Sì, credo sia cominciato
tutto proprio nel momento esatto in cui la Canon di Clarissa ha cominciato
a scattare la prima foto, su Terra-uno.
È una cosa che posso
capire, l'universo si è dicotomizzato in quell'istante, si è
diviso in due tronconi che per il momento viaggiano nel tempo ancora paralleli
ma che presto o tardi cominceranno a divergere. Sempre che Clarissa possedesse
un proprio peso, nell'economia dell'universo.
Quello che non capisco è
come mai non sono stato dicotomizzato anch'io, insieme al vecchio universo,
quello che ormai chiamo forse troppo semplicemente Terra-uno.
La cosa è preoccupante,
e mi spaventa.
Clarissa l'aveva detto e
ripetuto non so quante volte, "uno di questi giorni lo faccio", diceva"
non voglio arrivare a ridurmi come mia sorella, la farò finita prima.
Però voglio trovare un sistema originale per uccidermi, devo trovare
qualcosa che faccia parlare, voglio che almeno l'atto ultimo della mia
vita venga ricordato, visto che il resto della mia esistenza è trascorso
nel più completo anonimato". Ne parlava così, in tutta tranquillità,
e facevi fatica a capire che non stava scherzando, che non diceva tanto
per dire.
Voleva trovare un modo originale
per morire.
Be’, c'è riuscita.
Accidenti se ci è riuscita.
L'intero universo si è
diviso per lei.
La notizia me la portano
i Carabinieri. Un maresciallo con una faccia da cernia bollita coi baffi
bussa alla mia porta.
-- Lei è Andrea Soretti?
- mi domanda.
-- Sì, perché?
- gli rispondo io, mentre comincio a pensare a quale dannata infrazione
stradale posso aver commesso per meritare addirittura una visita a domicilio
da questo caramba baffuto.
-- Mi dispiace. Questo pomeriggio
abbiamo avuto una chiamata, la signorina Clarissa Molini... lei la conosce
vero?
-- Certo, è la mia-
-- È morta. Mi dispiace.
Così. Me lo dice
così, questo stronzo, "È morta. Mi dispiace".
-- Come? - faccio io, incredulo
- Senta, ci deve essere qualche equivoco, ho visto Clarissa giusto stamattina,
abbiamo pranzato insieme, lei ha preso un hamburger con le cipolle...
- ma la sua faccia è di quelle del tipo "guarda che ho ragione io,
non ci sono cazzi" e all'improvviso mi si ghiaccia il sangue. - è...
è morta?
Il maresciallo annuisce,
con aria seria ed affranta. Mi rendo improvvisamente conto che stiamo parlando
sul pianerottolo delle scale, che non è buona educazione comportarsi
in questo modo, che dovrei invitarlo ad entrare, dovrei offrirgli da bere
e lui dovrebbe prontamente rifiutare, ma scopro con una perversa soddisfazione
che non ho la minima intenzione di permettergli di mettere piede in casa
mia.
-- La sua amica si è
tolta la vita questo pomeriggio... ci ha chiamato la sua coinquilina, una
certa Maria Salvemini...
-- Maria, sì, sono
amiche da un sacco di tempo, vanno alla stessa facoltà, sa, Clarissa
è iscritta in ingegneria - gli dico, e finalmente comincio a rendermi
conto che forse questa cernia in divisa non ha sbagliato indirizzo, che
forse ha davvero ragione lui.
-- Si è suicidata?
-- Così pare, anzi,
non ci sono dubbi.
-- Come? - all'improvviso
diventa importante per me saperlo, sento che la testa diventa leggera e
la sensazione è quasi piacevole - Come ha fatto? Come si è
uccisa?
-- Mi spiace, questo non
posso dirglielo.
Non può dirmelo,
dice. E non me lo dice.
A nulla servono le mie proteste
e così devo aspettare altre quattro ore prima di riuscire a sapere
come è morta la mia ragazza.
Sono andato a trovare Clarissa
in ospedale anche oggi. La dimetteranno dopodomani, cioè il mio
prossimo domani su Terra-due.
Questo è un altro
dei problemi che mi assillano: cosa mi succede qui su Terra-due quando
sono su Terra-uno? Chi prende il mio posto? Come è possibile che
nessuno si renda conto della mia assenza?
