La mattina dopo mi alzai
di buon'ora, continuando a riflettere sul misterioso agnello vegetale.
Decisi allora di fare un
salto a Storia, prima di recarmi in biblioteca a riprendere le letture
in vista dell'esame che dovevo sostenere di lì a poco; quel giorno,
tanto per variare, avrei studiato il Leopardi che già m'interessava
più del Carducci, e comunque era sempre minore il fascino della
ginestra che quello del misterioso popone... andai in Istituto, trovai
il docente che cercavo, parlottai un po' con lui, e quando uscii fuori,
avevo l'indicazione di una nuova versione della storia di Odorico, quella
detta "la minore", raccolta da frate Enrico da Glatz.
Cercare quel testo occupò
tutta la mattinata; confesso che fui più volte sul punto di lasciar
perdere e affrontare il Leopardi, ma una sorta di strana curiosità
mi costrinse a non cedere e, dopo aver girato un paio di biblioteche, verso
il mezzodì riuscii a trovare l'oggetto delle mie ricerche: Delle
navigationi et viaggi a cura di Giovanni Battista Ramusio, copia unica
e subito sottrattami perché il tempo per la consultazione dei cosiddetti
"fondi rari" era appena scaduto.
Me ne andai via, furioso.
Girellai per tutta la città e infine mi ritrovai in casa di due
amici che vivevano in una vecchia casa patrizia; e là, fra dipinti
seicenteschi, antichi marmi e anfore romane, raccontando la storia di Odorico
da Pordenone scoprii che anch'essi conoscevano l'agnello vegetale, seppur
attraverso fonti differenti dalla mia.
- Ricordo di aver letto
di quest'ibrido, a metà fra il regno animale e quello vegetale,
- affermò Manuel, che nella vita di tutti i giorni faceva il pittore
ed era quindi disposto ad accollarsi il peso di ogni bizzarria. - Ma non
ricordo più dove... forse in Borges...
- In Borges?
Sua moglie annuì:
- Sì, è vero; ne parla Borges nel Manual de zoología
fantástica, ma non ricordo come... se attendi un secondo, vado
a prendertelo.
Manuel e Margarita sono
di origine argentina, due persone dalla squisita gentilezza, eredi di un'aristocrazia
che si è perduta nel tempo; m'invitarono a cena, quella sera, e
per me tradussero il capitolo del Manual in cui si parlava dell'agnello
vegetale: scoprii così che l'origine della leggenda aveva una sua
realtà, il polypodium borametz, radice coperta da una strana
lanugine, e strutturata a forma d'animale, che le parole dei viaggiatori
e degli studiosi deformavano; scoprii che già Thomas Browne, in
una sconosciuta Pseudoxia Epidemica edita nel 1646 parlava di questa
pianta, e che, quella che io credevo una grande scoperta era alla portata
di tutti, poiché, mi dissero, il libro di Borges non solo risaliva
al 1959, ma da tempo era stato tradotto in italiano.
Quella notte rimasi sveglio
fin quasi all'alba; maledicevo la mia ignoranza, perché pur avendo
letto Finzioni e L'Aleph ignoravo che esistesse il Manual;
poi me la presi con me stesso, perché continuavo a perder tempo
alla ricerca di una pianta misteriosa che in realtà altro non era
che una pianta qualunque; e infine giurai a me stesso che avrei scordato
il borametz (così lo chiamava Borges) e che avrei ripreso
seriamente a studiare, e finalmente m'addormentai.
Fu peggio. La mattina dormii
fino a tardi. Poi, risvegliatomi, pensai che se pure dovevo studiare Carducci
e Leopardi (e comunque ero indietro rispetto alla tabella di marcia, perché
quello era il giorno dedicato al Pascoli) avrei potuto dare comunque un'occhiata
al Ramusio... tornai in biblioteca... lessi finalmente ciò che Odorico
diceva in quella versione, molto diversa dalla "maggiore" e dalle parole
dello stesso Borges:
Un dì tra gli
altri viddi una bestia grande come un agnello, che era tutta bianca, più
che neve la cui lama rassemblava un bombace, la quale si pelava. E domandando
dai circostanti, che cosa fusse, fummi detto, che era stata donata dal
Signore ad un barone, per una carne, che fusse la migliore, e più
utile al corpo humano d'ogn'attra, soggiungendomi che vi è un monte,
che ha nome Capsis, in cui nascono certi poponi grandi, e quando si fan
maturi, si aprono, e n'esce fuori questa bestia.
