IL VOLTO DEL
SIMULACRO
PAOLO LOMBARDI
 |
Simulacro. In Fantascienza,
nessuno può pensare questa parola senza richiamare subito alla mente
un altro nome, quello di Philip Dick. Il termine Simulacro e il
nome di Dick sono associati in modo duraturo, così come Robot e
Asimov. E' il contributo dickiano alla costruzione di un vocabolario. La
Fantascienza pre-dickiana impiegava preferibilmente i termini automa
(è, ad es., il vocabolo usato da S. Fowler Wright in un racconto
pubblicato nel 1930 su Weird Tales) e robot, parola inventata,
come è ben noto, nel 1912 dal Karel Kapek. Pare che robot derivi
dal gotico arbi, da cui anche il tedesco arbeit e il ceco
robota.
Automata è una parola antica, sostenuta da una lunga e gloriosa
tradizione: il mito della macchina semovente, capace di azioni indipendenti,
aveva alimentato i racconti ottocenteschi di Hoffman, di de L'isle Adam,
ecc. La comparsa dei Robot aveva invece coinciso con uno spostamento nell'immaginario;
robot era un sostantivo associato a idee provenienti dal mondo del lavoro,
a conoscenza e concetti relativi a problemi sociali ben precisi, rispetto
alla vecchia metafora dell'automa. Il robot non esprimeva insomma la stessa
metafora dell'automa: la comparsa del nuovo termine indicava un preciso
mutamento nella qualità dell'immaginario fantascientifico, mutamento
puntualmente segnalato dal cambiamento di vocabolario; difatti, dopo l'avvento
dei robot, nessuno più e capace di pensare in termini di automa.
Lo stesso accadeva con il vocabolo simulacro, con cui Dick sostituiva robot.
Di rado, nelle sue storie, Dick parla di Robot, preferendo citare androidi,
simulacri o, più semplicemente, macchine. Per sapere tuttavia in
che cosa consista esattamente quest'operazione linguistica dickiana, si
dovrà procedere a smontare la metafora del simulacro, per vedere
quali sono le idee associate a questo termine metaforico, e capire di che
significati Dick abbia inteso riempirlo: ed è proprio questo lo
scopo di questo lavoro. L'interesse di Dick per la macchina data dagli
inizi della sua carriera di scrittore. In "The Preserving Machine",
racconto del 1953, una macchina deve salvare dalla distruzione i grandi
tesori della musica classica, trasformando le opere musicali in altrettanti
animali e organismi biologici. Il tentativo è però destinato
al fallimento; le creazioni della macchina si rivelano, in ultima analisi,
incontrollabili. L'esplorazione dickiana dell'universo meccanico si arricchisce
di un altro racconto, sempre del 1953, "Impostor", dove un robot
(Dick, allora agli inizi della sua attività di science-fictioneer,
usava ancora preferibilmente questo termine) umanoide prende il posto del
terrestre Olhalm, pur nell'incoscienza della propria identità robotica.
