal nulla. -
Mi dispiace. Ma posso comunque rassicurarti di una cosa. Nessun Guastatore
riuscirà mai a entrare qui dentro.
- Sì?
- Certo... non entrano mai, nemmeno
per compiere qualche lavoro, in luoghi d'arte, di qualunque genere. Non
entrano mai in luoghi di culto. Te l'ho spiegato; la loro intelligenza
è limitata ad eseguire gli ordini... un compito che svolgono anche
troppo bene, se vogliamo... ma che gli impedisce ogni contatto con la bellezza,
con l'affettività, con l'estetica in ogni forma, con il sacro e
lo spirituale, con la ragione nelle forme più alte. Se entrassero
qui, - e indica una riproduzione di un quadro di William Blake che è
appesa alla parete. - Solo alla vista di questo impazzirebbero. Ma non
potrebbero mai oltrepassare neanche la soglia, perché proprio nell'ingresso
c'è una grande statua del Dio Ganesha.
- Credo sia il mio Dio preferito...
comunque, dopo questa notizia mi sento un po' più al sicuro. E dimmi
una cosa: anche l'Altro Potere ne soffra, di questa sindrome?
- Certo. Mio padre mi diceva che gli
schiavi dell'Altro Potere gli ricordavano i Biechi Blu, i cattivi del film
Yellow
Submarine... l'hai visto?
- Benché non sia mai stato
un fan dei Beatles. Era un grande film a cartoni animati.
- Beh, mio padre diceva che erano
proprio così. Che il sogno dell'Altro Potere è un mondo senza
musica, senza colore, senza arte e spiritualità, senza risa, senza
affetti.
- Beh, se quello è il sogno
dell'Altro Potere, sembra che ci stiano riuscendo.
La perlustrazione della casa anziché
sciogliere i miei interrogativi ne solleva di nuovi. Mentre Bruma fa la
doccia e io organizzo una cena, la mia mente s'aggira per quei meandri
che sono il mio passato, di cui la casa è soltanto un tenue filo
d'Arianna.
Soprattutto mi ha colpito una cosa.
Che in questa specie di grande magazzino di oggetti e libri, dove non c'è
nessuna traccia di presenza femminile, abbia scoperto le foto di mia figlia
(ma non di mia moglie e nemmeno della mia attuale donna) in un pannello
di sughero, assieme a foto mie e dei miei amici e a fogli e foglietti e
numeri di telefono e altre amenità. Mia figlia ha qualcosa di me,
ma guardandola, non riesco a provare nessuna affettività nei suoi
confronti, così come non ne provo per la mia casa o per gli amici
che ho visto nelle foto.
Nessuna affettività per nessuno.
La memoria si è portata via il passato, ma anche l'affettività
del suo ricordo.
Ed è allora che per un attimo
la Grande Muraglia s'infrange, e una fiammata spaventosa, come di un grande
incendio, brucia nella mia memoria; con estrema vividezza - sono dinanzi
ai fornelli e l'immagine della cucina viene cancellata da un fuoco eterno
che scintilla contro un grande cielo stellato. Un dolore al fianco mi colpisce,
una sorda fitta che mi lascia senza respiro. Mi aggrappo al bordo della
tavola e barcollo...
... poi come è venuto se ne
va. E io sono di nuovo l'uomo senza memoria.
- Ok, - dico alla fine della cena.
- È ora di andarsene a letto. Ti preparerò quella che sembra
essere la camera degli ospiti, benché io a malapena ricordi di averla
usata.
Bruma sorride. - Pensavo che tu fossi
uno di quelli a cui le donne cadono fra le braccia.
- Un tempo, forse. Adesso... ho quella
donna, fino a quando durerà. - Per quanti sforzi faccia, non riesco
neanche a ricordarne il nome - Poi sarà una delle tante che prima
o poi si allontana.
- Non deve esser piacevole, comunque.
Alzo le spalle. Chissà perché
ho voglia di fumare, benché sappia di aver smesso di fumare da tempo.
Ma la vista di un mobiletto porta-pipe, adeguatamente ricolmo di arnesi
di ogni fattura, dal chilum al calumet, mi ha messo addosso questa insana
voglia. - Tu non hai nessuno? Voglio dire, un uomo... un... - Faccio un
gesto con la mano destra, per significare qualcosa che non riesco ad esprimere.
Ignoro i costumi degli Stranieri, ma se è per quello, anche i nostri.
Non riesco a immaginarmi mentre parlo a Rachel dei suoi rapporti con il
genere maschile.
Bruma scuote il capo. Un'ombra di
malinconia trapela dai suoi occhi verdi, che nella luce quieta della cucina
risplendono di una strana luce. - No, non ho nessuno. Nessun ragazzo, uomo
o fidanzato.
- Beh, ce l'avrai avuto.
- No. Non sono mai stata di nessuno.
Sono sempre stata sola.
Adesso mi sento molto imbarazzato.
Non ho idea di come ci si comporti con una ragazza su questioni del genere;
sicuramente in modo diverso da come abitualmente ci si comporta fra gli
adulti.
- Volevo dire che... insomma, quando...
quando hai qualcuno e questo qualcuno se ne va, sulle prima sembra una
gran perdita, ma poi... poi si scopre che si vive benissimo anche senza.
Che nulla di sostanziale è cambiato nella tua vita.
Bruma con i rebbi della forchetta
sposta le briciole di pane e le allinea, le raduna, le trasforma in righe
e poi in disegni. - Può darsi che tu abbia ragione. Io fino a sedici
anni sono cresciuta con mio padre e mia madre... per noi Stranieri, te
l'ho detto, è un continuo girovagare, inventarsi identità,
lavori, modi di sopravvivenza. Cambiavamo città e tutto ricominciava
daccapo. Ogni tanto ci univamo a qualche altra famiglia di Stranieri, restavamo
per un anno in una città, poi partivamo di nuovo. Poi mio padre
si stancò della famiglia e ci lasciò. Trascorsi un anno con
mia madre, e scoprii che quello di "madre" era un ruolo che le andava stretto.
Finiva sempre con il legarsi a qualcuno che era in procinto di effettuare
il Transito da questo mondo ad un altra dimensione... forse in un altro
pianeta. E per colpa mia doveva lasciar perdere. Quattro anni fa, una notte,
a Benares, il partner di mia madre decise che voleva aprire una Soglia
verso un pianeta che ruota attorno a Bellatrix... mi pare si chiamasse
Henneberg.
- Bellatrix? - Mormoro, affascinato.
Per me, che al di sotto di Roma non sono mai sceso, parlare di pianeti
che a fatica vengono raggiunti dalle astronavi è quanto meno terrificante.
Ma nel contempo riesce a darmi una piacevole scossa.
- Sì. Lo spazio... quello che
noi chiamiamo Intermundia, è una specie di collante che unisce l'universo,
qualcosa di simile all'anima stessa del mondo. - Sposta ancora le file
di briciole, fino a creare una specie di fiore. - Puoi aprire Soglie in
ogni luogo di cui tu sappia le coordinate, in qualunque parte dell'universo...
e per gli Stranieri più esperti, anche oltre. - Alza il capo e mi
guarda - Naturalmente gli Stanziali ignorano anche solo la nostra esistenza...
così come l'hai sempre ignorata anche tu.
- E non pensi che dicendomi...
- Infranga qualcosa? Penso di potermi
fidare di te. Quando io me ne sarò andata, sono certa che non andrai
a raccontare in giro quanto ti ho detto. E se anche lo facessi nessuno
ti crederebbe... se non quelli legati all'Altro Potere. Che sono i primi
a tacitare la nostra esistenza, perché se gli Stanziali sapessero
dell'esistenza di questa nostra razza... verrebbero a sapere della loro.
E si ribellerebbero a tutto.
- Sì.
- Comunque sia... ti stavo dicendo.
Mia madre non riuscì a partire con lui. Stette molto male. Ricordo
bene quella notte a Benares; avevamo trovato alloggio presso i monaci di
un tempio dedicato al Dio Ganesha, e sentivo nella notte le loro litanie.
