Appunti
sulla spedizione Erebus
Claudio
Asciuti
Il Tuono esplose nel quieto
biancore del sonno, mi strappò dalle lande deserte dell'Himalaya
per lasciarmi, sudato e tremante, a contemplare oltre i vetri il primo
grande uragano estivo che tutt'attorno si riversava.
A fatica mi scossi dal sogno;
era vivido e reale... come sempre...
Mia moglie dormiva accanto
a me, incurante dello scoppio; le nubi incastonavano il cielo di grigio,
a ovest; non guardai neppure l'orologio; erano le cinque, lo sapevo perfettamente;
scossi il capo per stornare da me gli incubi che mi perseguitano da tempo...
quello che John Keel avrebbe definito un'ulteriore Incomprensibile
già scompariva nel chiarore.
Ancora... ancora una volta...
e più... e fino a quando?
Mi alzai dal letto. Barcollando
mi diressi in cucina, e accesi il fuoco sotto il caffè... era parecchio
che l'incubo non tornava; e sì che c'ero abituato; ma a intervalli...
l'incubo tornava... l'immagine, sfocata, un istante solo riaffiorando alla
coscienza del sonno, si manifestava... cangiandosi poi nel quieto baluginare
del bianco della neve... e con il Tuono era più forte...
Guardai fuori dalla finestra...
la pioggia ruscellava a grandi scrosci, da un cielo dall'innaturale e fosco
grigio... vidi una saetta esplodere... udii ancora il Tuono...
Inutile. Non avrei più
ripreso sonno, forse... tanto valeva risvegliarsi del tutto...
C'erano da riordinare le
idee per la conferenza che avrei dovuto tenere quel pomeriggio nella sala
consigliare di Savona, e c'era da scrivere l'articolo su Carlo Piaggia
e i Niam-Niam, decidere se accendersi o meno la prima sigaretta della giornata...
e poiché erano le cinque e c'era il Tuono, ripensare a lui... lo
Yeti... come lo chiamavano gli sherpa... Metch-Kangmi...
Lui tornava sempre... sempre
alle cinque, e con il Tuono diventava più forte...
Iniziò a comparire
dentro di me, quand'ero bambino; e nei piacevoli terrori dell'infanzia,
che non si scordano ma ci motivano, ignoro
se al cinema o alla televisione, vidi il bellissimo film di Val Guest,
Il mostruoso uomo delle nevi... nascosto fra mio padre e mia madre,
probabilmente le mani sugli occhi, mi sorpresi a pensare che un giorno
anch'io, come Peter Cushing, mi sarei trovato faccia a faccia con lo Yeti...
La storia di quei giorni
ritornava; adulto, non riuscivo a fuggirne la presenza...
Andai in bagno, mi lavai,
sorseggiando il caffè presi un analgesico,
mangiai qualche biscotto, e il Tuono brontolava sommesso all'orizzonte;
accesi finalmente la prima sigaretta della giornata... e me ne andai nel
mio studio, a vagabondare coll'immaginazione chissà dove e con lo
sguardo sull'orografia del Deccan e sul deserto di Thar fino a quando,
quasi senza accorgermene, mi trovai a fissare tra le volute di fumo la
parete di fronte a me... fra kukri nepalesi, zagaglie maori, feticci
del Gabon, maschere cinesi, lontana e trascorsa, al posto d'onore, troneggiava
la gigantografia del campo base della spedizione Erebus...
Udii il Tuono, in lontananza.
Per i tibetani il Tuono
è l'incontro del vento aereo e di quello sotterraneo, e la sua funzione
principale, come insegna il Bardo Todol, è quella di terrorizzare
lo spirito del defunto nel piano dell'esistenza intermedia; io pensavo
ai tuoni di Bhaktapur, e la foto del campo base rifletteva i miei pensieri
- le nevi lontane, il cielo traslucido appena intaccato dalle nubi; mia
moglie che sorrideva, tutta abbronzata in viso, quasi nascosta fra le pelli
scure degli sherpa, le giacche a vento rosse e blu, le tende, la bandiera,
io con la barba lunga, Tom che tornò in Gran Bretagna, scornato,
e quelli fra di loro, cinesi, tibetani e inglesi, che non tornarono più...
Un attimo prima di incontrare
le impronte sulla neve; un attimo prima del mistero...
Spensi la sigaretta e scossi
il capo. Stancamente.
Sì, sentivo che quel
giorno era uno dei tanti, di quando tornava il Tuono; avrei parlato un
po' delle differenze dei manoscritti pali, dravidici e hindi, e dei miti
che albergavano in essi; poi avrei accennato, come solitamente accade quando
torna il Tuono, alla magia tibetana; avrei preso tutto alla lontana - quando
torna il Tuono, non riesco più a coordinarmi, parlo a braccio, mi
distraggo, invento, faccio digressioni - e ci sarebbe stato qualcuno allora,
l'immancabile, che più curioso degli altri, più indiscreto,
con maggior o minore turbamento, avrebbe chiesto, al momento del dibattito:
- Se ben ricordo, professore, lei fu uno di quelli che partecipò
alla spedizione Erebus...