Qui la macchina modifica la nostra percezione delle cose; niente è
come appare. E' il problema della forma: noi giudichiamo gli oggetti in
base alla loro forma apparente, e tuttavia proprio quest'ultima si rivela
ingannevole, ora che il potere della riproduzione meccanica consente di
rendere indistinguibili i prodotti biologici da quelli meccanici. Si noti
l'anno: è il 1953. Il saggio, famoso, di Walter Benjamin sull'Opera
d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica era già
uscito da 17 anni. Poiché tuttavia è la percezione della
cose, qui, ciò che il potere della riproducibilità tecnica
mette in questione, allora tutto ciò che ci circonda rischia di
essere menzogna come puntualmente accade in "If there were no Benny
Cemoli". Noi conosciamo il mondo esterno tramite la televisione, i
giornali, vere e proprie estensione del nostro sistema nervoso. Il cittadino
del nostro mondo possiede, per così dire, un sistema nervoso elettronico,
che gli fornisce informazioni elettroniche; e non è detto che si
tratti di informazioni autentiche, genuine, non manipolate. E' il vecchio
mito platonico della caverna, che Dick riscopre e rivitalizza in un'era
tecnologica: ciò che noi percepiamo è l'ombra, la forma mistificata
della verità. La realtà elettronica che ci circonda svela,
più che rivelare, le forme occulte delle cose, all'ombra delle quali
si forma un potere politico nascosto e ingannatore. Per scoprire la verità
perciò occorre un interprete, un Hermes che sappia discendere oltre
il velo ingannatore per ritrovare la potenza di un Logos che sia piena
comprensione e comunicazione, restituendo così la parola alla sua
dimensione originaria, quella di tramite dell'Essere; Hermes il cui mito
Dick resuscita in Counter clockworld. Un passo avanti nell'analisi
del ruolo della macchina, Dick la compie nel 1956, con Pay for the printer,
dove il nuovo potere della riproduzione meccanica è esplicitamente
associato alla perdita di alcuni importanti valori:
"The world isn't print. The world
is build... Printings means merely copying. I can't explain to you
what building is; You'll have to try it yourself to find out. Building
and printing are two totally different things",
avverte uno dei personaggi del racconto.
La riproduzione è sterile (è un tema che ritorna anche in
La
penultima verità, dove i prodotti degli uomini yance, secondo
le parole di uno di loro, "non sarebbero in grado di dare la vita neppure
per un secondo"), incapace di attingere la vera creazione; e la teoria,
antica, del male come entità capace soltanto di copiare, di parodiare,
ma priva di autentico potere creativo; il Diavolo è la scimmia di
Dio. Analogamente, per Dick, il mondo del capitalismo americano è
la scimmia del mondo autenticamente umano, in cui ogni anelito alla libertà
della creazione è distorto e reso grottesco. Osservatore secco e
spietato della graduale trasformazione della società basata sulla
concorrenza in capitalismo vorace e distruttore -fenomeno che coincide
approssimativamente con l'arco della vita di Dick-, lo scrittore di Chicago
aveva già elaborato, verso la fine degli anni ' '50 la direttrice
principale della sua critica ad una società capace solo di parodiare,
ma non di costruire il mondo degli uomini, e le idee associate al tema
della macchina, che egli, nella nota a un racconto del 1956,
"The unreconstructed M", riassumeva
così: "La falsificazione è un argomento che mi affascina
tantissimo. Sono convinto che tutto possa essere falsificato, o almeno
possano essere falsificati gli indizi che dimostrano l'esistenza di qualche
cosa. Prove false possono indurci a credere qualsiasi cosa loro vogliano.
Non c'è limite teorico a operazioni del genere. una volta aperta
la porta al concetto di falso, si è portati a immaginarsi
di vivere in una realtà completamente differente".
Il robot ci introduce dunque in atmosfera
di falsità; costruito sul modello umano e a sua immagine e somiglianza,
il robot può spacciarsi per umano, ma non identificarsi con gli
uomini. Nella produzione dickiana, dunque, il robot è un tipo (il
concetto di typos deriva a Dick verosimilmente dalla "lettera ai
Romani", 5,14), una figura che annulla, o meglio tende ad annullare la
differenza ontologica rispetto all'originale di cui è figura, denunciandone
in questo modo lo scadimento e la corruzione. Questo modo di pensare, lievemente
teologico, è quanto serviva tuttavia a Dick per denunciare il potere
di manipolazione della realtà nascosto dietro alla produzione di
tipi anziché di realtà autentiche. Realtà falsificate,
oppressione; nel 1956, Dick era gia pronto per fare il passo successivo.