-- Sono stata una stupida,
vero? - mi domanda Clarissa e mi lancia uno dei suoi sorrisi incastonati
di metallo.
-- Sì, sei stata
una stupida. Però sei su tutti i giornali. Era quello che volevi,
no? - Non le ho detto di quello che ha combinato all'universo. Clarissa
non sa di essere morta.
-- E le foto? Te le hanno
ridate? Come sono venute?
-- Non lo so. Ho dimenticato
di chiederle al maresciallo. Ma come ti è venuto in mente di fotografare
proprio... -
-- L'attimo della mia morte?
- conclude lei per me - mi sembrava una buona idea.
Clarissa aveva scritto un
messaggio per me, prima di togliersi la vita. Il maresciallo dalle grandi
branchie e dai folti baffi me lo porge quella sera, a casa di Clarissa.
Lei non c'è, l'hanno portata via prima del nostro arrivo.
Il biglietto dice solo:
"che te ne pare? Baci, Clarissa"
Il "che te ne pare?" si
riferisce alla scena che lei aveva preparato per me, perché forse
pensava che sarei stato io, e non Maria, a ritrovarla.
I carabinieri l'hanno trovata
distesa sul letto, completamente nuda. Il letto era pieno di petali di
fiori, di tutti i colori, sul tavolo della cucina ci sono ancora gli steli
verdi di garofani, rose, margherite e chissà cos'altro. Deve aver
speso un centinaio di "milalire" dal fioraio, la pazza.
Davanti al letto, sul treppiedi,
aveva piazzato la Canon autofocus che le avevo regalato l'anno scorso.
Clarissa era brava a fotografare, alcune sue foto in bianco e nero hanno
vinto più di un concorso per amatori.
La Canon era collegata con
il cavetto dello scatto a distanza e quest'ultimo Clarissa l'aveva attaccato
non so bene come ad un relè o qualcosa di simile; lei e Maria erano
perito elettrotecnico, "le uniche donne di una classe di 25 persone", come
amavano ripetere in coro.
Il tutto era stato attaccato
ad un timer da giardinaggio infilato nella presa vicino al comodino.
Quel timer lo conoscevo
bene, Clarissa lo usava al posto della sveglia, ogni mattina alle sette
e mezza faceva accendere l'abatjour sul comodino e la radio dello stereo
nell'angolo della sua camera da letto.
Il timer, regolato per le
quattro di quel pomeriggio, aveva fatto scattare il relais che aveva azionato
lo scatto a distanza della macchina fotografica. Aveva anche acceso la
luce del comodino. Però non aveva acceso la radio.
Perché i due capi
del filo dell'alimentazione dello stereo Clarissa li aveva spellati e li
aveva avvolti al filo d'acciaio del suo apparecchio per i denti, che portava
da quasi due anni.
Quando Maria era entrata
usando la sue chiavi l'aveva trovata così, col filo nero che le
penzolava dalla bocca, distesa sul letto in mezzo a centinaia e centinaia
di petali colorati, completamente nuda. La luce era saltata, ma la Canon,
dotata di motore, aveva scattato tutte le 24 foto contenute nel rullino.
Maria adesso è andata
a stare dai suoi genitori. È rimasta molto scioccata dall'accaduto,
Clarissa era la sua migliore amica.
Sorpresa.
Le foto sono uguali. Avrei
giurato che sarebbe stato il contrario. I rullini di Terra-uno e Terra-due
mostrano le stesse immagini.
Ho scoperto che Clarissa
aveva scattato altre foto prima di preparare la macchina, solo le ultime
dodici infatti la ritraggono nel momento della morte.
Le prime dodici però
sono altrettanto scioccanti, per chiunque non conoscesse lo stile di Clarissa.
La prima è la foto
di una foto, Clarissa ha fotografato un vecchia fotografia di Stella, la
sua sorellina morta cinque anni fa. È una foto che non avevo mai
visto prima: Stella è in costume da bagno, in piedi sulla sabbia
di chissà quale spiaggia. Potrà avere sì e no 8 anni,
e i suoi capelli rossi avvolti in due lunghe trecce la fanno assomigliare
a comesichiama... ah ecco, Pippi Calzelunghe.
