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Uno studio di carattere storico sulla SF ha un suo preciso significato, se prende in esame periodi o momenti sostanzialmente omogenei, nell'ambito di fenomeni letterari e/o culturali sostanzialmente omogenei. Si può senz'altro - e con profitto - collegare La Storia Vera di Luciano di Samosata all'ultimo romanzo della Le Guin, o i Gulliver's Travels alle Cosmicomiche di Italo Calvino, ma è difficile evitare, in questo caso, il pericolo di una iperbolica dilatazione diacronica che rende problematica la discussione sul "genere" o su un suo ipotetico sviluppo storico-letterario. Se ogni importante racconto o romanzo fantascientifico è sostanzialmente "folktale" creato "to meet the imaginative needs of the community" [1], nel senso attribuito al termine romance da Northrop Frye, tuttavia una identificazione completa tra SF e romance non è soddisfacente, non tenendo essa conto di quelle specifiche differenze strutturali tra due "generi" in parte complementari, ma anche divergenti, in qualche caso, come sottolinea gran parte della critica, anche quando, come dice il Rabkin, essa tende a dare il significato più estensivo possibile al termine "fantastico" [2].Il presente testo è stato realizzato in occasione del convegno La Fantascienza e la critica tenutosi a Palermo nel 1978. E' stato pubblicato nel volume che raccoglie tutti gli atti del convegno: Luigi Russo (a cura di), La Fantascienza e La Critica, Testi del convegno internazionale di Palermo, Feltrinelli, 1980
L'attenzione al fenomeno scientifico in chiave di favola e di proiezione mitica dell'immaginazione si accentua e assume connotati nuovi nel clima romantico del primo Ottocento, sia in Inghilterra che in America, con romanzi come il Frankenstein di Mary Shelley [3] o, sull'altra sponda dell'Atlantico, i racconti di Poe e di Hawtborne [4]. Ma gli esempi del primo Ottocento, se saldano la tradizione razionalistica e filosofica della favola settecentesca all'esperienza narrativa del romanzo gotico, si muovono ancora in un'atmosfera letteraria rarefatta, senza porsi ancora il problema della presenza e della comunicazione del mito scientifico in una società di massa fortemente industrializzata - come succede, invece, attraverso un processo di ristrutturazione formale, per la SF anglo-americana degli ultimi 100 anni. Sarà dunque necessario isolare tre momenti diacronici in questo arco di tempo, per verificare alcune ipotesi sulla SF come fenomeno specifico in una determinata cultura, e sulle sue modalità narrative:
E' dunque innanzitutto una dimensione formale legata alla sua fruizione il fattore relativamente omogeneo che permette di distinguere un'area angloamericana di questi ultimi cento anni, sia pure con apporti significativi da altre aree linguistico-culturali (Verne), differenziata rispetto alla formazione di letterature fantastico-utopiche in altri paesi, come la stessa Italia, dove il dettato fantascientifico in senso stretto, quando non è frutto di una massiccia importazione neocoloniale di moduli e statuti narrativi, rimane sostanzialmente avulso dalla tradizione della cultura di massa e si manifesta come raffinato e intellettualistico gioco dell'intelligenza [5].
Il fatto è che, nell'area angloamericana, l'espansione relativamente massiccia della Rivoluzione industriale richiede, anche a livello di letteratura, la formulazione di un messaggio ideologico che è necessario propagare tra le masse, e, più che tra le masse, tra i nuovi quadri intermedi della piccola borghesia cooptata a esplicare un nuovo ruolo di natura amministrativo-tecnologica [6]. Ha ribadito recentemente Krishan Kumar: "From the very start the Industrial Revolution was taken out of the realm of history proper and equipped with the mantle of ideology, or myth."[7] I processi di scolarizzazione di massa, messi in moto dal "Forster Act" del 1870 in Inghilterra, sono il terreno su cui una SF sì consapevolmente collegata alla tradizione di Swift, di Poe e Hawthorne, dello stesso Dickens di Hard Times, ma nello stesso tempo impegnata a elaborare una produzione letteraria rivolta a nuovi utenti e necessariamente legata a nuove prospettive formali, può esplicare la sua funzione di modello narrativo e ideologico, attraverso i scientific romances di Wells. Qualcosa del genere, del resto, succede quando i quadri amministrativi mandati a governare, con britannica saggezza ma anche con la dovuta fermezza, le nuove estensioni coloniali dell'Africa e dell'Asia, si volgono ai romances di Rider Haggard e di Kipling, non tanto e non solo per puro divertimento, ma per ricavarne idee e modelli di comportamento.