C'era una gran luna all'orizzonte e mia madre piangeva, e io sentivo che
mi odiava. Così me ne andai nella notte di fronte al dio dalla testa
di elefante e gli chiesi consiglio. Lasciai una lettera a mia madre, e
ne lasciai una al Collegio degli Stranieri per spiegar loro la situazione.
E da allora ho continuato a vagabondare per il mondo... ho incontrato tanti
compagni di viaggio, uomini e donne. Ma gli uomini, quale fosse la loro
età, finivano con l'innamorarsi di me, volevano portarmi a letto,
sposarmi, aver dei figli. Così mi sono abituata a stare sola...
a non appartenere a nessuno. Problemi in meno.
Mi sento sempre più imbarazzato.
Mi sento uno che sta ficcando il naso nelle vicende altrui, e senza permesso.
Riesco a dire, alla fine: - Non deve esser stato facile.
Un sorriso malinconico sul suo viso.
- No. Ma noi Stranieri siamo così... come dicevi, stamane? Straniero
sono alla Terra...
- Non nascondermi i tuoi precetti.
- Già. È la forza della
nostra razza, ma anche la nostra maledizione... sai, alle volte penso a
come possa essere l'idea di una vita normale. Di là, mentre preparavi
la cena, ho visto le foto di tua figlia... devi esser stato un padre eccezionale,
un uomo di cultura, un'artista, uno che tira sempre fuori dai guai la figlia...
e mi chiedevo perché una ragazza che può aver tutto dalla
vita, decida di seguire la propria madre... per cosa?
Sorrido. - Forse non le piacevano
i miei quadri. O la musica che ascoltavo... era come sua madre, non le
piacevano i miei libri e il mio disordine. Magari detestava la mia collezione
di francobolli. Mia moglie, probabilmente, si annoiava a morte con me e
voleva che la portassi a vedere qualche talk-show per rivedersi poi alla
televisione. Magari mia figlia voleva andare in discoteca tutte le sere
a impasticcarsi e io non la lasciavo. Chissà...
Bruma ha finito il suo mazzo di fiori
con le briciole.
Mi alzo. - Vado a prepararti la camera.
Tu vai a sentirti qualche disco, se vuoi... - Un altro sorriso mi si stira
sulla faccia - Ho tutti i Doors al gran completo. Inediti compresi.
Quando torno dall'aver riassettato
la camera degli ospiti, Bruma si è addormentata sul divano. Lo stereo
suona, anziché i Doors, Bob Dylan, e potrebbe ripetere all'infinito
Take
me on a trip upon your magic swirling ship, my senses have been stripped,
my hands can't feel to grip. Bruma ha l'aria molto tenera e molto indifesa,
con il capo sulla pancia dell'Orso Tato (un grande orso di peluche che
qualcuno mi deve aver regalato, ma non ricordo chi; l'Orso Tato ha grandi
piedi e grandi orecchie e una maglietta da marinaio e ride), e un plaid
gettato addosso.
Io la guardo per un po' e non so che
accidente fare. Svegliarla? Mi dispiace. Così la tiro su e la prendo
in braccio, e lei si aggrappa al mio collo e mormora qualcosa. Con la mano
sinistra riesco ad afferrare l'Orso Tato, e porto entrambi nella camera
degli ospiti. Lei si lamenta nel sonno, e io infilo tutti e due sotto le
lenzuola, e poi sistemo bene il copriletto. Dò un bacio in fronte
a Bruma, dico all'Orso Tato di fare la guardia e poi mi metto a perquisire
tutta la casa, tenendo sempre d'occhio il mio rilevatore di Guastatori.
Devo sapere qualcosa di più di me stesso.
Mi risveglio con la testa che è
un insieme di immagini e di informazioni, ancora nella posizione in cui
mi sono addormentato da poco, e cioè avvinghiato alla scrivania
su cui tutto il mio passato è steso in larghe volute. Ho ricostruito
in parte il mio passato e non è che mi piaccia particolarmente,
a dire il vero, ma ci sono diverse zone oscure, diverse zone d'ombra, anzi,
più sono le ombre che i frammenti conosciuti, ma è sufficiente
comunque per ottenerne qualcosa. Mi è tornato in mente, in modo
misterioso, parte della mia vita e di ciò che sapevo e non sapevo
fare, ciò che ho vissuto e cosa no, e assieme a questo brandelli
di ferite fiammeggianti... immagini di carceri... fuoco... fuoco...
Innanzitutto io sono un vecchio professore
di storia del viaggio e delle esplorazioni geografiche in pensione forzata.
Cioè, sono stato messo in pensione proprio quando l'università
è stata privatizzata e il consiglio di amministrazione ha deciso
che il mio insegnamento non serviva a nulla e l'ha sostituito con Tecnica
dei mass media. (Se è per questo, tre cattedre di latino sono state
accorpate in una e hanno inserito Marketing dell'editoria e anche Pubblicità
e Propaganda. Antropologia e Storia delle Religioni le hanno fuse assieme
però fa bella mostra di sé Storia del capitalismo...)
Il fatto che io sia un esperto di
viaggi può spiegare la mia dromofobia. La pensione, invece, mi è
costata il matrimonio perché mia moglie, quando, dieci anni addietro,
fui estromesso dal circuito del lavoro, se ne andò con Rachel. (Ora
vive con un docente di Storia e tecnica della televisione). Finanziariamente
sto bene, ma solo perché mia moglie si è risposata e non
devo più pagarle gli alimenti, e perché continuo a lavorare
sottobanco con il mondo editoriale. Ho scritto diversi libri di viaggio,
ho curato diverse memorie sul problema...
Ho anche un sacco di amici, come quelli
che ricordo dalla serata della Festa che però sembrano esser tutti
scomparsi, dal momento che nella segreteria telefonica non c'è nessun
messaggio. Ho trovato diversi numeri di videofono (apparecchio che non
posseggo) e altri inerenti alla posta elettronica della Rete (di cui non
ho il terminale al computer) e sto pensando come contattare questa gente.
Non ho trovato nessuna buona traccia del perché i Guastatori e l'Altro
Potere mi stiano cercando, a parte che, nei miei studi, io non abbia inavvertitamente
toccato qualche informazione relativa agli Stranieri.
E non c'è altro.
Ah sì, c'è ancora qualcosa...
una Beretta a tamburo, otto colpi, canna corta, nera e lucida, assieme
ad una fondina inside, di quelle che si legano alla schiena e una scatola
di proiettili. Non ha nulla a che vedere con le moderne armi che lanciano
aghi e sibilano al momento dello sparo; questa, se la memoria non m'inganna,
tuona e credo sia capace di aprire un buco anche in Guastatore.
Bruma si sveglia che è piuttosto
tardi. Fa una rapida comparsa per salutarmi e poi va a fare la doccia.
Quando torna, ha l'aria un pochino
più sveglia ma non di troppo. Ha indosso il mio accappatoio ma non
si è trascinata dietro l'Orso Tato.
- Ben svegliata, e benvenuta. Sei
pronta a fare la colazione?
Sorride e si siede. - Mi hai lasciato
dormire a lungo.
Le verso il latte e il caffè.
- Avevi l'aria stanca.
- Due Transiti in due giorni, e doppi,
perché ho dovuto far passare anche te, sono stancanti. - Sbadiglia,
si passa una mano sul viso - Cerchiamo tutti di aprir meno Soglie possibili,
perché è sempre un lavoro faticoso.
- Lo posso immaginare.
Bruma comincia a spalmare la marmellata
sul pane. Ignoro come così magra riesca a mangiar tanto. - Ascolta,
ho pensato a cosa potremmo fare. Innanzitutto trovare un posto pubblico
per la Rete, e contattare il Collegio della Casa Madre, in modo da saper
qualcosa su cosa possiamo sapere su di te e sul perché i Guastatori
ti stiano cercando.
- Questa mi sembra una buona idea.
E poi?