La seconda è una
foto di Clarissa mentre taglia i gambi dei fiori coi petali dei quali poi
cospargerà il suo letto. Clarissa è già nuda ma il
tavolo e i mazzi di fiori la coprono fino all'altezza delle clavicole.
Sorride, mentre con le sniper recide gli steli delle rose.
Le foto dalla 3 alla 10
sono solo delle variazioni sul tema delle prime due. Stella sorridente
e imbaccuccata su uno slittino in montagna e Clarissa nuda che sistema
parte dei fiori sul letto; Stella col grembiule e la cartella davanti alla
scuola elementare e Clarissa nuda seduta sul suo ciaciglio di fiori che
fa l'occhiolino alla telecamera; Stella che soffia sulla torta del suo
decimo compleanno e Clarissa nuda seduta sul letto mentre spella i fili
dell'alimentazione dello stereo; Stella e Clarissa che sorridono davanti
alla Fontana di Trevi e un primissimo piano di Clarissa mentre sorride
alla macchina fotografica, mostrando l'apparecchio per i denti che risplende.
Mi vengono i brividi a pensarla
mentre progetta ed esegue questa sequenza fotografica, quanto tempo avrà
perso per preparare ogni volta la macchina fotografica per fotografare
una volta lei e una volta quelle vecchie foto di sua sorella?
Le ultime due foto della
prima dozzina sono terribilmente sensuali ed oscene e provo un fortissimo
senso di disagio al pensiero che le devono aver viste almeno un'altra decina
di persone prima di me.
Foto undici: Clarissa è
appoggiata alla testiera del letto, seduta sui talloni con le gambe leggermente
divaricate, schiena dritta, volto serio, sguardo fisso nella macchina fotografica.
La mano sinistra che tocca il seno destro, l'altra nascosta fra i riccioli
del pube. Si sta masturbando.
Foto dodici: Stessa inquadratura,
ma la posizione è diversa. Clarissa ha la testa piegata da un lato,
gli occhi chiusi e la bocca socchiusa, la mano sinistra adesso stringe
con forza il seno destro, la destra è sempre in mezzo alle gambe.
Sembra quasi che stia soffrendo, anche se è ovvio che è vero
il contrario.
Non so spiegarmi il perché,
ma dopo un pò che le guardo il senso di disagio scompare... e mi
viene da ridere. Clarissa ha preparato queste due foto - ne sono improvvisamente
certo - apposta per eccitare coloro i quali si sarebbero dovuti occupare
del suo caso. Un ultimo, piccolo, sadico scherzo.
Clarissa è stata dimessa
questa mattina, io e Maria siamo andati a prenderla all'ospedale.
Mi è sembrata allegra,
ha salutato tutti i dottori e le infermiere del suo reparto e poi ha chiesto
se potevamo andare da qualche parte a mangiare qualcosa. Sembrava quasi
che avesse dimenticato tutto, era tranquilla e serena, come se in ospedale
ci fosse finita per una indigestione invece che per un tentativo di suicidio.
E invece non aveva dimenticato
niente.
Eravamo seduti ad uno dei
tavoli di Cellini e Clarissa aveva appena ordinato una delle impressionanti
coppe di gelato misto "alla Cellini" quando mi ha chiesto delle fotografie.
-- Le hai?
-- Cosa?
-- Le mie foto. Te le sei
fatte dare?
-- Sì.
-- Vediamole.
Sono rimasto colpito dalla
decisione con cui me le ha chieste, ho guardato Maria in cerca di aiuto
ma lei si era voltata a guardare le auto che passavano per strada con una
tale attenzione da lasciar credere che in quel momento nulla potesse avere
importanza maggiore; ho guardato di nuovo Clarissa, ho tirato fuori le
foto dal borsello e gliele ho consegnate.
Lei le ha osservate attentamente
una per una e poi, come unico commento ha esclamato:
-- Stampate tutte su carta
Kodak, eh?
-- Dovresti gettarle via
e scordare tutto quanto. - ha detto improvvisamente Maria, ridestatasi
dalla sua contemplazione automobilistica - Non è stato bello per
niente quello che hai fatto, mi hai fatto morire di paura.
-- Mi dispiace, tu mi avevi
detto che non saresti tornata dalla campagna prima di domenica... non volevo
spaventarti.