Era arrivata l'ora dei simulacri, che Dick introduce spettacolarmente nell'omonimo
romanzo del 1964. E' difficile dire quale sia la fonte del termine impiegato
dallo scrittore americano. Si potrebbe inclinare a pensare che egli l'abbia
desunto da Lucrezio, che ben conosceva, o almeno in modo sufficiente da
citare due versi nell'originale latino in Counter Clockworld (sono
l'epitaffio sulla tomba dell'Anarch Peak), e precisamente i versi 1145-6del
libro II del poema lucreziano. Lucrezio aveva impiegato diverse volte il
vocabolo simulacrum nel suo poema: in I, 123, dove questa parola indica
le anime dei defunti; o in I, 1060, dove sta ad indicare le immagini riflesse
nell'acqua. In entrambi i casi, simulacrum esprime una mancanza, uno scadimento
di qualità della copia rispetto all'originale. In ii, 112 e in IV,
128, invece, simulacrum, è l'immagine di un oggetto che si presenta
ai sensi, l'equivalente latino dell'espressione epicurea
eidolon.
Secondo l'English Dictionary di Oxford, simulacrum ha mantenuto, in Inglese,
tre accezioni principali: l'idea di rappresentare materiale, di statua
o di raffigurazione di un Dio, o di qualche persona, ad es. un quadro;
un oggetto dotato della forma o dell'apparenza di un'altra cosa, senza
però averne la sostanza o le qualità essenziali; il significato
di mera immagine, di imitazione ingannatrice di qualche oggetto; esempi
di queste due ultime accezioni si possono trovare, rispettivamente, in
The garden of Cyrus, la famosa operetta di Sir Thomas Browne, e
nell'espressione proverbiale a simulacrum of virtue. Puòben
darsi che Dick non conoscesse Browne, né (ma questo mi sembra più
difficile da sostenere) Lucrezio: resta il fatto che egli, adoperando questo
vocabolo, si rifaceva, consciamente o inconsciamente, al campo semantico
delimitato da questi significati presenti nella lingua Inglese. Più
probabilmente però l'operazione dickiana era ben cosciente; difatti
Dick rovesciava l'abituale uso del termine, impiegando simulacrum non per
indicare le qualità presenti nel robot, nella copia; ma piuttosto
servendosene come chiave per indicare alcune caratteristiche presenti nell'originale.
Per forza di metafora, la figura, il tipo robotico diventa lume rivelatore
che illumina la realtà del mondo umano. Falsa letteralmente, la
metafora fantascientifica si rivela vera, più vera del reale, se
esaminata da un altro punto di vista: è così che funziona
la letteratura, e con essa, la Fantascienza.
Nel romanzo The simulacra, il
robot, Kalbfleish, è un inganno perpetrato coscientemente dall'Establishment,
giacché,
nelle parole di uno dei personaggi, "Come un nevrotico regressivo, la città
doveva nascondere a se stessa certi aspetti della realtà, per poter
funzionare". Nell'avvento del simulacro, Dick lancia un messaggio che è
politico e psicologico ad un tempo. La struttura sociale americana, per
poter continuare ad esistere, deve produrre finzioni, simulacri, producendo
perciò anche individui malati, deboli. La falsità della vita
associata e la sua conseguenza sull'ego del cittadino che la vive, è
un argomento su cui Dick torna in "How to build a word that doesn't
fall...":
"My topics are really one topic:
they unite at this point. Fake realities will create fake humans. Or, fake
humans will create fake realities, and then sell to others humans, turning
them, eventually, into forgeries of themselves. So we wind up with fake
humans inventing fake realities and then peddling them to other fake humans
.Itis just a very large version of Disneyland. You can have the Pirate
Ride, or the Lincoln Simulacrum, or Mr. Toad's Wild Ride. You can have
all
of them, but none is true".
La creazione dei sirnulacri, dunque, è
un sintomo: produrre realtà fittizie significa certo produrre umani
fittizi, ma vuol dire anche che solo esseri fittizi sono destinati a creare
realtà fittizie. Dunque il tentativo di portare all'indistinzione
tra esseri biologici e meccanici, è la spia di un'incapacità
di fondo da parte degli uomini, di una mancanza e di una inautenticità
da parte di una società impotente a fondare il mondo dei reali valori
umani. Al contrario, la costruzione dei simulacri esprime la tendenza dell'organico
a ritornare all'inorganico, quella che per Freud (altra vecchia conoscenza
dickiana) è la pulsione di morte, Tanathos. L'aggressiva
tecnologia del capitalismo americano come manifestazione di Tanathos è
il tema di Do androids dream of electric sheep? (1968) e del discorso
"Man, android and machine", tenuto nel 1976 a Vancouver,
dove l'associazione tra l'entità meccanica umanoide e la morte è
sempre più stringente:
"Androidi, entità crudeli
che sorridono mentre si accingono a stringere la mano, ma la loro stretta
è la stretta della morte e il loro sorriso ha la freddezza della
tomba".