- E poi cercare di sapere perché
nessuno sembra preoccuparsi della tua scomparsa. - Morde una fetta di pane,
la mastica, la manda giù - Non ti sei chiesto perché nessuno
dei tuoi amici ti ha chiamato... e nessuno è venuto a vedere se
per caso eri tornato... e insomma, è come se il tuo rapimento fosse
stato completamente rimosso dalla memoria degli altri? Eppure c'era tanta
gente, quella sera. Tanti tuoi amici. E nessuno ha sporto denuncia, nessuno
è venuto a vedere quello che stava accadendo... nessuno?
- Quello è un problema minore.
- Non dico a Bruma che non è affatto strano; è normale, perché
da tempo noi Stanziali siamo divenuti così estranei, l'uno all'altro,
da non sapersi nemmeno più riconoscere.
Dalla parte opposta della casa c'è
un giardino, e nel giardino un garage che contiene un vecchio Ducati Scrambler
e una Lancia Appia che sembrano entrambe uscite dal museo dell'automobile.
Bruma ne è deliziata.
Bruma ha nascosto i suoi capelli neri
con una parrucca bionda che ho acquistato nella mattinata, porta lenti
a contatto nere, e la sua carnagione è diventata bianca. Ha anche
acquistato in peso e in statura. Un'opportuna serie di rughe fatte a matita
hanno portato la sua età, con un po' di fortuna, a almeno quota
venticinque.
Io mi sono tagliato i capelli cortissimi
e li ho tinti di un bel biondo cenere. Una folta barba bionda cenere m'incornicia
il mento, e, dato che non sopporto le lenti a contatto, un paio di occhiali
scuri mi coprono gli occhi. Un abito grigio di lino, un colore che non
indosserei mai, credo mi renda irriconoscibile perfino ai miei amici. Anch'io
ho preso diversi chili in imbottiture.
La giornata è una calda giornata
di settembre, anche se a tratti nuvolosa. La Regio Gheennalis è
intasata di traffico già alle prime battute e si procede passo a
passo, casa per casa, con la lentezza di un rastrellamento. Impieghiamo
quasi mezz'ora per raggiungere il centro città, e un autonoleggio
dove saliamo su una stescion-vegon assolutamente anonima, rispetto alla
mia Lancia Appia. Bruma calcola che se fossimo andati a piedi avremmo impiegato
la metà tempo. Ma i cittadini non possono vivere senza schiodare
le chiappe dai loro automezzi, e li usano anche per scendere a comprare
le sigarette, e così tutto procede con estrema lentezza.
Con l'autostrada giungiamo al limite
estremo della conurbazione, Savona, controllando sempre che non ci siano
Guastatori nelle vicinanze. Da Savona, in un posto pubblico, Bruma si collega
in Rete con un secondo posto pubblico a Roma, che la collega con un sito
clandestino di Londra, che la passa ad Amsterdam, e dopo non so quante
giravolte fino a Ixtlan, anonima sede della Casa Madre.
Io me sto fuori dalla cabina, con
il rilevatore in mano, come se stessi telefonando, e la mano destra sul
fianco, molto vicina alla Beretta. Mi guardo attorno ma a parte la solita
squilibrata umanità non trovo nessuno.
Siamo nuovamente sull'autostrada, in
marcia verso la Regio Gheennalis. Le nuvole sono solo un residuo, alte
nel cielo, ma la caligine e lo smog hanno creato una bella coltre rugginosa
e marroniccia nel cielo e coprono l'orizzonte della conurbazione. Non voglio
pensare allo stato dei nostri polmoni.
- Il Collegio ti conosce, - mi sta
dicendo Bruma, ed ora ha una strana espressione mentre mi guarda. - E ti
conosce molto bene. Ha seguito tutti i tuoi lavori da quando hai iniziato
ad occuparti di viaggi, e ti ha tenuto strettamente d'occhio, perché
aveva sempre il sospetto che tu fossi uno Straniero Territoriale.
- Uno Straniero Territoriale?
- Si chiamano così quelli di
noi che non sentono il richiamo del viaggio. Dopo un po' di tempo fanno
perdere ogni traccia al Collegio, s'impiantano in qualche città
creandosi un'identità fittizia. Usano raramente il Transito, e restano
come ibridi fra noi e gli Stanziali. Ma nonostante tutto continuano a pensare
al viaggio, e questo desiderio lo sublimano in attività di tipo
nomadico... scrivono, fanno film o girano documentari sui temi del viaggio,
organizzano viaggi-avventura. Finiscono lentamente con il dimenticarsi
d'esser stati Stranieri, e si convincono di esser sempre stati Stanziali.
Ma parlano, sempre e comunque, di viaggi. Sono pericolosi per noi, perché
tendono sempre, inconsciamente, a parlare della loro identità perduta...
- Vorresti dire che io potrei essere
uno Straniero?
Bruma scuote il capo. - Forse. Ma
io non sento la tua aura, e non l'ha sentita neanche Roberto. Qualcuno
degli Anziani, forse, potrebbe leggerti, se volesse... e non è escluso
che lo faccia, ma questo è un altro problema.
Una specie di piramide vetrosa e a
specchi segnala l'entrata nell'area metropolitana di Genova, accanto a
uno stupido orologio che segna quanti stupidi minuti mancano alla fine
del falso secondo millennio. La periferia è una distesa di case,
edifici sventrati, grattacieli, cortili invasi dalle male erbe, rottami
di auto. Accanto a noi sfrecciano missili terra-terra che nelle intenzioni
dei costruttori dovevano essere auto. La stescion-vegon ne è scossa.
- Dicono gli Anziani che tu, nei tuoi
scritti, ti sei avvicinato a molte verità che solo gli Stranieri
potevano conoscere... oltreché, naturalmente, gli Dei e l'Altro
Potere. - Bruma mi lancia un'occhiata incerta. Da quando ha sentito gli
Anziani, noto una certa... stranezza nei suoi comportamenti. Come se non
sapesse bene cosa fare. - Questo può avere insospettito l'Altro
Potere, che deciso a investigare su di te, ha mandato i Guastatori... è
proprio questo che lascia perplessi gli Anziani... perché i Guastatori,
e non un pugno di mercenari come usano di solito? Hanno usato i loro golem,
pressoché invincibili per un uomo qualunque, quando sarebbe bastato
muovere altri esseri umani... come se tu fossi uno Straniero, o temessero
che tu fossi protetto da qualcuno, qualcuno capace di rintuzzare un rapimento
condotto da umani...
- Non hanno capito. Era tutto per
farci incontrare.
Bruma adesso sorride. - Spiegazioni,
come sempre, non esistono... ma c'è qualcosa che ha colpito gli
Anziani, e questo qualcosa si chiama Pico della Mirandola. Ti ricordi nulla
di lui?
- Certo. Giovanni Pico della Mirandola,
erudito, filosofo, studioso di qabbalàh ebraica e teorico della
qabbalàh cristiana. Ho curato un'edizione dei suoi scritti qabbalistici...
lo ricordo benissimo... ho scritto un articolo su di lui, non molto tempo
fa, ed è uscito da una settimana su una rivista che si chiama La
valigia dell'India. - Mi volto verso di lei - Questo l'ho scoperto
ieri, naturalmente. Mi sono riletto l'articolo per schiarirmi le idee...
ma era un articolo che parlava delle sue peregrinazioni e della sua misteriosa
morte. Ho dei buchi grossi come una casa in testa, ma comincio a ricordare.
Però non vedo che c'entri...
- Benissimo. Non lo sapevo neanch'io,
ma Pico della Mirandola era uno Straniero.
- Uno Straniero? Pico della Mirandola?
- Certamente. E la sua misteriosa
morte, naturalmente, non fu da attribuirsi a un qualche agente segreto
del Vaticano, benché forse il Vaticano stesso c'entrasse in qualche
modo... fu qualcuno dell'Altro Potere che lo uccise, perché Pico
non andasse avanti con i suoi studi.
... un sibilo interrompe le nostre
parole...
- Cosa succede? - domando a Bruma.
