Realtà e fantascienza diverse volte ci hanno stupito per svolte
epocali e idee geniali.
La staticità del presente è la stampella che utilizziamo
quando non siamo in grado di accettare il furioso cambiamento della realtà,
quando cerchiamo una boa psicologica attorno a cui girare, o quando qualcuno
cerca una boa attorno alla quale limitare la nostra libertà...
Poco è più angoscioso in fantascienza della limitazione
della libertà, della frustrazione del desiderio di conoscere e spingersi
a cercare "grandi domande".
È quando nulla cambia, quando tutto è sostanzialmente
uguale a se stesso perpetuamente che monta un'angoscia subdola, strisciante,
difficile da individuare perché manca un’anomalia esterna cui associarla.
L’anomalia c’è: è tutto familiare, tutto uguale; la trappola
è scattata da tempo e noi ci siamo chiusi dentro.
Non c’è nulla di nuovo, nulla di sostanziale è cambiato.
Nulla riesce a cambiare questo futuro che appare simulato.
La fissità del quadro, e soprattutto la mancanza di fantasia
del futuro danno la nausea.
Quando nulla di sconvolgente e innovativo avviene c’è qualcuno
che sta giocando un gioco sporco con le nostre vite...
Il futuro che vede Curtoni è questo, un futuro di differenze
banali. "Tutto questo è già nell’aria, è appena dietro
l’angolo. Chiunque lo può immaginare."
Ed è il momento di parlare a quella volpe.
Queste tematiche sono state ampiamente affrontate nell'articolo Dolce Venere di Rimmel della rubrica Cieli Sintetici di Delos
IntercoM: Esiste un valore della fantascienza oltre il piano puramente estetico?
Vittorio Curtoni: Esiste una qualche
tipologia letteraria che esprima solo un piano estetico?
Voglio dire, si possono trovare valori concettuali anche nella poesia
di Giambattista Marino, il re del fru fru secentesco, anche se di certo
non era Galilei. E via dicendo.
Vedo la fantascienza come un grande, assai elastico contenitore che
può servire da forno di cottura per le più disparate operazioni.
In buona parte sono d'accordo con Aldani quando identifica nella
tecnologia il metro di raffronto principe per la sf; allargando il punto
di vista, arriviamo al più generale "novum" ipotizzato da Suvin.
Nella mia versione bastarda, il novum si identifica con "l'idea fantastica"
in senso lato, vale a dire che vedo nel gioco dialettico tra il realistico
(o il mimetico, come dice qualcuno) e il fantastico la molla della fantascienza:
un'interazione dalla quale, almeno in teoria, può scaturire di tutto.
Senza dubbio, valori che vanno al di là del piano estetico.
Come tu sai, io non attribuisco un'importanza preponderante alla componente
scientifica del genere, anche se mi rendo conto che per qualcuno (anche
molti, come no) può essere fondamentale. Preferisco piuttosto la
formula "speculative fiction", che mi riporta immediatamente al classico
interrogativo "what if?", cioè "e se?" Interrogativo che
può ovviamente includere anche la scienza. E che per me è
l'essenza basilare della science fiction, e che con il piano estetico ha,
di per sé, poco a che fare.
Ah, dimenticavo: uso qui l'aggettivo "estetico" nel senso di "che concerne
il sentimento del bello" (Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani),
come suppongo lo usassi tu. Tanto per chiarire.
IntercoM: Qual è attualmente il ruolo della fantascienza all'interno del panorama culturale italiano e mondiale?
Vittorio Curtoni: Siamo o non siamo
nel melting pot globale? Sì che ci siamo.
Vedo la fantascienza come uno dei più potenti, polimorfi, onnicomprensivi
calderoni di fusione che esistano oggi. La straripante contaminazione tra
generi sta portando la sf al centro dell'universale ribollire. Una situazione
che mi fa venire in mente la battuta che la protagonista femminile di un
sublime film di David Cronenberg, "The Brood", pronuncia a un certo
punto della storia (cito a braccio e mi scuso dell'imprecisione): "Sta
succedendo qualcosa di molto strano, e io ne sono al centro." Urrà!