Onestamente in questi tempi di 'armi intelligenti'
e i 'guerra tecnologica' sembra diventato piuttosto difficile dare totalmente
torto allo scrittore americano.
L'organico tende all'inorganico: come
ebbe a dire Dick a Vancouver,
"il più grande cambiamento
al quale assistiamo nel nostro mondo in questi giorni è probabilmente
la quantità di moto del vivente verso la reificazione, e allo stesso
tempo un ingresso del meccanico nell'animazione. Non abbiamo più,
ora, pure categorie del vivente in opposizione al non vivente".
L'avvento dei simulacri, segno di una
pulsione di morte nell'uomo, mette in dubbio concetti dati per scontati.
Nulla è più certo: né la comoda distinzione amico-nemico
(To be a Blobel), né il contenuto della memoria soggettiva
(We can remember it for you wholesale), né il familiare
mondo che ci circonda, pieno di oggetti apparentemente innocenti che in
realtà cospirano contro di noi (Colony), indizio di
un segreto complotto dell'uomo contro se stesso. La macchina, come Palmer
Eldritch, invade lo spazio conosciuto e noto, rendendolo ignoto e mistificatorio,
fino a corrompere la fonte stessa della comunicazione, il linguaggio. Ne
La
penultima verità (1964), lo yanceman Adams affida al retorizzatore
la composizione di un discorso basato sugli scoiattoli; ma si tratta di
un mondo in cui il linguaggio è senza oggetti, perché gli
scoiattoli non esistono più, estinti. La parola perde qui ogni funzione
comunicativa, per diventare velo, inganno utile alla conservazione del
potere:
"Gottlieb Fisher- disse Nicholas
-sicuro... E fu lui a inventare Yancy? Gottlieb Fisher?-
Seguì i quattro, ansioso, impaziente,
peiplesso.
-Ma perché?-.
-Per governare,- rispose Blair senza
fermarsi".
Con questo, è detto tutto, e non
si poteva dire diversamente, né meglio. Uccidendo la comunicazione,
la macchina ci ripiomba nel tomb world, il mondo infernale (e meccanico)
della causa ed effetto, da cui si può uscire solo ritrovando un
Logos, una parola significante che ripristini lo scambio comunicativo,
la comunione andata perduta là ove il discorso umano è ridotto
a messaggio pubblicitario (Ubik) o a silenzio autistico (Martian
time-slip):
"…in basso si stendeva il mondo del
sepolcro, il mondo immutabile della causa effetto, il mondo del demonio.
Al centro si stendeva lo strato degli uomini, ma in ogni istante poteva
affondare... discendere, sprofondare... nello strato più basso,
l'inferno. Oppure: poteva ascendere al mondo etereo che si trovava in alto,
che costituiva il terzo della trinità di strati. Sempre al livello
medio degli uomini, un uomo rischiava di affondare. Eppure la possibilità
di ascendere si trovava davanti a lui: ogni aspetto, o sequenza della realtà
poteva
diventare una delle due alternative, in qualsiasi istante."