- Il rilevatore. - Apre lo zainetto
e tira fuori il rilevatore. Sfiora i pulsanti e con la coda dell'occhio
scorgo luci che si accendono e lampeggiano. - Abbiamo i Guastatori piuttosto
vicini... - Orienta il rilevatore attorno - Sono dietro di noi. - Si volta
- Devono essere in una di quelle auto che stanno giungendo, e di gran corsa.
- Bene, - dico io, e premo l'acceleratore
- Quanto dista?
- Un paio di chilometri. Cosa hai
intenzione di fare?
- Seminarli. Hai detto che non sono
troppo intelligenti, vero?
- Sì. Ma con quest'auto...
chissà su cosa saranno imbarcati.
- Non ti preoccupare. Dimmi soltanto
quando li abbiamo in coda.
Premo l'acceleratore a tavoletta e
la stescion vegon freme e vibra come se dovesse esplodere.
- Sono in coda, - mormora Bruma -
Li vedo.
- D'accordo. Tienti forte a quello
svincolo.
Bruma sbarra gli occhi. - Non vorrai...
- Certamente. Non posso mica tenermeli
dietro.
Bruma chiude gli occhi, si stringe
la cintura di sicurezza mentre cambio marcia e l'auto sale ancora di velocità.
Nello specchietto retrovisore vedo l'auto e i tre Guastatori a cinquecento
metri... a cento... a cinquanta...
- Ora. - Sterzo tutto a destra e la
macchina slitta e sbanda e le giunture sembrano essere sul punto di saltare
all'aria, ma la manovra, fortunosamente, riesce e raschiamo il gardreil
lasciandoci solo la vernice e un po' di fiancata. Colti dallo spunto, i
Guastatori proseguono sullo slancio e quando rimetto l'auto in carreggiata
sento la loro frenata e i clacson che si alzano a tutta forza.
- Ce l'abbiamo fatta. - Infilo il
casello battendo il codice con la sinistra e senza rallentare un istante.
- Guarda il rilevatore.
Bruma è impallidita. La sua
voce sembra spezzarsi: - Li abbiamo lasciati sull'autostrada, e ora stanno
cercando di tornare indietro. Dove vuoi andare?
- Non lo so. E non so neanche come
abbiano fatto a trovarci.
- Probabilmente qualcuno che era di
guardia al posto pubblico della Rete ti ha riconosciuto. Devono aver diffuso
il tuo identikit, dopo che gli sei sfuggito via.
- Vorrai dire che mi sono tagliato
e tinto i capelli per niente?
- Avrà avuto uno scanner di
quelli portatili in grado di ricostruire la tua immagine. Dare la caccia
agli uomini è uno dei loro mestieri...
Continuo a correre lungo lo svincolo.
- Fra poco saremo alla fine della periferia, e loro conoscono l'auto. Ti
lascio al primo posteggio di taxi e cerco di filarmela per conto mio, d'accordo?
- Dalla tasca tiro fuori il portafoglio - Prenditi i soldi in contanti,
la carta di credito e il documento di mia figlia. - Frugo nell'altra tasca
e tiro fuori le chiavi di casa - E prendi anche queste. Hai tempo di tornare
a casa, fare i bagagli, prendere i soldi e scomparire.
Una nota secca nella sua voce. - Non
penserai che ti lasci solo?
- Guarda il rilevatore! A quest'ora
saranno tornati indietro, e fra poco li avrò alle costole. A me
non faranno nulla, perché non so nulla e non c'entro nulla... ma
tu sei una Straniera, lo ricordi? Hai una capsula di cianuro fra i denti,
e sei troppo giovane per morire. Forza!
Bruma prende le chiavi di casa. -
Non mi piace.
- Forza. Prenditi quel dannato portafoglio.
Non c'è molto tempo. Lascia le chiavi di casa al giornalaio sotto
casa, che è un ragazzo sveglio e fidato. Può darsi che ce
la faccia a tornare.
Bruma esegue, ma non ne ha nessuna
voglia. Intravedo una stazione di taxi e mi avvicino, freno. - Coraggio
bella, e vai via... tra poco li avrò alle costole.
Lei scende, e fa il giro dell'auto,
e poi si avvicina al mio finestrino. - Non voglio lasciarti solo.
- Forza! Mi sono divertito abbastanza,
in questo gioco. Ora pensa a salvarti...
Lei mi stringe il braccio, china il
capo e le sue labbra sfiorano le mie. - Buona fortuna, Straniero...
- In terra straniera...
L'ultima sua immagine alla stazione
dei taxi, mentre mi saluta...
- Women seem wicked when you're
unwanted, streets are uneven when you're down, when you're stranger...
Mi sento proprio allegro, mentre canticchio
questa canzone e sfreccio via in mezzo al traffico inseguito dai Guastatori.
Sono proprio giorni strani e mi sto divertendo un mondo, dopo una vita
trascorsa in biblioteca e nelle aule dell'università a tracciare
mappe immaginarie di viaggi incompiuti...
L'auto dei Guastatori è una
Sfiziosa bianca e blu, una specie di macchina da record che i giovinastri
bene usano per sfidarsi sulle autostrade, il cui limite massimo di velocità,
grazie ai buoni uffici delle industrie automobilistiche è salito
ai duecento orari.
L'ho inquadrata nello specchietto
retrovisore che punta dietro di me, e abilmente si libera da ogni altro
mezzo tallonandomi. Io cerco di staccarla e canticchio la canzone dei Doors
e penso a Bruma che sta filando verso casa mia e poi un solo balzo fino
a Ixtlan, e poi mi trovo nella montante marea del traffico serale con i
semafori e gli attraversamenti e capisco che rimango inchiodato. Allora
mi butto in una strada laterale e dopo un paio di curve, giro ad angolo
retto e con una manovra spericolata incastro l'auto fra i marciapiedi.
La gente urla e si spaventa, mentre
io scendo e scappo via di corsa, correndo attorno all'isolato. Mi lascio
alle spalle il frastuono dello scontro. I Guastatori sono arrivati.
A furia di correre, mi raggiungono
lungo l'area dismessa di una fabbrica, benché gli abbia svuotato
il caricatore addosso e li abbia colpiti, ma acciaccandoli solo un po'...
evidentemente i buchi che ho aperto nei loro corpi non sono sufficienti.
Sono tre i Guastatori che mi sono addosso, e poi c'è un quarto uomo
vestito di scuro, la cui faccia ricorda quella di un'ombra. Indossa sopra
l'abito grigio un lungo spolverino nero e brandisce un fucile a canne mozze.
I quattro mi chiudono nell'area della
fabbrica, fra un capannone e una gru. Attorno un reticolato che è
impossibile scalare. Un mucchio di ferro arrugginito, che inutilmente cerco
di scalare.
- Alza le mani, - grida l'uomo vestito
di scuro. - E fermati. È inutile che continui a scappare.
Sono a tre metri da terra ed è
inutile che continui a fuggire. - D'accordo... non tirate... ora vengo
giù.
I Guastatori mi puntano addosso le
loro armi.
- Chi sei? - domando all'uomo con
lo spolverino. - E cosa vuoi da me?
L'uomo sorride. - Sono un Emissario
di quello che voi chiamate l'Altro Potere. E tu sei la nostra preda.
- Sei uno di quelli che distruggono
il mondo, - faccio io, mentre scendo stando attento a non cader di sotto.
- Non è vero?
Salto a terra. Ho immediatamente in
faccia l'Emissario, mentre i tre Guastatori mi stanno a distanza. Chissà
perché non hanno più l'aria baldanzosa come la prima sera,
sempre che siano gli stessi... non sono più traslucidi, ma hanno
tanto i visi anonimi da risultare perfettamente riconoscibili. Guardo i
buchi nei loro corpi e scopro di avere una buona mira. Dai buchi esce un
liquido viscoso che non è sangue, ma gli somiglia.
- Sei uno di quelli che ha trasformato
il mondo in un immondezzaio, non è vero? Di quelli che distruggono
la Madre Terra.
- Questo è il progresso, -
ribatte l'Emissario, piccato. - È la civiltà. Che cosa vai
dicendo? Sono quelli come te che fermano la storia e il progresso del genere
umano. Noi siamo il futuro.
