![]() Vittorio Curtoni (a destra) con Giuseppe Lippi (foto: Giuseppe Festino) |
La recente uscita della raccolta Retrofuturo
presso ShaKe (Milano, 1999) rappresenta un ottimo punto di partenza per
parlare della carriera di Vittorio Curtoni. Questo libro non è infatti
una semplice antologia di racconti, ma un volume che raccoglie anche, frammentata
in tre sezioni, una vera e propria storia della fantascienza in Italia
negli ultimi trent’anni, così come è stata autobiograficamente
vista da uno dei suoi massimi protagonisti. Del resto, se è difficile
poter dire con certezza chi ha avuto la maggiore influenza sulla diffusione
italiana della fantascienza (probabilmente Carlo Fruttero e Franco Lucentini,
con la loro venticinquennale gestione di Urania), non ci sono dubbi che
un posto di primo piano debba essere riservato, quasi a pari merito, a
due scrittori e curatori di riviste: Lino Aldani e Vittorio Curtoni.
Di Aldani si dirà in altra sede, e in un altro profilo. In quanto
a Curtoni, sarà il caso di ricordare che dopo un decennio di isolamento
il suo nome ha oggi ricominciato a circolare grazie a Internet. Vittorio
Curtoni infatti è diventato un personaggio ben noto su alcune mailing
list e sulle pagine della rivista Delos, e questo ha posto fine
a un allontanamento iniziato in pratica con il famigerato “Avviso importante
per i necrofili” (pubblicato nel 1980 sull’ultimo numero della rivista
Aliens),
uno amaro sfogo contro il pubblico della fantascienza. Ma – è forse
opportuno ripeterlo, a beneficio dei lettori di data più recente
– Vittorio Curtoni è stato molto di più che uno scrittore
di racconti e frequentatore di mailing list. È anche stato in pratica
l’unico storico della fantascienza italiana, e uno dei principali traduttori
e curatori di riviste e collane nel settore. E nel suo caso, molto più
che in quello di altri, è difficile distinguere i diversi aspetti.
Il Curtoni scrittore (cioè il miglior scrittore della sua generazione)
infatti non è facile da comprendere se non si prende in considerazione
anche il Curtoni curatore, e lo storico, e il lettore…
Procediamo quindi con ordine. Vittorio Curtoni, dice la quarta di copertina,
nasce a S. Pietro in Cerro nel 1949; esordisce giovanissimo sulle pubblicazioni
amatoriali di fantascienza che in Italia si diffondono dopo il 1965. Alcuni
suoi racconti vengono pubblicati anche su testate professionali, dopodiché,
nel 1969, assieme all’amico Gianni Montanari diventa curatore della rivista
Galassia,
pubblicata a Piacenza, la città in cui entrambi vivono. E già
nel 1970 sul n. 113 di Galassia appare la prima antologia dedicata
alle “Tendenze della SF italiana”, Destinazione
uomo, curata da Curtoni e Montanari oltre che dal romano Gianfranco
De Turris.
Seguiranno dieci anni di attivismo frenetico in tutti i settori elencati
più sopra: Curtoni pubblica nel 1972 il romanzo Dove
stiamo volando, discute nel 1973 la sua tesi di laurea sulla
fantascienza italiana, nel 1976 viene lanciata la rivista Robot
da lui diretta, nel 1977 l’editrice Nord pubblica la sua tesi di laurea
con il titolo di Le frontiere dell’ignoto,
nel 1978 su Robot speciale esce infine l’antologia La
sindrome lunare, quasi tutta composta da inediti. Dopodiché,
con il crollo del mercato italiano della fantascienza, è la volta
di iniziative meno fortunate, che in pratica si concluderanno con lo “strappo”
citato più sopra. Da quel momento in poi Curtoni si dedicherà
quasi esclusivamente alle traduzioni, in particolare per Mondadori. Nel
campo della narrativa pubblica invece solo qualche racconto sparso, fino
al grande ritorno con questa raccolta retrospettiva, Retrofuturo.
È indubbio che l’attività editoriale di Curtoni
abbia lasciato un segno indelebile nella storia della fantascienza in Italia,
soprattutto per merito di Robot, la miglior pubblicazione di settore mai
apparsa dalle nostre parti. E altrettanto indubbio è che buona parte
di questo successo sia dovuto alla carica che Curtoni ha saputo infondere,
caricando tutte le sue iniziative con la propria personalità. Nella
gestione di Robot il dialogo diretto con i lettori, attraverso l’editoriale
e la rubrica della posta, era in pratica il collante che teneva assieme
la rivista (risultando probabilmente perfino più efficace dei pur
ottimi racconti scelti): e chiunque abbia sfogliato qualcuno dei primi
ventotto fascicoli pubblicati può testimoniare dell’efficacia della
formula.