-- Volevi spaventare me.
- ho detto io - Non è così?
-- Tu non ti saresti spaventato.
Tu lo sapevi che l'avrei fatto.
-- Perché non parliamo
d'altro? - ha detto Maria - Questi discorsi... sono morbosi, non mi piacciono
affatto.
Clarissa stava per ribattere
qualcosa quando è arrivato il cameriere con le ordinazioni. Clarissa
si è avventata sul gelato come una bambina golosa e di morte non
si è più parlato, con grande sollievo di Maria e, devo ammetterlo,
anche mio.
Le altre dodici foto dei
rullini di Terra-uno e Terra-due hanno fotografato l'istante della folgorazione
di Clarissa.
In realtà solo le
prime tre riprendono quell'istante, le altre ritraggono una Clarissa rispettivamente
morta e in stato di incoscienza, distesa sul suo letto di fiori, immobile.
Con quel filo nero che le
penzola fuori dalla bocca semiaperta.
La posizione del corpo di
Clarissa è esattamente la stessa in entrambe la serie di fotografie,
sia in quelle in cui è morta che nelle altre. È strano, davvero
strano.
Le prime tre foto invece
sono agghiaccianti.
Mostrano Clarissa mentre
la corrente attraversa il suo corpo: sembra quasi sollevata dal letto,
la schiena inarcata in maniera impossibile, la testa piegata all'indietro,
nascosta dai seni sollevati, le braccia allargate all'infuori, con le mani
che artigliano le lenzuola, insieme a manciate di petali di fiori colorati.
Sembrano le foto di un'indemoniata,
o di qualcuno in preda ad una violenta crisi isterica o epilettica, sembrano
foto di un film dell'orrore.
E invece sono le foto della
mia ragazza mentre muore.
Ho passato un po’ di tempo
a pensare a tutta questa strana situazione e ho scoperto che ci sono troppe
cose che non quadrano.
Su Terra-uno Clarissa è
morta, su Terra-due è ancora viva, questo è l'assunto principale.
I due universi per il resto sono identici, o almeno così mi pare,
sono identici anche i programmi trasmessi alla TV.
Il problema sono le persone.
Esiste un doppione di tutti
gli abitanti di Terra-uno che sta continuando a vivere su Terra-due. Esiste
un doppione del Maresciallo dei carabinieri, di Maria, dei medici dell'ospedale,
del cameriere di Cellini... di tutti. Esiste un doppione perfino di Clarissa,
che su Terra-due è viva.
Ma manca il mio, di doppione.
Io sono rimasto lo stesso
su entrambi gli universi.
Come è possibile?
E poi c'è la questione
del tempo mancante, che è ancora più stramba: dal momento
della divisione ad ora ho continuato a vivere a cavallo fra le due terre,
un giorno in una e il seguente nell'altra, come il pendolo di un orologio,
un tocco a destra e uno a sinistra. Ma, se è vero che io non ho
un doppione, questo significa che quando sono su una delle due terre non
c'è nessuno che prende il mio posto sull'altra. Sono assente ventiquattrore
su quarantotto in ogni universo e la cosa non mi pare plausibile, non può
essere plausibile.
Le spiegazioni a questo
punto sono due: o sono pazzo io o è l'universo che è diventato
matto.
Farò qualche esperimento
in proposito.
I risultati dell'autopsia
hanno confermato che la morte è avvenuta per folgorazione. Hanno
anche confermato che Clarissa aveva un principio di cancro alle ossa.
Come sua sorella Stella.
Non l'ho mai conosciuta,
Stella, ma so che Clarissa le voleva un bene da morire.
Una delle cose che non potrò
mai dimenticare è proprio l'amore e la rabbia che c'erano negli
occhi di Clarissa una delle volte in cui mi parlò della sua sorellina
dai capelli rossi. Accadde una sera, eravamo seduti in macchina davanti
casa sua e osservavamo i gatti passare avanti e indietro per la strada,
indaffarati in chissà quali faccende, e il discorso cadde non so
come su sua sorella Stella.