- Io sono contrario a tutto ciò
che è futuro, - rispondo. - E non venirmi a spacciar balle sulle
modernità.
L'Emissario mi osserva senza interesse.
- Sei un medievalista, insomma. Sei un relitto del passato. Hai costruito
la tua nicchia e non vuoi che nessuno venga a mettere in discussione il
tuo potere.
Sogghigno. Se ha voglia di giocare,
lo posso accontentare comunque... l'antimodernità... l'essere inattuale
è il mio cavallo di battaglia da molti anni. Ne ho fatto una seconda
professione, benché neppure mi ricordi quale sia, nella mia vita
trascorsa, la mia vera professione. - Non hai capito nulla... con il medioevo
siamo già alle soglie della modernità. E poi il medioevo,
come tutta l'era volgare, è già storia. Torna indietro, torna
agli inizi del tempo, prima di ogni cosa. Torna nel mito, prima della nascita
della storia.
- Prima della storia e del tempo,
- mormora la voce dell'Emissario. - Non c'è nulla. È con
la Creazione che comincia il tempo... e il tempo è un percorso rettilineo.
- Balle. Il tempo è ciclico,
e noi attendiamo il compiersi dell'eterno ritorno dell'eguale.
L'Emissario ha un sussulto di risa.
- Da dove ne vengo io, Nietzsche impreca nella pioggia di pece salvazione
al Dioniso Crocefisso e Aurelio Agostino muove legioni di arcangeli in
attesa di Armagheddon.
Con un gesto della mano indico l'orologio
che conta i secondi che ci separano dall'anno 2000, che si scorge dietro
le gru. Tutto quello che ho scritto e ho anche dimenticato su Pico della
Mirandola, che sembra essere il vero motivo del contendere, mi torna alla
memoria: - È quella Armagheddon... la vedi? È incisa nell'anno
2000 dell'era volgare, anzi, ad essere precisi, l'otto dicembre. Cinquecentoquattordici
anni e 25 giorni da che Giovanni Pico della Mirandola pubblicò le
sue novecento tesi, calcolando attraverso la qabbalàh la consumazione
dei secoli. Questa stupida umanità che vorrebbe provare lo sciocco
brivido dell'anno... il mille e non più mille... avrà appena
tirato un respiro di sollievo che la profezia del mirandolano si compierà.
E con la tua pelle e con quella dei tuoi uomini sintetici mi adornerò
come si conviene ad un banchetto funebre. Ma non sulla piana di Meghiddo...
sulla tomba della Madre Terra.
Il discorso deve averlo toccato, perché
l'Emissario grugnisce e fa una smorfia. Si domina a fatica ed anche i suoi
tre mercenari, per empatia, si agitano a loro volta. La profezia di Pico
della Mirandola contiene qualcosa che deve nuocere all'Altro Potere, almeno
a giudicare dalle reazioni del suo scherano. Infatti si muove ancora un
po' poi mormora, secco: - Tutte balle. Il tempo è rettilineo, è
nato con la Creazione...
- E finirà con la consumazione
dei secoli. È la tesi numero nove delle Conclusiones secundum
secretam doctrinam sapientiam hebraerorum di Pico.... ti consiglio
di darci un'occhiata. Hai ancora un anno di tempo per vivere, chiunque
tu sia. E poi io e te, fra chissà quanti eoni rifaremo questo dialogo
esattamente come ora... o meglio; lo rifaremo con qualche variante, perché
il demone di Nietzsche non potrebbe sopportare la noia di rivedere l'universo
che scorre nuovamente come prima.
Lontano si ode una sirena. La Regio
Gheennalis, in questa sua scura parte, è assolutamente insopportabile;
rumore, auto, le sirene che squillano a piè sospinto.
Uno sbuffo alto di fumo si alza colorato
nel cielo, cangia dal bianco candido al rosso d'inferno. Una sirena gli
risponde. Un terzo sbuffo. Un fall-out di scorie radioattive si appresta
a cadere sui malcapitati abitanti, sulle piante, sulle cose. La Madre Terra
soggiace all'orrore dei nuovi padroni del mondo.
- Guarda laggiù, - indico all'Emissario
lo spettacolo di quella malebolgia. - Guarda e chiediti se questo è
il mondo che tu hai preparato.
Ora l'Emissario non riesce a tradire
il suo nervosismo. Ignoro perché e percome, ma devo aver toccato
un tasto dolente del suo essere. Il fucile che ha in mano dondola minaccioso
aventi e indietro verso di me. - Il mondo si è preparato la propria
fossa, senza bisogno che ci fossi ad aiutarlo a scavarsela... capisci?
Da oltre duemila anni il genere umano ribatte i chiodi del proprio cataletto
e spoglia la Madre Terra di ogni suo avere, così prezioso per tutti
da costituire il bottino migliore. Io affretto solo questo processo in
nome della modernità...
Lo interrompo. - Cos'è l'Altro
Potere? E chi sono gli Dei?
Se il viso dell'Emissario non fosse
coperto dalla sua stessa ombra penso si contorcerebbe in un ghigno. - Non
lo sai?
- No. Dovrei saperlo?
- Certo che dovresti saperlo.
- Non so un accidente di nulla. Tutto
ciò che conosco è che sono due giorni che continuo a correre
avanti e indietro per la Regio Gheennalis e senza requie.
- Stai diventando uno Straniero.
- Sì. E forse potrebbe essere
una condizione migliore...
L'Emissario scuote il capo. - Gli
Stranieri sono quelli che minacciano, più d'ogni altra cosa, l'equilibrio
stesso esistente fra i mondi. Entrano ed escono a loro piacimento in ogni
livello di realtà e nessuno riesce a fermarli... ignoro quanti millenni
sono trascorsi dal momento in cui il primo Emissario diede la caccia al
primo Straniero, ma è uno scontro senza tregua. Eppure uno ad uno
riusciremo a catturarli a distruggerli.
- Non ci pensare neanche.
L'Emissario indica i tre Guastatori.
- Prima o poi riusciremo a creare dei golem più sofisticati, in
grado di controbattere le loro illusioni. Allora né il colore, il
suono, la musica, la danza o il movimento potranno stordirli e renderli
inutilizzabili.
Non posso far a meno di ridere. -
Per essere un alto Emissario dell'Altro Potere... qualcuno legato allo
sterminio degli Stranieri, non mi sembra che tu abbia capito bene il loro
modo di essere.
- Tu lo conosci, forse?
- No. Se lo conoscessi, avrei già
trovato il mondo di scomparirti davanti lasciandoti con un palmo di naso.
Ma immagino che se da una parte ci siete voi, e dall'altra gli Dei, e voi
date la caccia agli Stranieri, molti di loro siano in diretto contatto
con gli Dei.
- Gli Dei! - L'Emissario mi sbatte
l'arma sotto il naso e la scuote. Sudo freddo all'idea che, inavvertitamente,
un colpo potrebbe improvvisamente partirgli. - Gli Dei hanno in uggia gli
Stranieri quasi quanto noi. Solo che sono più tolleranti, perché
è il loro dominio che ha permesso la nascita del genere degli Stranieri.
Sotto sotto, sono convinto che ad alcuni di loro gli Stranieri facciano
comodo... il Dio degli ebrei, Adonai: è il dio di un popolo che
ha dato i migliori Stranieri nel mondo...
- Può darsi... può darsi
che gli Dei stessi siano Stranieri o viceversa. Hai mai pensato che la
maggior parte degli Dei hanno vissuto errando sulla Terra?
L'Emissario abbassa la canna dell'arma
e annuisce, interessato. Devo piacergli le discussioni teologiche. - È
un'eresia che va sotto il nome di Teonomadismo. Ad esser sinceri, è
un'eresia piuttosto suggestiva; sostiene che l'essere degli Dei deve necessariamente
sostanziarsi in un'attività dinamica per manifestarsi nel mondo
quotidiano, pena la sua stessa autoesclusione. Ma...