Certo, questa carica personale non era priva di controindicazioni.
E il meraviglioso periodo di Robot si chiuse in modo brusco: lo “spettabile
pubblico, ci hai rotto i coglioni” dell’“Avviso importante per i necrofili”
segnava la conclusione di una parabola e di uno stato di grazia. Ma adesso,
con Retrofuturo in mano, si
può guardare senza problemi al passato e fare un bilancio più
distaccato. Cominciando dall’attività di scrittore, che è
resa memorabile soprattutto dai racconti, visto che è in questa
misura che Curtoni ha dato il meglio di sé, ispirandosi con decisione
a tutta una serie di modelli stranieri. E questo rifarsi alla produzione
straniera ha un preciso valore “divulgativo”, che si collega a un’attività
editoriale che lungo tutti gli anni Settanta ha cercato di “offrire un
quadro generale dell’evoluzione che era partita dall’Inghilterra con la
cosiddetta ‘New Wave’ e aveva poi contagiato gli Stati Uniti” (Retrofuturo,
p. 31).
Il più significativo dei racconti scritti da Curtoni ai
suoi esordi, per esempio, è senza dubbio un’opera che imita in modo
molto diretto i racconti sperimentali di James G. Ballard: L’esplosione
del Minotauro, autopubblicato per la prima volta nel 1971 su un’altra
delle antologie che Galassia dedicava agli autori italiani. In un certo
senso L’esplosione del Minotauro – il primo
atterraggio umano su Marte visto dalla prospettiva di un personaggio profondamente
coinvolto e disturbato – è il primo racconto italiano che possa
esser messo anche solo vagamente a paragone di quel che la fantascienza
angloamericana stava producendo negli anni della new wave: con il suo accumulo
di temi ballardiani ricreati in modo personale rappresenta una novità
assoluta nel panorama della narrativa italiana di settore (tanto più
su una testata come Galassia, che della polemica contro Ballard aveva fatto
negli anni precedenti quasi una bandiera). E sulla stessa linea Curtoni
tornerà poi più avanti con un altro notevole racconto come
La
luce, rielaborazione altrettanto riuscita degli stessi temi.
Ballard non era però l’unico modello di quegli anni. Un altro
autore che ha giocato un ruolo simile è stato Brian Aldiss, che
rappresenta il più diretto antecedente del romanzo breve Volo
simulato. O meglio, visto che il multiforme Aldiss ha cercato
in tutti i modi di adeguarsi alle metamorfosi della fantascienza, precisiamo:
quello che serve da modello è soprattutto l’Aldiss degli incredibili
racconti lunghi pubblicati alla fine degli anni Sessanta, dove ha probabilmente
raggiunto la propria massima espressione letteraria fondendo assieme in
modo innovativo suggestioni tratte proprio da Dick e Ballard. Ambiente
totale, Il verme che vola,
Tutti
gli uomini della regina e Automatico
lunare sono alcuni dei pezzi migliori, e rileggendo Volo
simulato è fortissima la sensazione di trovarsi di fronte
a qualcosa uscito dallo stesso stampo.
L’impressione è rafforzata dal fatto che gli ultimi due racconti
di Aldiss citati (Tutti gli uomini della regina e Automatico lunare) sono
stati presentati in Italia sulle pagine dell’antologia personale Anonima
intangibili, tradotta da Curtoni e aperta da un’introduzione in cui si
inquadra l’opera di Aldiss nei termini appena descritti. Anzi, l’antologia
è stata il primo testo tradotto dal solo Curtoni, senza la collaborazione
di Montanari, e come tale viene ricordata in posizione di rilievo anche
in Retrofuturo (p. 34): non
c’è dubbio che il testo abbia giocato un ruolo fondamentale. Alla
base c’era probabilmente la necessità di fondere quelli che già
negli anni Sessanta erano apparsi come due poli complementari, Dick (idolo
della rivista Galassia) e Ballard (pompato con insistenza da Gamma). Ma
anche nel cappello introduttivo a L’esplosione
del Minotauro si dichiara esplicitamente che è stata
proprio “la traduzione di Intangibles Inc.” a stimolare l’autore “a questa
operazione” narrativa.
Alla categoria delle riprese da materiale straniero appartiene poi,
se vogliamo, anche l’unico romanzo di Curtoni, Dove
stiamo volando; ma in questo caso il risultato è stato
meno felice, anche se l’opera resta sopra la media della produzione dell’epoca.
È un racconto molto “lirico” che descrive il maturare di un’identità
personale e sessuale in un mondo post-catastrofe popolato da lumpen-mutanti.