Evidentemente, la versione
"minore" era in realtà la meno manipolata; in questa Odorico affermava
di aver visto l'agnello vegetale, in quell'altra ripeteva solo il sentito
dire, e ciò che aveva visto non era solo la forma allucinatoria
di un viaggiatore medievale sempre pronto a coprir gli spazi vuoti che
la sua realtà gli mostrava attraverso la fantasia, ma al contrario
un reale quotidiano che a lui poteva sembrare alieno, agli altri normale...
E Borges? Perché
Borges, così sempre sospeso tra dati veri e dati simulati, lui,
il massimo falsificatore del reale, lui che riusciva a trasformare a ritrasformare
incessantemente i materiali che via via gli si presentavano sottomano,
era stato così prudente nel valutare il borametz? Perché,
di tutte le sue strabilianti invenzioni, questa era così aderente
alla realtà da essere addirittura reale?
Restai a lungo a meditare
su questo punto... poi decisi di consultare l'edizione italiana del Manual...
scoprii che non m'ero sbagliato: Borges citava, in un viluppo sempre più
lucido e luccicante, animali mitici come il basilisco l'anfesibena,
il roc, il kraken... per ognuno di loro, anche per il più
impossibile fra gli inesistenti, aveva trovato notizie, fonti, dati sicuri...
per il borametz nulla... e allora? Non aveva letto Odorico da Pordenone...
no... non era possibile... e se anche fosse stato così, sicuramente
aveva letto lo pseudo-John Mandeville, che, come citava il Pullé,
da Odorico aveva liberamente tratto la storia in questione... e il Mandeville
era molto più noto, nei paesi europei, di quanto non lo fosse Odorico...
Borges, figuriamoci, aveva studiato in Europa... aveva fatto il bibliotecario...
aveva studiato tutto lo studiabile, Borges... doveva aver conosciuto anche
queste fonti... eppure non le citava, anzi; neppure s'era preoccupato di
terminare il paragrafo; o forse non era mai stata sua intenzione il farlo?
Che Borges avesse scoperto qualcosa sul leggendario agnello vegetale che
non voleva assolutamente rivelare a nessuno, e avesse quindi occultato
le sue fonti... appositamente... cosicché il mistero del borametz
risultasse insoluto?
Cominciai a pensarci sopra.
E per un mese non feci altro, dimenticando perfino di studiare, di iscrivermi
all'esame, di presentarmi il giorno dell'appello; ma in compenso iniziai
una folle ricerca di tutto quanto riuscivo a trovare sul misterioso animale
metamorfico: dall'edizione italiana del Manual, scoprii un'indicazione
che ricordava la voce Agnus Scythicus nell'Encyclopédie;
ma l'edizione italiana dell'opera era mutila proprio in quel volume, che
uno dei bibliotecari confermò esser stato banco di prova per i roditori;
cercai allora l'edizione francese, e dopo varie peripezie ne trovai una
stampata a Losanna nel 1778 che mi dava però un Agneux de Tartarie
che parve solo una variante di pelliccia d'agnello, e un Agneaux Scythicus
che fra una citazione e l'altra negava addirittura l'esistenza dell'animale;
risalii ad una storia naturale di Giulio Cesare Scaligero, il De Plantis,
che accantonai immediatamente scoperta la mia oramai ineluttabile incapacità
nel leggere il latino, e così feci con altri testi ripromettendomi
che, quanto prima, avrei recuperato qualcuno in grado di tradurne i passi
interessati.
Passarono i giorni. Setacciai
le biblioteche, trascorsi ore a legger cartellini di richiamo e d'identificazione
nella speranza di trovare un indizio, consultai amici, insegnanti, librai
chiedendo delucidazioni finché, per vie traverse, non giunsi ad
alcune - provvisorie - conclusioni.
Thomas Browne non parlava
affatto dell'agnello vegetale; consultai il suo volume, ma nulla... non
c'era nulla! Perché?