In quel momento un Guastatore si risveglia,
come se l'avessero pizzicato. - Signore! Signore!
L'Emissario si volta verso di lui,
seccato. Gli altri due Guastatori mi tengono d'occhio, ma non possono fare
a meno di prestare orecchio al loro confratello che confabula.
L'Emissario annuisce un paio di volte,
stringe i denti, strizza gli occhi, muove nervosamente la pistola. Poi
si volta verso di me con un sorriso sinistro.
- Ci hanno comunicato che la ragazzina
che era con te è riuscita a filarsela, seminando i miei uomini.
- Ne sono ben contento.
- E tu naturalmente ignori dove sia
finita.
- Certo. Perché pensi che se
fossi in grado di saperlo resterei qui con voi?
L'Emissario non sopporta il mio tono
canzonatorio, e sibila, rabbiosamente. - Sei troppo vecchio per sbattertela,
uomo, te ne rendi conto? Potrebbe esser tua figlia... se la starà
facendo lustrare da qualche altro Straniero più giovane.
È un momento. Il momento dopo
l'Emissario ha perso il fucile e quando rialzo il pezzo di tubo a cui mi
sono avvicinato lentamente in quella lunga chiacchierata, è solo
per darglierlo in testa.
L'Emissario rotola a terra imprecando.
Il Guastatore più vicino mi salta addosso e mi prende per un braccio,
ma nel mentre che mi volto per colpirlo il suo corpo diventa traslucido
- brilla - e si dissolve in un'ombra.
Io guardo il vuoto dove prima c'era
lui - gli altri due Guastatori, inorriditi, fissano ora me ora il nulla
e la cenere impalpabile che un refolo di vento porta via.
Poi la voce dell'Emissario. - Via!
Andatevene via, prima che ci cancelli! Via tutti!
Dò un colpo di tubo all'Emissario
per azzittirlo e corro verso i Guastatori, che si gettano in due diverse
direzioni cercando di starmi più alla larga possibile. Salto addosso
ad uno ma mi sfugge via. Scorgo l'Emissario che si è rialzato e
corre via urlando. - Non fatevi avvicinare! Non è un essere umano...
nessun essere umano sarebbe riuscito a colpirmi... scappate!
Adesso i Guastatori corrono assieme
all'Emissario lungo la strada con grandi falcate, ma io non ho fiato sufficiente
per tener loro dietro. Li vedo svoltare l'angolo di un grande casermone
abbandonato, li vedo che corrono lungo i binari della ferrovia e s'allontanano
sempre di più.
Rimango con il mio pezzo di tubo in
mano, la schiena poggiata ad un muro, con il cuore che batte come tamburo,
mentre cerco di respirare il più a fondo possibile. Tutta l'aria
dell'universo non basterebbe a saziarmi, ma ad ogni respiro lentamente
la situazione migliora.
Quando comincio a star meglio, mi
guardo attorno e cerco una via d'uscita. Domandandomi perché il
Guastatore si sia dissolto appena mi ha toccato, e perché abbia
abbattuto l'Emissario dell'Altro Potere... perché diceva che non
sono un essere umano?
Il crepuscolo scende su Regio Gheennalis
veloce e intenso, e lascia appena trasparire sulle travature rugginose
il rosso magenta dell'ultimo sole. Se ci fosse qui Bruma, dico fra me e
me, direbbe che è l'ora di ritirarsi...
Scende il crepuscolo e scendono stanchezza
e malinconia. Ho recuperato il revolver e l'ho ricaricato. Sono nei quartieri
industriali di Cornigliano e sto marciando in una vecchia fabbrica abbandonata,
gettando sguardi sospettosi negli anfratti bui fra le macerie, le baracche
di lamiera, un vagone abbandonato su un binario morto, un rottame d'auto,
un grosso cumulo di oggetti arrugginiti. La nuova municipalità ha
investito tutto sulle fabbriche di quest'area, e ha cementato quel poco
di verde che restava lungo le valli e così adesso sono costretto
a muovermi in un labirinto di cemento e ruggine, giacché le fabbriche
hanno presto cessato di esistere, perché la globalizzazione non
lascia spazi poco produttivi dietro di sé. Al di là dei cancelli
scorgo un lungo incolonnamento di auto, assolutamente immobili, con i lampeggianti
accesi e le luci di posizione che paiono fuochi fatui... auto e auto a
distesa, e uomini dentro beati dalla felicità di esser racchiusi
là dentro. Il vento invece mi è compagno e la sua voce mi
riporta alla memoria le parole di Bruma a proposito dell'astronave Hi Jack...
com'era quella canzone?
Dove sarà Bruma?
Quando sono fuori dalla fabbrica, dopo
almeno una ventina di minuti, m'infilo il pezzo di tubo sotto il giubbotto
in modo che non si veda. Alla mia sinistra la coda interminabile continua,
le auto viaggiano a passo d'uomo in un'atmosfera ammorbante, e alla mia
destra le insegne scassate dei bar lampeggiano sinistre. Bande intere di
brutti ceffi di ogni età se ne stanno a discutere del prossimo millennio,
anche loro contagiati dalla follia collettiva che riesce a dar significati
metafisici a eventi assolutamente incidentali.
Guardando la gente che mi sta attorno,
comincio a pensare che quello che mi diceva l'Emissario non fosse poi sbagliato.
Ci siamo scavati la fossa un giorno dopo l'altro e continuiamo a farlo.
Quando sono fuori dai quartieri industriali,
continuo a muovermi nella sera. Penso a Bruma e mi domando quale Soglia
avrà aperto, in quale luogo si sarà defilata... poi guardo
la strada bloccata da un incidente stradale e le luci che lampeggiano distanti,
e decido di deviare il mio cammino in una strada poco frequentata e buia...
l'ideale per un'imboscata, ma penso che oramai tutto la Regio Gheennalis
sia il luogo adatto per attirarmi e che oramai non ci sia più scampo...
poi e laggiù c'è troppa polizia, pubblica e privata...
Faccio neanche centro metri in quel
budello che si restringe, infatti, e una voce intima di fermarmi.
Mi volto e vedo l'Emissario dell'Altro
Potere da un lato della strada.
- Ma non stavi scappando, tu? - lo
apostrofo, irridente.
Una voce alle mie spalle. - Perché
era solo... adesso che siamo in tanti, non puoi farci più nulla.
Mi volto e vedo un altro Emissario.
E un secondo. Un terzo. La strada è imbottigliata da almeno una
ventina di Emissari, che stanno fianco a fianco. Sono tutti eguali, con
lo stesso viso d'ombra che li rende indistinguibili l'uno dall'altro, gli
stessi abiti scuri, spolverini e giacche di lino e calzoni, gli uomini,
gonne e abiti estivi e scamiciati le donne... un'eternità di visi
d'ombra che hanno sopravvissuto il tempo a loro stessi.
Tiro fuori la rivoltella e il tubo
da sotto il giubbotto. - Può darsi che non possa farvi nulla, ma
comunque voglio provarci.
Uno degli Emissari, dalla sua faccia
d'ombra ride.
- Getta via quell'inutile arma e quel
pezzo di tubo. Non hai nessuna possibilità di scamparla.
Sento uno strano armeggiare nelle
mani degli Emissari, e mi volto ora verso una fila, ora verso l'altra.
Dal nulla escono fuori bastoni che terminano con un cappio, manette e corde,
lacci e reti. - Cosa volete da me?
- Te l'ho già detto. Che vieni
con noi. Hai delle informazioni che ci servono, che ci sono preziose...
qualcosa che ci può permettere di risalire al Collegio degli Stranieri,
in questa lotta che ci oppone a loro da secoli.
Un brivido di freddo mi attraversa.
Ora mi viene in mente tutto quello che mi ha detto Bruma a proposito della
Casa Madre, dove è, dove si trova, e ricordo, almeno inconsciamente,
il codice che l'ha messa in contatto con Ixtlan. Se mi prendono, ci metteranno
meno di dieci minuti a somministrarmi una qualche droga e a farmi parlare.