La forza della sf sta nella sua capacità di estrapolazione fantastica,
non mimetica, e quelli che viviamo al momento sono per molti versi giorni
fantastici. Ovvero "Strange Days", per dirla col titolo di un altro celebre
film. Noialtri fantascientisti siamo situati nell'occhio del ciclone di
questi strani giorni, e prima o poi se ne accorgeranno tutti. Molti se
ne sono già accorti.
È stato un lavoro duro, è stato un lavoro sporco, ma
ce l'abbiamo quasi fatta. Se riusciamo a riprendere un minimo di autocontrollo.
Ma per questo vedi la risposta all'ultima domanda.
IntercoM: Che ruolo gioca più specificamente sul piano letterario?
Vittorio Curtoni: La domanda da
un milione di dollari! Non avevi niente di più complesso da chiedermi?
:)
In sintesi, la mia opinione è che per vari decenni la sf sia
stata una narrativa di ghetto non solo perché si esprimeva in angoli
di editoria obiettivamente ghettizzati ma soprattutto perché perpetuava
le proprie caratteristiche di narrativa di genere, interessata a proporre
"idee" (concetto che per la sf non di rado equivaleva a quello di "trovata"),
sviluppare ed elaborare cliché, raccontare storie tese all'immaginifico
divertimento del lettore, cioè interessata nell'insieme a essere
una letteratura escapista molto più che a dotarsi di una dignitosa
impalcatura letteraria. C'era anche un vigoroso senso di risentita ripulsa
in questo: se il mondo della letteratura "vera" non ci vuole, tanto peggio
per loro!
Noi tiriamo diritti per la nostra strada. Gli stilemi, i topoi,
le strutture della fiction di genere sono rimasti anche quando si è
verificata una reale evoluzione delle idee, ad esempio nella social sf
di "Galaxy", che era sì intelligente, vivace, innovativa, ma a scardinare
il modo di raccontare non è arrivata. Basta leggersi "Nuove mappe
dell'inferno" di Kingsley Amis per rendersene conto. Fermo restando
che alcune singole personalità di autori (che so, Dick, Leiber,
Sturgeon) erano capacissime di abbattere le barriere, ma erano le eccezioni,
non la regola.
La spallata "letteraria", per così dire, l'hanno data nei Sessanta
gli inglesi della "New Wave", che davvero volevano uscire dal ghetto, seguiti
a ruota dai loro colleghi americani: gente che della letteratura "alta"
aveva masticato parecchio e non ne poteva più della ghettizzazione.
Sicché, esperimenti a tutto spiano, molti dei quali hanno lasciato
il tempo che hanno trovato, ma che nell'insieme hanno fondato una nuova
consapevolezza letteraria per la sf: la prosa ellittica di Ellison e Zelazny,
il post-surrealismo post-junghiano (se mi è concesso) di Ballard,
l'eleganza kafkiana di Disch, l'iper-realismo fantastico di Malzberg, i
raffinati vortici dialettici di Lafferty, la calda coinvolgente cerebralità
di Delany e Le Guin, eccetera. Ognuno allunghi l'elenco a proprio piacere.
Da allora, la consapevolezza che la fantascienza possa essere "anche"
un rispettabile genere letterario si è consolidata. Oggi i complessi
di inferiorità, almeno in linea di massima, non esistono più:
è questo che ha permesso al cyberpunk di diventare un fenomeno che
si è esteso ben oltre i confini del genere; è questo che
ha portato alla beatificazione di Dick; è questo che ha letteralmente
sparato la sf nel cuore della cultura contemporanea (passando in primo
luogo, d'accordo, attraverso un altro linguaggio, che è ovviamente
quello del cinema; ma anche qui è stata una sorta di rivoluzione
copernicana, perché dopo tutto il cinema di fantascienza esisteva
già da un bel pezzo, no?).
Ed eccoci qui. C'è molto da costruire, molto da fare, ma la
mia impressione è che le fondamenta siano state gettate. Ora si
attendono i geniali architetti e urbanisti, i nuovi Le Corbusier, i nuovi
Frank Lloyd Wright della science fiction: ma almeno entreranno in azione
su un territorio che non è più quello del Far West.
IntercoM: Una domanda che esula dal piano
strettamente letterario.
La fantascienza si può fare latore di
un approccio trasversale al mondo, venendo a giocare quindi un piccolo
ruolo attivo? Oppure il suo ruolo deve essere completamente passivo limitandosi
a prendere atto delle tendenze contemporanee e descriverle?