Si può dunque sottoscrivere l'affermazione di alcuni giovani studiosi italiani che hanno steso l'intervento introduttivo al recente numero di Calibano, dedicato alle Forme letterarie di massa, secondo cui:
Poiché da una parte respira l'aura della fin-de-siècle, con i suoi umori pessimistici e apocalittici, ma, dall'altra, come egli stesso più volte afferma nell'Experiment in Autobiography, non può esprimere un giudizio astrattamente negativo su una società dove uomini come lui possono essere valorizzati, Wells si fa carico dell'ambivalente rapporto della sua epoca con la mitologia del progresso, rifiutando, come è stato scritto anche recentemente, "il culto vittoriano del progresso tecnologico " [11], ma anche l'allegorismo retoricamente umanistico della tradizione utopistica del periodo, che va da Erewhon di Samuel Butler ad alcune opere di E. M. Forster, come il racconto lungo The Machine Stops [12].
Invece, il mito si cala nella sostanza narrativa del scientific romance e viene comunicato, spiegato, discusso davanti al lettore: il dialogo si instaura attraverso l'elaborazione di una forma mista, che contiene in sé elementi didascalici di derivazione vittoriana, elementi satirici, elementi realistici ed elementi fantastici. Presiede al processo fabulatorio un personaggio-narratore che è spesso testimone e co-protagonista o protagonista, ma di cui è comunque ribadita l'almeno apparente obiettività, l'anglicità tipizzante, la partecipazione a una middle-class che si muove secondo criteri empirici e che invade la favola, nelle sue componenti didascaliche, con i propri valori, le proprie reazioni emotive alla comunione e alla comunicazione del mito.
Il narratore wellsiano, lungi dall'avere la coerenza e la sottigliezza psicologica di Marlow nel contemporaneo capolavoro di Conrad Heart of Darkness, è un artificio letterario che assolve non a una funzione di soggettivizzazione psicologica del reale, ma di esplicazione delle sue diverse potenzialità ideologiche.
In The Time Machine, il più noto "scientific romance" wellsiano, come osservatore assolutamente imparziale che ha messo in moto il processo cognitivo costruendo la macchina del tempo, il Time Traveller può essere paragonato al narratore-sperimentatore teorizzato pochi anni prima da Zola nel Roman Expérimental; come personaggio borghese che prova una istintiva repulsione per i Morlocks e vive una patetica storia d'amore con Weena, la fanciulla degli Ebi, egli diviene l'interprete esemplare di un romance haggardiano; infine, come sociologo e didascalico espositore e scopritore di fenomeni sociali, in grado di spiegare il futuro in termini di presente, denunciando i "mali" della società capitalistica ottocentesca, egli ritorna ad essere il protagonista di un romanzo vittoriano o di uno dei romanzi a tesi che, a modo loro, continuavano la tradizione medio-vittoriana alla fine dell'Ottocento [13].
Nel successivo First Men in the Moon, che chiude nel 1901 la grande stagione dei romanzi scientifici wellsiani, l'identificazione tra narratore e lettore piccolo borghese è ancora più ironicamente stretta, data l'estrazione sociale del narratore, la sua scarsa conoscenza di cose scientifiche che gli permette una comunicazione di dati vaga e generica, l'ingenua ideologia mercantilistica-imperialistica applicata alle possibilità di sviluppo offerte dalla scienza. Il suo viaggio sulla Luna con lo scienziato Cavor è, come si sa, un vero e proprio viaggio di colonizzazione (anche se, poi, contiene il rischio di essere colonizzati):
dal palcoscenico di una commedia wildiana, siamo passati al sogno di una realtà fantastica, da li penetriamo al livello dell'incubo e della rimozione angosciosa, per ritrovarci nel mondo dell'utopia che ci riporta, ma in termini molto differenti da quelli originali, alla condizione storica e sociale dell'Inghilterra e della Terra contemporanea. Non è più, tuttavia, una speculazione utopica riservata a pochi eletti in un elegante gioco dell'intelletto filosofico, ma è comunicata alle masse attraverso lo strumento del scientific romance, ovvero la sua metafora narrativa, il frammentario, drammatico messaggio-radio dello scienziato, prigioniero dei Seleniti.