Un certo Girolamo Valentini,
frate francescano del XIV secolo, vide a sua volta l'agnello vegetale,
e nel suo diario di viaggio situò questa scoperta in una zona non
meglio identificata del Caucaso.
Henry Lee, in The vegetable
Lamb of Tartary, risalente al 1887 dava la sua spiegazione dell'enigma;
si trattava essenzialmente di un errore semantico, laddove i primi studiosi
del borametz indicavano con lo stesso nome sia il baccello del cotone,
sia la pecora indicando così in termini di "morbidezza" una particolare
qualità della pianta...
Non era per nulla soddisfacente.
Limneo aveva chiamato polypodium barometz una pianta che assomigliava
vagamente, con la sua radice semi-orizzontale e relativi fittoni a crescita
verticale, ad un agnello; la stessa pianta che Borges citava, che è
una sorta di felce e che ora è chiamata cibrotum glamescens;
ma Limneo e Borges, a quanto mi risultava baravano al gioco, così
come Lee... solo Odorico da Pordenone e Girolamo Valentini sembravano affermare
la verità; che per un legge biologica a noi ignota, esisteva una
pianta che generava realmente l'agnello...
Un controsenso, certo...
un'impossibilità...
Quando scoprii che, non avendo
dato l'esame in questione, il rinvio per il militare automaticamente cessava,
e fui costretto a partire fra gli Alpini Esploratori ero furioso; e non
solo per la leva; se fossi rimasto a casa mia forse avrei avuto diverse
possibilità di continuare i miei studi... invece dovevo marciare
tra le morene e le nevi, sempre più adirato con me stesso, la mia
idiozia, la mia incapacità...
Fu un periodo infernale.
Mi sognavo l'agnello scitico, di Tartaria, l'agnello vegetale, anche la
notte... nelle libere uscite fuggivo verso le città vagando per
librerie e biblioteche, e cercavo notizie che non riuscivo più a
trovare, e sempre di più mi convincevo di star giocando una partita
perduta in partenza, ma che comunque dovevo tentare; e i giorni passavano,
e il tempo passava...
Ora, finalmente, sono sul
punto di risolvere il mistero.
Stiamo partecipando alle
grandi manovre del Patto Atlantico, e il corpo degli Alpini Esploratori
è stato mandato sulle montagne della Turchia, a Sarikamis, come
tutti gli anni; e questa volta, per fortuna, è stato il mio contingente
ad esser prescelto...
Io sto per disertare. Tra
non molto, approfittando di un momento in cui tutti saranno impegnati a
sparare, a sminare, costruire e distruggere ponti, prenderò la fuga
verso Gole; proseguirò per Ardhan, poi per Posof; traversata la
frontiera inizierò la marcia verso il Caucaso, verso Ciharesi sul
fiume Cheniskali che, secondo un commentario a un'edizione spuria del viaggio
di frá Girolamo Valentini, fortunosamente scoperta in una visita
lampo alla Marciana, è la capitale dell'antico regno di Cadaeli...
e là troverò qualcosa.
Devo farcela.
Mi rendo benissimo conto
che tutto ciò è una follia; ma ho impegnato troppo nell'ultimo
periodo della mia vita scommettendo sull'agnello vegetale per lasciare
che esso si perda... questa è l'unica occasione che ho per svelare
un mistero che, come tutti i misteri, non interessa che a pochi, o a nessuno...
Non credo che le mie ricerche
sull'agnello vegetale di Tartaria siano servite a qualcosa, fino ad ora;
neppure credo che il numero di persone interessate a questo problema superi
il numero di dieci, ma di queste dieci io devo essere il primo; troppo
tempo è trascorso, troppo tempo ho atteso, e nell'arcano telaio
dei nessi che incrociano i vissuti delle genti, la speranza di riuscire
a muoversi è tale e tanta che val comunque la pena di rischiare;
il caso mi ha messo sulla pista del borametz; il caso mi ha fatto
partire militare; sempre il caso in Turchia scelse la destinazione; ed
ora, finalmente, sarà la mia volontà a muover le pedine del
gioco, a farmi rischiare la galera, la fucilazione, la morte per il gusto
d'azzardo di seguire la traccia...
Mentre i miei camerati si
stanno preparando alle grandi manovre, io mi preparo all'ultima ricerca
sull'agnello vegetale di Tartaria.