-- Una volta per colpa della
chemioterapia mi vomitò addosso tutta la minestra. - mi disse -
E mi chiese scusa. "Scusa", lo capisci? Era diventata calva, i suoi bei
capelli rossi le erano caduti già da tempo ed i suoi grandi occhi
verdi erano... sembrava che l'avessero presa a pugni in faccia. Mi disse
"Scusa", e il suo alito sapeva di minestra di verdura e di acidi gastrici,
e io... cazzo! io avrei voluto piangere e gridare e avrei voluto che Dio
in persona fosse lì presente perché così gli avrei
rotto il culo, perché non si può permettere che una bambina
di otto anni muoia lentamente di cancro in un letto d'ospedale e poi sperare
di sfangarla, di passarla liscia. No, Andrea, proprio non si può,
nemmeno se ci si fa chiamare "Dio".
Così disse, e furono
parole così forti, così acide, che per lunghi minuti non
ebbi nemmeno il coraggio di voltarmi a guardarla - proprio come ha fatto
Maria al bar ieri mattina - e non seppi far altro che starmene zitto, a
guardare i gatti che davano l'assalto ad un cassonetto della spazzatura
stracolmo di sacchetti di rifiuti. Ricordo che sentivo il suo respiro irregolare
che sovrastava il mio. Era il respiro di chi sta cercando di trattenere
le lacrime. O di calmare un moto di rabbia furibonda.
Ho paura. Ho scoperto che
sono io ad essere pazzo.
Ho fatto alcuni esperimenti
ed il risultato non lascia dubbi.
Numero uno: ho scoperto
che non conservo il ricordo del passaggio da un universo all'altro. Avevo
creduto che il passaggio da terra-uno a terra-due avvenisse durante la
notte, mentre dormivo, e così sono rimasto sveglio per tutta la
notte su terra-uno... e al mattino mi sono ritrovato su terra-due. Non
c'è stato nessun passaggio, non mi sono accorto di nulla, eppure
in qualche modo, durante la notte, mi sono trasferito nell'altro universo.
E non può essere.
Numero due: ho cercato di
trovare delle differenze fra i due universi. Sono stato attento ai particolari:
la sequenza delle auto parcheggiate, i fiori nei cespugli dei giardini
pubblici, persino gli escrementi di cane sui marciapiedi sono gli stessi.
Naturalmente c'erano 24 ore di ritardo fra le osservazioni che ho compiuto
su terra-uno ed i riscontri su terra due, ma le cose combaciavano ugualmente.
I fiori di terra-due erano un po' più avvizziti e le cacche dei
cani un po' più secche, ma erano indubbiamente le stesse.
Numero tre: ho fatto una
prova che avrei dovuto fare fin dall'inizio, una prova talmente elementare
che il solo fatto di non averci pensato subito mi avrebbe dovuto far sospettare
che c'era qualcosa che non andava: ho lasciato un messaggio su Terra-uno,
ho scritto la mia firma su un biglietto e l'ho attaccato al frigo con una
calamita, poi ho controllato se c'era anche su Terra-due. C'era.
Se poi tengo conto delle
foto, che sono identiche mentre non dovrebbero esserlo, la conclusione
è inevitabile: sono pazzo.
L'universo è uno
solo. Non ci sono nè Terra-uno nè Terra-due. Sono io quello
che si è dicotomizzato, quello che si è dissociato, non l'universo.
Sono io che mi sono inventato un secondo continuum personale, sono io quello
che si è diviso per la morte di Clarissa, non l'universo.
È terrificante.
È terrificante essere
pazzo, ed è ancora più terrificante avere scoperto di esserlo.
Credo che avrò bisogno
di aiuto.
Bene, adesso non so proprio
più cosa pensare.
Sono guarito. Più
o meno.
Oggi il passaggio non è
avvenuto; mi sarei dovuto svegliare stamattina nell'altro mio fantomatico
universo personale ma così non è stato: sono rimasto in quello
di ieri.
Il fatto è che sono
rimasto in quello sbagliato.
Clarissa è venuta
a prendermi per accompagnarmi all'ufficio prima di andare a lezione in
Facoltà e io... sono andato con lei, tranquillo, come un bambino
accompagnato all'asilo dalla mamma. Clarissa mi ha lasciato davanti all'ingresso
dell'ufficio, mi ha baciato sulla bocca e mi ha dato appuntamento per ora
di pranzo davanti a MacDonald. Io ho detto "va bene, ci vediamo più
tardi" e poi ho fatto ciao con la mano quando lei si è allontanata
nella sua Y10 verde metallizzato. Proprio come un bravo bambino.