Vittorio Curtoni: La passività
è una posizione che non mi è mai piaciuta. Figuriamoci se
posso attribuirla al genere letterario al quale, nel bene e nel male, è
stata legata praticamente tutta la mia vita.
Per me, e penso per molta gente della mia generazione, la sf è
stata sul serio un approccio diverso al mondo. Come ho detto e ripetuto,
leggere sf negli anni Cinquanta e Sessanta significava staccarsi dalla
grettezza del quotidiano, dalle ristrettezze del contingente, per involarsi
verso territori e idee molto più ampi: accidenti, se ti trovi a
praticare, magari anche nella più ingenua e avventurosa delle forme,
poco importa, concetti come lo spazio, il tempo, l'universo, un minimo
di "distacco filosofico" (chiamiamolo così) lo devi acquisire! Specialmente
in quegli anni, che in Italia erano anni di prototecnologia, quando il
massimo sogno di tanti era potersi comperare l'utilitaria, magari la lavatrice,
e avere il secondo canale televisivo... En passant, già che ci sono:
giovinetti on line, provate a leggere "La televisione spiegata al popolo"
di Achille Campanile, e avrete il più sfolgorante ritratto che si
possa immaginare della nostra patria in quella remota epoca.
Certo oggi le cose sono molto cambiate. Abbiamo la globalizzazione.
Abbiamo le nuove frontiere della tecnologia e della scienza. Abbiamo il
flusso istantaneo o quasi dei dati. Abbiamo, in altre parole, quello che
il sottoscritto, ragazzino, trovava solo nei romanzi e nei film
di fantascienza. Temo che il primitivo senso di avventura del quale io
ho potuto godere sia scomparso per sempre; ma la fantascienza può
continuare a fare da spia d'allarme. Da cartina di tornasole per le tendenze
più deleterie della nostra specie. L'universo, fino a prova contraria,
non lo abbiamo ancora conquistato, nè capito, però l'antropocentrismo
non è mai morto. E nemmeno l'egoismo. Per tanta gente, la Terra
continua a essere l'ombelico del tutto.
Scriviamo storie che dimostrino il contrario. Attaccandoci a tutti
i possibili appigli. Avremo già fatto tanto.
IntercoM: Adesso qualche domanda su Retrofuturo, la tua bella antologia uscita per la Shake. È passato già qualche tempo dalla sua uscita, iniziando a tirare le somme pare che Retrofuturo sia andata benissimo. Tu che ne dici?
Vittorio Curtoni: Quel che posso
dire è che il libro ha ricevuto un'attenzione notevolissima da parte
della stampa, e non solo nell'orticello del nostro campo. Nemmeno io mi
aspettavo tanto. Cose come gli articoli su "Urania", "Pulp" e "Avvenimenti",
o le recensioni su "La gazzetta del mezzogiorno", "Il corriere della sera"
e la tua su "Ex Libris" non accadono tutti i giorni; e c'è ancora
altro. Ovviamente, tutto questo è solo una dimostrazione del mio
immane potere mafioso all'interno dell'editoria italiana! Lo dico io così
risparmio ad altri la fatica.
Diciamo che se a ogni recensione positiva corrispondesse un picco di
vendite, la mia antologia dovrebbe essere già esaurita. Ma non credo
proprio che sia così, anche se al momento in cui scrivo (primi di
settembre) non ho ancora alcun dato preciso. Dovrei sapere qualcosa verso
la fine dell'anno. I problemi potrebbero essere due: da un lato, la Shake
è una casa editrice di dimensioni non enormi, con tirature iniziali
sulle 1500/2000 copie, e questo ovviamente può portare a difficoltà
di reperimento dei loro testi, considerato il numero di librerie che esistono
in Italia; dall'altro, come mi è stato confermato da più
parti, il primo semestre dell'anno è stato piuttosto fiacco per
la narrativa di genere, e gli editori coi quali sono in contatto non cantano
inni di gioia. Sicché, vedremo. Incrociamo le dita!
IntercoM: Che feedback hai avuto?