Era una delle domande rituali.
Quelle domande che il moderatore cerca di evitare, che qualcuno sempre
pone, a cui solitamente rispondi parzialmente (solo in parte, per evitare
la rima), dicendo mezze verità, senza addentrarti troppo nei particolari,
quelle domande che tengono desto il dibattito e decretano la sua riuscita,
anche se la magia tibetana o la cultura del Deccan poco interessano e quello
che gli ascoltatori vogliono sentire, ed è per quello che sei pagato,
è solo la tua storia, a cui tu non vuoi rispondere ma sapevo che
quel giorno avrei risposto, perché era uno dei giorni del Tuono
e in quei giorni non riesco a pensare ad altro, e rispondo, e allora risponderò
sì, era il 1983, e una spedizione mista italo-inglese partì
alla ricerca dello Yeti...
Risponderò che il
proprio destino è scritto, è scritto da tempo e non c'è
nulla che possa farti sopravvivere ad esso; al liceo, mentre l'insegnante
di greco m'indicava come esempio da non seguire e prediceva che comunque
sarei rimasto un buono a nulla, leggevo di nascosto i libri di archeologia
misteriosa, di animali fantastici cercando conferme a ciò che intuivo;
che io l'avrei visto, lui, che ora tornava, l'Incomprensibile...
che avevo deciso già che la mia fama sarebbe stata la sua - la sua
privacy per la mia curiosità, e viceversa...
Così, pazientemente,
raccolsi e catalogai nel tempo tutte le notizie di cui venivo a conoscenza;
la relazione di Tse Ten-Tashi citata da Vero Roberti in quel pezzo sul
Corriere della Sera del 1965; e la morte di Lakhpa Parbart nel 1949
ad opera forse dell'Abominevole; l'articolo sul ritrovamento di Kacko,
nella Columbia britannica apparso sul Daily British Colonist del
1884... e così via... visionai le pellicole del "BigFoot" girate
da Patterson, accettai le parole di John Keel e del suo Jadoo in
cui raccontava del suo "quasi incontro" con lo Yeti, ma risi leggendo
l'interpretazione che Attilio Mordini dava della mia preda, facendo discendere
lui, l'Abominevole, dalle ultimi stirpi di Caino... grande è la
fantasia umana...
Un nuovo Tuono scosse la
casa; fuori, la pioggia continuò a scrosciare e sempre più
violenta, ma, ad est parve che il sole cercasse uno spazio fra le nuvole
come quel giorno sul Tetto del Mondo...
Guardai l'orologio. Decisi
che avrei almeno provato a dormire. Provare, almeno...
Sapevo già che quel
pomeriggio, a Savona, avrei parlato dell'India, del Tibet, della Mongolia,
e per finire del fallimento della spedizione Erebus; e la sera non avrei
scritto l'articolo su Carlo Piaggia, ma ancora avrei guardato il manoscritto
incompiuto, e fermo da anni, che diversi editori tentavano di acquistare
e che io rifiutavo di cedere; e avrei ricordato gli eventi che già
conoscevo e bene, gli eventi che tramite il CNR, l'Università, gli
sponsor avevano trascinato un modesto insegnante liceale appassionato di
viaggi e di esplorazioni a guidare la spedizione Erebus in cerca dell'Abominevole...
era il mio destino; sapevo d'esser legato a lui, a lui che tornava; e finché
non fossi stato io, a tornare a cercarlo, lui ancora sarebbe giunto nelle
notti, e specie in quelle del Tuono, a svegliarmi alle cinque, svegliandomi
nella notte tremante fra le lande dell'Everest... ancora per tanto...
Mia moglie dormiva.
Le sfiorai la guancia con
un bacio; lei nel sonno sorrise, con lo stesso sorriso con cui lei e gli
sherpa m'avevano trovato, unico superstite del Gruppo Due, proprio come
Peter Cushing, inebetito, semi-assiderato, incapace di parlare, di muoversi...
solo, senza attrezzatura, senza compagni... vivo.
Sorrisi anch'io. Mi sdraiai
vicino a lei, infilandomi sotto le lenzuola.
Chiusi gli occhi.
Il Tuono rimbombava, e il
Tuono segnalava la sua presenza, e il mio ultimo pensiero, prima di addormentarmi,
fu alle divinità del piano intermedio dell'esistenza, perché
permettendomi di sognare, permettessero pure il ricordo, a me che ero stato
l'unico a vedere in faccia lo Yeti, quale fosse il suo volto, la sua forma,
i suoi occhi, a me che un crudele gioco del destino non aveva più
concesso di rammentarne le sembianze, dopo quell'unico incontro che era
costato la vita a tutti i compagni del Gruppo Due, dopo quell'unico incontro
fra le nevi eterne dove nessuno, al di fuori di lui, aveva messo fino ad
allora piede...
1° stesura:
Genova, maggio 1986
Revisione: Genova, estate
1993