Venderò in un sol colpo tutti gli Stranieri.
Sento il cuore che comincia a battere
più forte. C'è una soluzione ed è la canna del revolver
che tengo in mano.
- D'accordo, - dice qualcun altro.
- Butta l'arma. Ti leggeremo dentro e poi ti lasceremo andare.
Il sudore mi cola sul viso e m'intride
i capelli. La mano con cui stringo il revolver mi trema e non riesco a
tenerla ferma. So che l'unica soluzione possibile è questa, ma la
scelta della morte è una scelta disperata. Poi qualcosa si sblocca
e alzo la canna e la me infilo in bocca.
- Attenti! - grida qualcuno. - Sta
per uccidersi!
Sento del movimento proprio mentre
sto schiacciando il grilletto. Mille mani mi afferrano ma il fuoco torna
sopra di me, sopra i miei occhi, cancella la realtà che mi circonda
e un'aquila gira alta nel cielo, sopra di me mentre il dolore al fianco
diventa insopportabile. Delle urla che non hanno nulla di umano bucano
le fiamme.
- Via tutti! - grida qualcuno. - Non
lo toccate! Via tutti!
Mi sento che sto rotolando a terra,
ma di quelle mani non c'è più nessuna che mi trattenga. L'asfalto
è caldo e sporco, puzzolente, e ne respiro l'odore denso. Il fianco
mi duole come se artigli di fuoco lo stessero straziando e l'aquila ruota
ancora nel cielo. Ma il fuoco è alto e forte, e lambisce la volta
stellata un grande incendio.
- Non lo sapevamo, - mormora qualcuno.
- My Lord, non potevamo saperlo.
La paura risuona in un'altra voce.
- Ho detto che non era un essere umano, My Lord, ho chiesto aiuto. Come
potevo sapere che era un Dio decaduto? Chi ci ha mai insegnato che gli
Dei potessero rinnegare la propria origine e scendere in mezzo agli uomini?
- My Lord, - supplica una voce. -
Abbi pietà di noi. Come potevamo sapere che dentro di lui si celava
il Ladro del Fuoco?
- People are strange, when you're
a stranger, faces look ugly, when you're alone...
Ascolto la voce di Bruma che sta canticchiando
quella vecchia canzone dei Doors, quando riapro gli occhi. Ma non
è la sua voce, è il vento che filtra dal tessuto della tenda
color sabbia. Il vento conosce tante canzoni ed è dagli anni Settanta
che le trascina con sé, per chi riesce ad ascoltare.
- Va tutto bene? - La prima immagine
che entra nel mio campo visivo è quella di un distinto e anziano
viso, i cui occhi sono grigi come il ferro. Metto a fuoco lentamente i
suoi tratti, la pelle scura e i capelli lunghi, nerissimi, che fuoriescono
da un turbante bianco.
- Credo di sì.
La seconda immagine è altrettanto
augusta e altrettanto antica. Ha la pelle un po' più chiara, e gli
occhi incredibilmente azzurri in un reticolo di rughe. Una folta barba
bianca gli orna il viso, due riccioli laterali gli ornano il viso. Ha in
testa una kippàh.
- Nessun danno, nessuna lesione...
non sei riuscito a farcela, per tua fortuna. Per una volta devi esser grato
agli Emissari dell'Altro Potere.
- Cos'è successo? - domando,
con un certo sforzo.
Il terzo viso è un viso femminile.
Meno antico dei precedenti, denuncia comunque anni e anni benché
la sua pelle sia liscia e i suoi capelli, neri al punto da sembrare blu.
- Hai cercato di ucciderti e gli Emissari
dell'Altro Potere si sono gettati addosso a te per fermarti. Noi stavamo
battendo la zona in auto, guidati da Bruma, e siamo giunti in tempo per
vedere un lampo che si liberava dal tuo corpo. Metà degli Emissari
sono rimasti folgorati. Poi c'è stato il tuono e la pioggia, e qualche
Alto Emissario dell'Altro Potere è sceso come la pioggia su di noi
e si è ripreso i suoi Emissari. Nessun Emissario può toccare
un Dio, ancorché decaduto... solo agli Dei è concesso toccare
i propri simili. Per noi è diverso; noi siamo Stranieri, non apparteniamo
a nessuna delle due fazioni in lotta. Noi ti abbiamo raccolto.
Chiudo gli occhi e millenni di tempo
trascorso scorrono dinanzi a me, dai giorni della Creazione fino ad oggi.
E per ognuno di essi io ho un ricordo, da quando m'improvvisai Ladro del
Fuoco e fui esiliato sulla terra.
- È orribile.
La donna sorride, e mi porge un bicchiere
d'acqua. Mi tirano su il capo e mi aiutano a bere. - Gli orrori sono infiniti,
e infinita la loro storia. Bevi.
Butto giù un sorso d'acqua.
- E Bruma?
- Ha fatto in tempo ad aprire una
Soglia e a fuggire fino a Ixtlan. Ci ha guidato lei fino a Genova. Ora
è fuori che aspetta che ti riprenda.
- Dove siamo?
- Adesso? In un punto del Naghev lontano
da ogni insediamento umano. Nessuno, né uomo, né Dio, riuscirà
trovarti.
- Abbiamo apprezzato molto il tuo
tentativo di suicidio perché la nostra ubicazione non cadesse nelle
mani dell'Altro Potere. Quando ti sarai ripreso, potrai decidere se far
cancellare la tua identità e sostituirla con una simile, così
che nessuno possa più ritrovarti.
Tiro un profondo respiro. - Cosa c'è
di vero in quello che ricordo?
- Tutto. Tu fosti uno degli Dei e
a loro ti ribellasti per amore degli uomini. Fosti cacciato in esilio,
e da allora, proprio come uno Straniero, continui a muoverti per questo
mondo ma senza avere memoria delle vite trascorse. Nel carcere di Vincennes
conoscesti Giovanni Pico della Mirandola che grazie alla qabbalàh
capì chi eri stato, e fece in modo che le sue conoscenze di Straniero
fossero ben sepolte nella tua mente, perché non si fidava a confidarle
a nessuno. Poi Pico venne ucciso, prima di riuscire ad avvisare qualche
altro Straniero della sua consegna. Moristi anche tu e rinascesti diverse
altre volte e sempre come un vagabondo, seguendo il tuo karma... poi sia
noi che gli Emissari, che ti tenevamo d'occhio, venimmo a conoscenza dei
tuoi studi su Pico. Loro furono più veloci a mandarti dietro i loro
sgherri.
- Il Transito ti privò temporaneamente
della tua memoria in questa vita, ma fece anche in modo che qualche frammento
delle tue vite precedenti iniziasse a riaffiorare. Poi ti abbiamo trovato,
e abbiamo letto la tua mente e sappiamo quello che Pico della Mirandola
voleva insegnarci sulla nostra razza, e soprattutto che i suoi calcoli
erano giusti... al mondo non resta più molto da vivere. Un anno.
- L'Altro Potere?
- L'Altro Potere non è che
la faccia scura degli Dei, e gli Dei non sono altro che creazioni umane.
Di questo mondo non resterà più nulla, ma prima, noi tutti
Stranieri lo avremo abbandonato.
- Loro lo sanno?
- Gli Dei e l'Altro Potere? Non abbiamo
ritenuto opportuno comunicargli questa informazione. Potrebbero incrudelire
contro gli esseri umani, più di quanto non vogliano. Il mondo è
il loro campo di battaglia... stanno giocando la loro guerra... la fine
colpirà di sorpresa anche loro.
- Non c'è nessuna possibilità
di fermarli?
- Se esistesse, Pico non avrebbe predetto
la fine. La fine esiste perché è già stata scritta.
- Mi lascio cadere con tutto il peso
dell'universo.
- La donna mi poggia le mani sulla
fronte, e una specie di sonno mi confonde. - Riposati.
Un riverberare di immagini nel buio
che sopraggiunge. Adesso tocca a me sorridere. - Vi ho riconosciuti...
tutti e tre... un tempo ci conoscevamo... tu sei Avràham, tu sei
Krishna, e tu sei Isis... un tempo eravate anche voi Dei.