Vittorio Curtoni: Veramente ottimo,
sia a livello personale sia, come dicevo prima, sulla stampa. Insomma,
quando mi trovo a leggere (sull'"Almanacco Fantascienza 1999 Nathan Never")
che nei miei racconti (cito) "si trova soprattutto un'ottima prosa italiana
e una capacità visionaria che, negli anni, non è venuta meno",
e me lo sento dire da un gentile signore che io proprio non conosco, Ettore
Mancino, dimmi tu cosa si può volere di più dalla vita.
Ho ricevuto una valanga di complimenti e nessun insulto, e sono contentissimo.
IntercoM: Qual è il racconto che ti ha dato più soddisfazioni?
Vittorio Curtoni: Ne vorrei citare
due, che corrispondono ad altrettanti periodi della mia vita: "La volpe
stupita" (anni Settanta) e "Le consultazioni" (anni Novanta). Per me sono
i migliori perché li trovo perfetti dal mio personale punto di vista.
Non intendo certo dire che siano perfetti in assoluto, ma lo sono per me,
perché esprimono esattamente quel che volevo dire e nel modo in
cui lo volevo dire. È un raro miracolo che non capita spesso a chi
scrive. E ancora oggi, a distanza di anni (parecchi, nel primo caso), mi
rappresentano in modo impeccabile. Tutti gli altri racconti, a modo loro,
mi piacciono, e questo è abbastanza ovvio, ma non li vedo così
completi.
IntercoM: Quali racconti sono piaciuti di più al pubblico? E tu che giustificazione ne dai?
Vittorio Curtoni: Direi senz'altro
"Dal rabbino" e "La dignità della volpe". Il primo credo sia piaciuto
soprattutto per due motivi: si riallaccia a temi e situazioni del cyberpunk
ma li tratta nel modo a me consueto, che è lontanissimo, penso,
dal procedere standard del cyberpunk americano ("Finalmente un racconto
cyberpunk dal volto umano!" ha esclamato, abbracciandomi, il buon Silvano
Barbesti quando "Dal rabbino" uscì sulla "Asimov Magazine" [c'è
da dire che quella sera Silvano era sbronzo marcio, ma si sa, in vino veritas]);
e poi è una sincerissima, sviscerata dichiarazione d'amore per l'idea
dell'amicizia in sé e per alcuni amici concreti in particolare,
in primis ovviamente il "rabbino" Pigi. La sincerità si sente e
ha colpito: a volte possedere una natura viscerale come la mia paga.
"La dignità della volpe" suppongo abbia toccato le corde della
passione politica, in senso lato, dei lettori (anche la tua, no?), e forse
è piaciuto anche il fatto che io, partendo dal minuscolo particulare
della mia città, Piacenza, sia arrivato a una conclusione molto
generale sulla gestione del potere. Il che è poi un procedimento
che io uso spesso (intendo l'approdo al generale dal particolare), ma qui
è più evidente che altrove. Debbo anche aggiungere che per
me questo è un limite del racconto: è troppo esplicito, quasi
didascalico. Preferisco le storie più contratte, introverse, fatte
per essere scardinate a forza da chi legge. Ma in questo caso era d'obbligo
una procedura del genere.
IntercoM: Dopo questo successo ci sono progetti per il futuro? Ci sarà un'altra antologia con i racconti fantastici che sono rimasti fuori da questo volume?
Vittorio Curtoni: Ebbene, sì:
Retrofuturo
ha
avuto un forte impatto su un editor del quale per il momento non faccio
il nome e ha portato all'idea di una seconda antologia nella quale saranno
presenti anche i racconti fantastici, in mezzo ai quali sono convinto ci
siano alcune delle mie cose migliori, come "Vento dal mare" o "Prima del
buio". Recupererò anche storie di fantascienza che nel libro della
Shake non sono entrate per puri motivi di spazio, ad esempio "Quando avrò
64 anni" (saltato all'ultimo momento, già in bozze, per contenere
il numero di pagine e quindi il prezzo di copertina) e "Volo simulato",
che è un racconto lungo e avrebbe necessariamente spodestato parecchio
del materiale che avevo scelto.
Metterò anche cose un po’ eccentriche e come minimo un inedito,
magari due. Non svelo per ora la sede di pubblicazione per pura scaramanzia,
visto che il contratto deve ancora essere definito, ma gli accordi sono
saldi.
L'uscita è prevista genericamente per il prossimo anno.