Il recupero della SF che viene operato a partire dalla seconda metà degli anni Venti in America da parte di Gernsback, poi di Campbell e di altri, nasce - come la critica ha più volte sottolineato - da una interpretazione unilaterale di Wells, come di Poe e Verne, che enfatizza la dimensione divulgativo-tecnologica e utilizza il romance in modo del tutto strumentale, per addolcire l'aridità del messaggio con l'introduzione di alcuni elementari espedienti formali della narrativa sentimentale o avventurosa. Se, insomma, alcune formule possono essere prese a prestito, ad esempio, più che da Wells o Verne, dai romanzi di Edgar Rice Burroughs - il creatore di Tarzan delle Scimmie, ed egli stesso scrittore di SF - la caratterizzazione impressa al genere da Gernsback e Campbell è in chiave didascalica: al di là dei veli sottilissimi dell'avventura fantastica, la SF si pone come letteratura "vera", in grado addirittura di anticipare il futuro, impegnata comunque nel compito educativo di orientare i giovani talenti americani in senso tecnologico, e, si può subito aggiungere, di allontanarli da una interpretazione economica o socio-politica degli eventi storici. In questo senso, estremamente significative della strategia pedagogica - peraltro attuata apertamente - della SF di quegli anni, sono alcune dichiarazioni di John W. Campbell jr., nel 1953, a prefazione di una nuova edizione di alcuni racconti apparsi all'inizio degli anni Trenta:
Da qui nasce anche l'equivoco - ma non è quindi un equivoco, bensì, semmai, la manifestazione di una tendenza interna al genere - sulle presunte qualità profetiche della SF, che viene alimentato con aneddoti e racconti a volte più genuinamente carichi di qualità narrative delle narrazioni stesse a cui si riferiscono.
Quando la SF di questi anni tenta esplicitamente la strada non della divulgazione tecnologica, ma di quella, molto più pericolosa, della divulgazione letteraria ed ideologica, i risultati sono rivelatori perché fanno emergere con piena evidenza uno scenario reazionario in altre occasioni nascosto o rimosso dalla coscienza dello scrittore. Esemplare, in questo senso, è l'operazione compiuta nel 1933 da Edmond Hamilton, uno dei più importanti scrittori americani delle origini, nel suo The Island of Unreason, che riduce e semplifica per i giovani lettori di Campbell un libro di successo e di discreta raffinatezza culturale (oltre che, secondo i criteri campbelliani, certamente un po' osé) come Brave New World di Aldous Huxley, uscito appena un anno prima.
Nel racconto di Hamilton la meccanica contrapposizione tra una società arida e meccanizzata - peraltro appena abbozzata - e l'anarchia di un'isola - la riserva huxleyana - dove sono stati isolati ribelli e delinquenti, esprime il più rozzo e riduttivo messaggio ideologico: lontano dallo stato pianificato, a contatto con compagni brutali ma non privi di un loro atavico senso dell'onore, il buon cittadino Allan imparerà che bisogna usare la violenza per guadagnarsi l'amore di una donna e il rispetto dei maneschi coinquilini dell'isola. Se si stabilisce una gerarchia naturale basata sulla legge della giungla, non occorrono più altre leggi e regolamenti. Il racconto si chiude con un doppio rito nuziale (gli isolani di Hamilton, seppure irragionevoli, sono rispettosi delle più sane convenzioni sociali, a differenza dei promiscui personaggi di Huxley), durante il quale l'astratto modello statale-dirigistico - forse Hamilton ha in mente gli sforzi di Roosevelt, forse il comunismo - viene minacciato di una brusca fine, in nome del trionfo di una ideologia irrazionalistica che, dati i tempi, non è esagerato definire di marca fascista:
Se didascalismo del verosimile e romance piccolo-borghese trionfano ancora nella narrativa di Asimov, la stretta ristrettezza delle formule crea una catena di controspinte e una dialettica interna al campo che si manifesta attraverso la heroic fantasy o altre forme più vicine alla letteratura dell'orrore. Van Vogt mi sembra un esempio interessante di questa contro-spinta interna al genere: anche lui si appoggia ad apparati didascalici, ma intesi in senso così ciarlatanesco da dar loro, paradossalmente, una maggiore carica narrativa.