È fuori dalle regole,
questa faccenda.
È sparito l'universo
sbagliato. Come è possibile che sia rimasto "qui", in quello che
dovrebbe essere solo un parto della mia fantasia?
Se tutta questa storia è
accaduta perché in qualche modo non avevo digerito il suicidio di
Clarissa - perché Clarissa si "è" suicidata, su questo non
ci sono dubbi - perché diavolo ora mi trovo qui?
Come faccio ad andare a
chieder aiuto a qualcuno, adesso? Gli racconto che la mia ragazza è
morta e che io mi sono creato un universo personale nel quale era ancora
viva, (una storia abbastanza plausibile, dal punto di vista patologico)
e poi? Che gli dico? Che sono rimasto nell'universo sbagliato?
Però, a pensarci
bene la cosa non è tanto grave. In fondo quello che conta è
che Clarissa sia ancora viva. E poi, se l'universo è tornato ad
essere uno solo, questo risolve e mette fine a tutti i paradossi che si
erano venuti a creare.
Sì, penso proprio
che me ne starò zitto, sarebbe da sciocchi rimettere tutto in discussione
adesso che tutto va come dovrebbe andare.
L'ha rifatto.
L'ha rifatto e finalmente
ho capito.
Si è gettata sotto
la metropolitana ieri mattina. Una fine un po' più "normale", questa
volta. Ha lasciato la macchina al posteggio davanti la Stazione, ha pagato
persino il biglietto, ha aspettato al Binario 3 che arrivasse la corsa
delle dieci e mezza e si è tuffata proprio davanti alla motrice
in arrivo.
Hanno trovato i pezzi sparsi
sulle rotaie in un raggio di 15 metri.
Su Terra-due.
Su Terra-tre invece è
stata sbalzata di lato dal muso della motrice ed è finita sul Binario
4, che era libero. Adesso è in ospedale, con il bacino fratturato
e sei costole incrinate, oltre ad un sacco di lividi su braccia e gambe.
È in ospedale, ma è viva.
E io ho ricominciato a fare
il pendolare fra gli universi.
La cosa non mi preoccupa
più, ormai ho capito il trucco.
Perché non sono io
a essere pazzo, almeno non nel modo che mi ero immaginato.
È l'universo.
Si è innamorato di
Clarissa.
Sembra un'assurdità,
ma credo che la situazione possa benissimo esser definita con queste parole.
L'universo ha sviluppato, non so come nè tantomeno perché,
un attaccamento morboso per Clarissa. Clarissa è diventata importante
per l'universo a tal punto che ogni volta che muore, l'universo si scinde,
cerca fra i suoi doppioni paralleli quello in cui l'evento mortale non
si verifica, e dopo un po' cancella la copia con Clarissa morta.
L'universo, in parole povere,
"non vuole" che Clarissa muoia, e di volta in volta, agisce di conseguenza.
Suppongo che prima o poi
troverà un doppione parellelo di se stesso nel quale Clarissa guarisce
dal cancro e sceglierà di continuare con quello la sua corsa nel
tempo.
Fa un certo effetto sapere
che l'universo intero si prende cura della mia ragazza.
Rimane solo un particolare.
Io.
La teoria dell'universo
innamorato non spiega la mia capacità di poter vivere a cavallo
fra gli universi durante il periodo di transizione. Non c'è alcun
motivo logico per il quale proprio a me dovrebbe essere concessa tale capacità.
Quindi forse sono davvero
pazzo.
O forse sono un'anomalia.
Forse per qualche strana ragione l'universo ha fatto in modo che almeno
uno, io, sapesse del suo amore per Clarissa. Forse ha scelto me perché
sa che anche io amo Clarissa.
Forse sono proprio pazzo.
Però non me ne frega
niente, a questo punto. Fra qualche giorno Terra-due sparirà e tutto
ritornerà normale.
Almeno fino a quando Clarissa
non ci riproverà.
Questo racconto
è dedicato a mia cugina Paola, morta di cancro al cervello all'età
di diciotto anni.
Lei non aveva un universo
che l'amava.
Giuseppe De Rosa
©1991
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