Dopo di che, riciclato tutto il riciclabile, dovrò mettermi
a scrivere roba nuova. Tremendo.
IntercoM: Approfitterai di questo momento d'oro per la fantascienza italiana, e per te personalmente, per lanciarti in un romanzo?
Vittorio Curtoni: È indubbiamente
la cosa che dovrei fare se avessi un po’ di sale in zucca, e se non mi
sentissi tanto portato ai racconti, e soprattutto se facessi un altro mestiere:
se oggi avessi un romanzo da vendere, avrei solo l'imbarazzo della scelta
tra svariati editori. Ho ricevuto inviti molto espliciti. Il punto più
maledetto è che io per campare traduco, il che significa che passo
le mie giornate a scrivere, come ben sa ogni traduttore; e che faccio?
La sera, dopo cena, riaccendo il computer e partorisco il mio romanzo?
È una prospettiva che mi sgomenta. Con un racconto te la cavi con
qualche giorno di lavoro, anche se poi magari passi i mesi a rileggere,
limare, eccetera, ma queste sono cose che puoi fare nei ritagli di tempo;
un romanzo è un impegno a tutto tondo. Dovrei prendermi come minimo
un anno sabbatico dalle traduzioni...
No, per adesso non ci penso proprio. Anche se so che a questo punto
dovrei farlo. Boh.
IntercoM: Salutiamoci con una domanda che vorrebbe ripescare l'ironia della Willis (cfr: "Anche la Regina"): "per la fantascienza questi sono giorni di nera oppressione?"
Vittorio Curtoni: Al contrario,
sono semmai i giorni della nera espansione. Intendo dire che il passaggio
dalle brume del celebre "ghetto" all'attuale diffusione (multimediale;
è una parolaccia che si può dire?) della fantascienza ha
imposto i suoi prezzi. La globalizzazione è anche, forse soprattutto,
una forma di standardizzazione, e poi non è necessariamente detto
che un mercato straripante come quello americano dei nostri giorni sia
il massimo desiderabile. Insomma, giusto ieri sfogliavo l'ultimo numero
di "Locus", e Gesù!, l'elenco dei libri di imminente uscita negli
States registra 1.230 titoli, dei quali 700 sono novità, il resto
ristampe. D'accordo, queste cifre comprendono l'horror, la saggistica,
l'illustrazione eccetera, il fantastico in generale, ma non sono smodate?
Nera oppressione questa? Io la chiamerei piuttosto deregulation.
E se teniamo presente la tanto saggia legge di Sturgeon... La fantascienza
è diventata decentemente rispettabile, decentemente accettata, decentemente
redditizia per parecchi autori; ma, per quel che mi concerne, soffre di
un caso terminale di bulimia che prima o poi la porterà a esplodere.
Bum!
Sento già gli echi della triste deflagrazione.
Iperboli a parte, se un'oppressione esiste è quella creata da
un mercato che dopo tanti rifiuti si è deciso a fagocitare anche
la fantascienza, la quale ha allegramente accettato le regole del gioco.
Forse c'è da piangere, ma c'è poco da lamentarsi. Non è
successo per caso.
Nella rubrica Quando
le radici del numero di Delos di Ottobre, trova spazio Dove
stiamo volando, il primo e unico romanzo scritto da Vittorio Curtoni.
Dell’intervento ce ne parla il curatore della rubrica, Vittorio Catani:
"Dove stiamo volando, "Galassia" n. 174, settembre 1972.
Charles, ‘mutante’ nato dopo una guerra atomica, abbandona la propria
casa e affronta un problematico viaggio verso il ghetto dei mutanti, a
Nuova Parigi. La sua odissea si trasforma in una serie di incontri felici
e traumatici che lo segneranno in modo indelebile.
Il romanzo, l’unico pubblicato a tutt’oggi da Curtoni, rielabora e
mescola in modo molto personale ‘luoghi’ classici della sf , linguaggio
della narrativa non di genere, simbolismi sociali e religiosi, atmosfere
della musica rock, momenti di introspezione. "
Altre
risorse
Vittorio Curtoni | La dignità della volpe |
Vittorio Curtoni | Lettori sotto la tenda della volpe: perplessi - postfazione al racconto |
Mirko Tavosanis | Vittorio Curtoni - La precessione dei modelli |
AAVV
|
Su Vittorio Curtoni |