- E anche noi fummo esiliati. Adesso
dormi, Ladro del Fuoco.
Ora il cielo è una manciata
di pietre preziose azzurre e turchesi, oltre mare e oltreoceano. Diaspri
bianchi come cirri-meduse vengono soffiati da un vento immateriale fino
ai margini del nulla, mentre le ore scattano l'una dopo l'altra dinanzi
al mio neonato Terzo Occhio, e per ogni ora in sovrimpressione riverberano
le immagini future.
Sono seduto su un tappeto di preghiera
in mezzo al deserto, e mi sto esercitando in una delle arti dimenticate
degli Dei.
- Non sarà Armagheddon, - sussurra
Bruma, seduta al mio fianco. - Ma il tuo Pico della Mirandola aveva ragione.
Se non sarà l'otto dicembre, sarà presto.
Immagini di folli tribuni impegnati
a raggelare l'ambiente con le loro trucide parole... una colonna di teste
rasate-camicie brune-rotti in culo alza i vessilli del Reich sopra la nuova
Berlino... risorge il Signore della Svastica e il suo sogno d'acciaio...
la Mezzaluna risplende nel cielo sanguigno del deserto... una centrale
atomica si dissolve in un fungo magico e sortisce effetti psidechelici
su chi ne inala i vapori... incombe la desertificazione e aumenta la popolazione
in tutto il mondo... un nuovo Uomo della Provvidenza prende il potere mediatico
a Roma... un vasto incendio riduce in cenere il Mato Grasso... a Jerushalaim
si combatte strada per strada... le profezie di Nostradamus si compiono
fino all'ultima... sale sul soglio pontificio l'ultimo papa, Pietro II,
e legge a tutti l'ultima sua enciclica, il Mysterium Iniquitatis...
- Non voglio vedere più nulla.
- È un mondo che ti appartiene...
tu stesso ne hai tessuto la forma. Non puoi ora tirarti indietro.
- Arriverà uno degli Dei, -
mormoro, leggendo il futuro nel mio stesso emisfero cerebrale. - Danzando
al suono del tamburello e ad ogni passo distruggerà i mondi... Shiva
Nataraja, Signore delle Danza. Erano questi i segreti di Pico della Mirandola...
l'unico Straniero in grado di leggere il futuro come un Dio...
- Quel che sarà. - Bruma è
seduta accanto a me e sebbene non abbia il mio Terzo Occhio, ha letto nelle
mie parole il futuro che neanche gli altri tre Dei decaduti conoscevano
- Non credo importi più a nessuno. Io sarò lontana anni luce.
Non ho voglia di attendere un'improbabile era acquariana qui, fra le fiamme.
Il mondo mi è diventato troppo stretto, in questi giorni.
- Ok. E allora?
- Non hai ancora capito? - Fece lei.
- No, - Risposi - no. Non ho capito
assolutamente nulla. L'unico punto che mi è chiaro, in questa straordinaria
avventura, è che negli ultimi due giorni tutti gli eventi più
impensati mi sono accaduti, l'uno dopo l'altro. Sono stato protagonista
di ogni possibile orrore, ma se ti domandassi se gli orrori sono finiti,
so già che mi risponderesti di no; che altri e ancora devono verificarsi,
e sono tutti alla nostra portata... - Sorrido fra me - e non riesco ancora
a pensare d'esser stato un Dio, una volta.
C'è come un canto di voci nell'aria,
ed è il vento. Il vento scompiglia i capelli di Bruma e s'intreccia
fra di essi come una canzone. Lei scuote il vento con un gesto della mano,
e il vento scende da lei e riprende la sua corsa. Nel vedere quell'immagine
comprendo che non sarò più in grado di riprendere a vivere
la mia quotidiana esistenza, perché dovrei rinunciare a capire il
vento.
Altri giorni, altri strani giorni.
Nell'accampamento del Neghev c'è
un muro bianco e calcinato, proprio dietro le tende che ospitavano gli
altri Stranieri che un tempo furono Dei, che mi hanno vegliato fino ad
ora, e che con gli ultimi consigli se sono andati perché gli Stranieri
nessuno riesce a tenerli troppo a lungo nello stesso luogo.
Bruma trae dal suo zainetto la scatola
dei colori e le matite, trae l'album da disegno e schizza velocemente un
paesaggio desertico, quali si possono ancora intravedere nelle aree messicane.
Io resto a guardarla mentre disegna e immagino ogni particolare di quello
che sta facendo; proprio come avrei immaginato qualunque altro abbozzo
potesse preparare. Plotino, in uno dei libri delle Enneadi scrisse
che prima ancora di esistere nella materia, l'opera d'arte esistete già
nella mente dell'artista; bene; ad onta di tutte le moderne interpretazioni
di tipo psicologico e strutturalistico, io continuo a pensare che Plotino
avesse compreso perfettamente che il bello esiste di per sé, come
un valore eterno e incommensurabile nel Mondo delle Idee.
Bruma termina il suo schizzo desertico,
e lo depone a terra.
C'è un nembo di malinconia
nel suo sguardo. - Adesso aprirò una Soglia verso Ixtlan, verso
la Casa Madre, una Soglia che durerà soltanto pochi minuti, chiudendosi
subito dopo. Quindi pensa bene a ciò che hai intenzione di fare.
- Cosa ho intenzione di fare?
Lei alza le spalle. - Lo ignoro. Puoi
scegliere di continuare a vivere in questo mondo. A Jerushalaim troverai
un contatto, gli Anziani cancelleranno ogni tuo ricordo su di noi, in modo
che né gli Dei né l'Altro Potere, se ti catturassero, ci
possano trovare. Se vuoi cancelleranno anche i ricordi delle tue vite passate,
in modo che tu possa riprendere, in un'altra città, in un'altra
nazione, un'esistenza almeno simile a quella che hai sempre vissuto. Oppure
puoi conservare la tua memoria di Dio decaduto: potrai lottare contro questo
mondo e contro le sue forme che l'una dopo l'altra strangolano gli esseri
viventi. Hai rinunciato alla tua forma di Dio per aiutare gli uomini, e
gli uomini ti hanno dimenticato e hanno fatto tutto quanto era possibile
per distruggere la Madre Terra... ma ora ne sai abbastanza. Potrai tornare
nel mondo e batterti contro l'Altro Potere.
- Quand'ero ragazzo, - dissi. - Pensavo
sempre che se fossi riuscito a impadronirmi di quei poteri di cui gli yoghi
sembravano dotati, avrei potuto metterli al servizio della rivoluzione.
- Forse quello è il tuo destino.
Ti hanno chiamato Prometeo, no?
- Sono stato Prometeo, sì...
ma non se quello sia davvero il mio destino.
- Forse il tuo destino è venire
via assieme a me, come tutti gli Stranieri... benché tu degli Stranieri
sia stato uno dei capostipiti. Imparerai a fuggire da una parte all'altra
dell'universo. I suoi orizzonti sono infiniti, hai già avuto modo
di provarlo. Potrai muoverti per lo spazio di questo e degli altri mondi,
sotto forma di corpo o di qualunque altra forma che la tua mente conscia
saprà adattare agli spazi che esistono fra un mondo e l'altro. -
Si tira indietro i capelli e sorride - Ti ci vorrà un po' di tempo
per abituarti, per padroneggiare queste tecniche. Ma io e gli Stranieri
che incontreremo per via, ti aiuteremo. Ma sei tu che devi decidere.
- Però, - ribatto io. - Puoi
dirmi quali sono le buone ragioni per una scelta o per l'altra.
Ora il vento ha cominciato a rinforzare,
come se la canzone che stava seguendo avesse improvvisamente cambiato.
Bruma è dinanzi a me, e il vento le attorciglia i capelli e le fa
svolazzare la camicia.
- Sei tu che devi decidere. Io verrò
comunque con te, quale sia la tua scelta.
Sorride, e dentro il verde dei suoi
occhi sfavillano gli infiniti orizzonti dell'universo.