Se la sequenza finale ha un notevole impatto, per il resto la costruzione
narrativa si sperde in quello che visto a posteriori sembra una specie
di esperimento riuscito a metà: riproporre le suggestioni di molti
dei romanzi che Galassia aveva o avrebbe pubblicato proprio in quegli anni,
su su fino a Samuel R. Delany.
E per il resto? Se si scorre La sindrome lunare,
ci si accorge che a un certo momento i brevi brani di presentazione ai
racconti redatti da Curtoni stesso diventano una specie di galleria di
rimandi letterari. Vento dal mare è
“quasi un omaggio a Bradbury”; il già citato La
luce “certo, è un omaggio a Ballard, come no”; Buona
notte, dolce notte è “un’altra storia di spettri alla
Bradbury, amen”; e perfino Non ho bocca e voglio
bere viene presentato come una risposta ad Harlan Ellison e
al suo Non ho bocca e devo gridare. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto,
come siano fatti (e se esistano) i racconti più “alla Curtoni”,
quelli in cui la narrazione non viene filtrata da precisi modelli stranieri;
e la risposta probabilmente si avvicina all’assetto di testi come La
sindrome lunare. Un racconto in cui i modelli vengono mescolati
assieme fino a diventare, come nel caso di Dove stiamo volando, un amalgama
in cui è difficile precisare ascendenze dirette. Ma dove, spesso,
si ha l’impressione che manchi un centro narrativo sufficiente a far decollare
tutto l’insieme.
L’impressione si accentua ulteriormente nei racconti pubblicati dopo
il 1978, che, in raccolta, formano la terza sezione di Retrofuturo.
Testi come Il tempo dell’astronave,
La
dignità della volpe e Ti vedo
sono da questo punto di vista degli ottimi esercizi di scrittura su trame
convenzionali, con un’idea fantascientifica “vecchio stile”, ma non molto
di più. Mentre due racconti come Fronte
del tempo e Le consultazioni
ripescano a piene mani nel materiale di due pezzi pubblicati negli anni
Settanta, rispettivamente Ritratto del figlio
e il solito L’esplosione del Minotauro.
Non a caso tutti e quattro i racconti di questa mini-costellazione ruotano
attorno allo stesso nucleo tematico, i rapporti di parentela; e l’autore
stesso precisa, nella presentazione alla ristampa su Retrofuturo,
che Le consultazioni (e implicitamente
il suo pendant di venticinque anni prima) nascono da motivazioni personali
pressanti, fatto che contribuisce a dar loro la forza che manca ad altri
testi.
Ma indubbiamente in questa sezione dell’antologia c’è anche
un pezzo in cui i toni del racconto si differenziano dagli altri: e si
tratta di Dal rabbino. Non perfettamente
riuscito sul piano narrativo, ma con un’energia che ricorda le opere migliori
degli anni Settanta, questo racconto rappresenta in pratica la trasposizione
fantascientifica di incontri e rapporti con persone realmente esistenti,
dice l’autore. E non si stenta a credergli. Perché in Retrofuturo
ci sono altri punti in cui il tono del discorso raggiunge un simile livello
di esaltazione, e sono naturalmente i lunghi brani autobiografici che precedono
ognuna delle tre sezioni del testo. Per esempio l’indimenticabile descrizione
del fandom 1965-1968:
“Ma i nostri viaggi, i nostri raduni…
Nel nostro impeto d’amore per il futuro eravamo diventati senza
rendercene conto adepti del futurismo. Avevamo mitizzato il concetto di
movimento. Ci spostavamo di continuo di qua e di là, da un capo
all’altro dell’Italia, viaggiando su treni scassatissimi che avevano ancora
i vagoni di legno e ignoravano l’alta velocità (…). Credo sia stata
questa la molla che ha spinto tutti noi a un forsennato dinamismo ferroviario:
sentivamo la necessità di ritrovarci , di stare in gruppo, di rassicurarci
a vicenda sulla natura buona e sacrosanta della nostra missione (…).
Penso che molti di noi si sentissero investiti di una sorta di
missione messianica, evangelica. Predicare il Verbo della fantascienza
al popolo. Spargere il seme. Illustrare le meraviglie dei possibili mondi
futuri a chi teneva il naso immerso nel gretto presente” (Retrofuturo,
pp. 27-28).
Difficile quindi, come si diceva all’inizio, separare il Curtoni scrittore dall’editor entusiasta o dal traduttore. A lasciare un segno indelebile sulla fantascienza italiana non è stato uno di questi tre tratti, ma la loro combinazione, in un contesto in cui i racconti si nutrono e si alimentano dei tanti testi letti, rivisti e tradotti.
Vittorio Curtoni | La dignità della volpe |
Vittorio Curtoni | Lettori sotto la tenda della volpe: perplessi - postfazione al racconto |
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