Se il rifiuto del didascalismo scientifico da parte di Bradbury e di altri scrittori all'inizio degli anni Cinquanta non è da solo sufficiente a ricreare la ricchezza e la sottigliezza formale dei scientific romances di Wells, un primo passo per il superamento della tradizione è probabilmente dovuto ad alcuni autori vicini alla rivista Galaxy - da Pohl a Sheckley, da Dick a Vonnegut - e non solo perché essi si muovono nella direzione di una critica ad alcuni aspetti della società capitalistica americana (peraltro, nella prospettiva del tempo, assai moderata e spesso ambigua), ma soprattutto perché, riscoprendo la tensione narrativa dell'ironia e della satira, finiscono per rivolgere la loro attenzione dalla società della mitologia del progresso agli strumenti attraverso cui quella mitologia è stata espressa, vale a dire gli statuti formali ed ideologici della divulgazione pseudo-scientifica e della SF stessa. Prendendo coscienza del ruolo di mistificatori culturali che il sistema impone loro, gli scrittori di fantascienza, insomma, cominciano a esplorarne le implicazioni e i limiti: e in questo sta la loro unica possibilità di ribellione.
Cosi, la scoperta della qualità fittizia, non-ammonitoria, artificiale della SF le restituisce quella verità narrativa che, invece, il richiamo a una presunta veridicità profetica, scientifica o sociologica, inequivocabilmente distruggeva. Quanto più le strutture fantascientifiche rivelano la loro artificiosità, la loro qualità di gioco e di ironia perpetrata sulle spoglie stesse del dettato fantascientifico, tanto più esse esprimono una tensione liberatoria che può trasformarsi in favola dei tempi moderni, e unico rifiuto possibile del magistero ideologico imposto dalla loro natura di letteratura di massa integrata nella società dei consumi.
Certo, poi, le soluzioni saranno tra di loro assai diverse: si può rimanere legati, almeno in apparenza, a un discorso scientifico-descrittivo che però rivela via via la propria inadeguatezza di fronte alla realtà aliena, come fa Arthur Clarke, si può far ricorso a una tradizione letteraria "nobile", come il surrealismo, usandola però in senso mistificatorio o automistificatorio, come fa Ballard, si possono smontare i trucchi e le formule del sistema fantascientifico - e, metaforicamente, del sistema capitalistico - sforzandone le strutture fino alla dimensione aberrante del grottesco, come fa Dick e, più recentemente, Malzberg, si può presentare diversi sistemi narrativi in equilibrio tra di loro, svelando la loro totale arbitrarietà come unica regola del gioco, come fa Vonnegut [20]. E il discorso potrebbe proseguire per altri scrittori come Disch, Delany, o, tra i più anziani, Aldiss e Silverberg. Il rapporto tra mito e contro-mito del progresso, tra ideologia e favola, costruito da Wells, rischia di spezzarsi. Si dissolve, comunque, il dettato realistico, mentre la SF si allinea in gran parte sulle posizioni della narrativa post-modernista operando, probabilmente, un significativo ricambio nella sua base di lettori [21]. Anche il realismo ammonitorio-ecologico di Brunner sconfina nell'iper-realismo, mentre altri tentativi di prendere a prestito, con decenni di ritardo, il realismo hemingwayano mostrano la corda di un sentimentalismo di maniera che ricaccia la SF nel limbo della letteratura educativa per l'infanzia [22].Soltanto un autore, per quanto ne so, cerca in modo convincente di operare una sintesi tra i diversi elementi della tradizione, ricreando le articolazioni e le condizioni del discorso formale dei scientific romances wellsiani, ed è Ursula Le Guin [23]. Ma, in generale, la SF degli anni Settanta non ha più la fiducia nello strumento narrativo che conservava Wells, e non ha più la fiducia nella scienza e nella tecnologia che animava la narrativa di Gernsback e di Campbell. A livello formale, essa continua a mescolare differenti elementi, formule di varia derivazione dagli altri sottogeneri della letteratura di massa [24], scavando non dentro una inesistente realtà oggettiva, ma dentro la sostanza delle convenzioni ideologiche e, appunto, formali, che ne compongono il tessuto semantico.
Sottolineare il proprio carattere fittizio, al di là del didascalismo e dell'ammonizione, contro il suo ruolo "reale" di prodotto di propaganda e consumo di determinate mitologie moderne vuol dire, per la SF, bruciare i propri contorni esterni, rifiutare la tradizione, la propria moralistica "serietà", compiere, insomma, un ironico e artificiale gesto di auto-immolazione.
In modo che, alla fine, come i critici letterari si trovano a inseguire i confini sempre più incerti tra letteratura e linguaggio non-letterario, così si accorgeranno anche che lo stesso oggetto della loro ricerca - in questo caso la SF - non esiste più.