E' quanto scopre Richard Hnatt ne Le
tre stimmate di Palmer Eldritch. Il vecchio concetto di 'uomo termine
medio del cosmo', caro alla tradizione ermetico-cabalistica diventa qui
pietra di paragone in base al quale trarre un giudizio sulla società
contemporanea. Dick, in un certo senso, è un resuscitatore di miti
antichi; la verità che si esprime nel Mythos, nel linguaggio originario
puro e incorrotto può e deve essere recuperata pur nelle forme 'corrotte'
di un romanzo di fantascienza. In Do Androids Dream or Electric Sheep?,
Dick porta alla conclusione il cammino iniziato nel 1953, con la sua riflessione
sulla macchina. Ora l'androide è apertamente associato allo schizofrenico,
allo psicotico: il test Voigt-Kampff fa risultare gli schizofrenici come
robot umanoidi. L'altra faccia del simulacro è l'io polverizzato
e distrutto dell'uomo americano, incapace di parlare e di comunicare, di
distinguere più a lungo tra il vero mondo e le realtà fittizie
create dal potere, così che non c'e più 'vero mondo'. La
produzione di individui malati è l'approdo finale di una società
costretta alla falsificazione per sopravvivere. Dopo Do Androids Dream…,
Dick non produce più nuove idee grazie alla metafora del simulacro;
soltanto in A Scanner Darkly (1977), il drogato diventa l'alter
ego dell'androide, in un parallelismo che lo scrittore di Chicago esemplificava
così:
"Deve... essere... giorno... fatto...,-dicono
i tossicomani, o almeno dice così il nastro preinciso nei loro cervelli.
Chi legge le sue istruzioni, dal momento che il cervello di un tossicomane
è come musica che ascolti alla radiosveglia... La musica proveniente
dal tossicomane serve a far sì che tu diventi per lui un mezzo per
procurarsi altra droga, quale che sia il tuo modo per essergli d'aiuto.
Lui, una macchina, trasformerà te nella sua macchina."
Ma si tratta di un inciso occasionale,
di un'idea buttata là senza essere sviscerata fino in fondo; ormai
nel vocabolario dichiano, il termine simulacro si è cristallizzato,
è passato ad indicare quel nucleo certo di idee senza ulteriori
sussulti di vitalità, chiudendo, sotto questo aspetto almeno, la
parabola creativa di un Dick impegnato ormai a ripetere se stesso, attingendo
a scenari sempre più metafisici. Tuttavia il patrimonio che Dick
ha lasciato alla fantascienza, sotto forma di lingua, di arricchimento
del vocabolario della SF, rimane. Solo oggi, con l'irruzione dei vari nipoti
e nipotini dickiani, primi tra tutti i cosiddetti cyberpunk,
e il progressivo isterilirsi di un linguaggio e e lo scrittore di Chicago
aveva mostrato quanto potesse essere vitale, si può comprendere
quanto fosse stato grande il suo ap-porto, e quanto gran de il vuoto che
egli ha lasciato. ll silenzio della Fan-tascienza.
Nota Bibliografica
-
Sulle origini del termine robot
mi sono servito di J. Cohen, Les Robots Humains dans le Mythe et dans
la Science, J.Vrin, Paris, 1968, p.9, n.1.
-
La citazione tratta da Pay for the Printer
è ripresa da The Preserving Machine, Grafton, London, 1987,
p.412; mentre la nota a The Unnrecostructed M è reperibile
in Non Saremo Noi, Urania 896, p.187. Il passo di The Garden
of Cyrus citato ("The sun itself is but the dark simulacrum and light
but the shadow of God") si trova in T. Browne, Religio Medici, Hydriotaphia
and the Garden of Cyrus, edit. R. H. A. Robbins, Oxford U.P., 1982,
p.13; e il passo da How to Build a World in I Hope I Shall Arrive
Soon, Grafton, 1988, p.13. La ripresa del discorso di Vancouver viene
da P. S. Warrick, Il Romanzo del Futuro, Dedalo, Bari, 1984, p.261
(le pagine 243-270 sono interamente dedicate a Dick).
-
I brani tratti da La Penultima Verità
e Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch si trovano rispettivamente
a p. 109 dell'edizione Nord, 1981, e a p.94 dell'edizione Libra, 1987.
-
Infine, il brano di A Scanner Darkly viene
dalle pp.157-58 dell'edizione italiana.
-
Da notare infine la presenza in Dick di
reminiscenze della vecchia metafora del robot, ancora attiva nel linguaggio
fantascientifico; ad es. in Do Androids Dream of Electric Sheep?,
Grafton, 1987, p.17, Dick parla di servant androids: la vecchia
immagine del servo meccanico.
 |