Una spia
su Europa
[A Spy in Europa] Alastair Reynolds ![]() |
Marius Vargovic, agente di Gilgamesh Isis, assaporò un istante di caduta libera prima che i motori del flutter non scalciarono slanciandolo via dal Deucalion. Il pilota sparò lo scafo verso la luna che stava in basso, superando velocemente le altre navicelle che l'incrociatore marziano aveva eruttato. Europa sembrava che si stesse ingrandendo percettibilmente, un arco appiattito del colore della carta da parati macchiata di nicotina.
immagine del satellite Europa © Calvin J. Hamilton curatore del sito Views of the Solar System.
Atterrarono un'ora dopo.
Vargovic aggiustò il suo vestito da lavoro marziano, sintonizzando
la sua finanziera intessuta olograficamente in modo che proiettasse tempeste
di sabbia rosse, sollevando il collare in quella che aveva osservato nei
passeggeri dell'incrociatore essere una moda marziana recente. Poi afferrò
la sua valigetta (niente di compromettente là dentro, nè
marchingegni o armi) ed uscì dal flittter, passando attraverso le
guarnizioni delle chiusure. Un passaggio a sdrucciolo lo spinse in avanti,
massaggiando le suole delle ciabatte. Era un nastro di cultura singolo
in pelle di piovra, stimolato per fluttuare dallo sparo temporizzato dei
cilindrassi di calamaro messi dentro.
Per andare ad Europa devi
essere o stramaledettamente ricco o stramaledettamente povero. La copertura
di Vargovic era la prima, una finzione che giustificava il flitter per
un solo passeggero. Mentre il passaggio a sdrucciolo avanzava fu raggiunto
da altri arrivi: persone d'affari come lui e dalla crema di gente proprio
facoltosa. La maggior parte aveva fatto a meno degli olografici e proiettava
invece degli entottici al di là del proprio spazio personale, allucinazioni
generate meccanicamente che venivano decodificate dall'impianto che abbracciava
il nervo ottico di Vargovic. Colibrì e serafini spopolavano. Altri
erano circondati da profumi autonomi che alteravano in modo impercettibile
gli umori di coloro che gli stavano attorno. Leggermente più in
basso nella scala sociale, Vargovic osservò una cricca di turisti
rumorosi, piccole pesti alterate da Circum-Giove. Poi c'era un salto discontinuo:
rifugiati per il Maunder dall'aspetto squallido che dovevano aver accettato
un contratto con la Demarchia. I rifugiati furono allontanati velocemente
dagli immigrati più affluenti che si ritrovarono all'interno di
un'immensa cupola geodesica che poggiava sul ghiaccio per mezzo di trampoli
refrigerati. Le pareti della cupola risplendevano dei negozi del duty-free,
delle boutique e dei bar. Il pavimento era concavo, passaggi a sdrucciolo
e scale a spirale scendevano verso il nadir dove attendeva un quinconce
di cilindri di marmo scanalati. Vargovic osservò che i nuovi arrivati
si andavano accodando davanti agli ascensori che terminavano nei cilindri.
Si unì ad una fila ed attese.
"La prima volta su Cadmus-Asterius?"
gli chiese l'uomo con la barba davanti a lui, con delle iridofore nel giubbotto
color prugna che proiettavano asserzioni boleane tratte da Etiche meccaniche
di transilluminazione di Sirikit.
"La prima volta su Europa,
in realtà. La prima volta su Circum-Giove, vuole tutta la storia?"
"Fuori sistema?"
"Marte."
L'uomo annuì gravemente.
"Ho sentito dire che sia dura."
"Non c'è da scherzare."
E non lo stava facendo. Da quando il sole si era affievolito (il secondo
minimo di Maunder che ripeteva il comportamento che il sole aveva mostrato
nel XVII secolo) si era alterato l'intera sistema di bilanciamento dei
poteri nel Primo Sistema. Le economie dei mondi interni avevano trovato
difficoltà ad adattarsi, agricoltura e generazione di potenza svantaggiate
con concomitante rivolta sociale. Ma i pianeti esterni non avevano mai
avuto il lusso dell'energia solare in primo piano. Ora Circum-Giove era
il punto di riferimento del potere economico del Primo Sistema, con Circum-Saturno
che rimaneva distaccato. Di conseguenza le due superpotenze principali
di Circum-Giove, la Demarchia, che controllava Europa e Io, e Gilgamesh
Isis, che controllava Ganimede e parte di Callisto, si stavao sfidando
per il dominio.
L'uomo sorrise in modo acuto.
"Qui per motivi speciali?"
"Chirurgia," fece Vargovic,
sperando di interrompere la conversazione al più presto. "Chirurgia
anatomica molto estensiva."
Non gli avevano detto molto.
"Il nome di lei è
Cholok," aveva detto Controllo, dopo che Vargovic aveva dato un'occhiata
ai dossier là nelle caverne che ospitavano la sezione Operazioni
Coperte della sicurezza di Gilgamesh Isis, nella profondità di Ganimede.
"L'abbiamo reclutata dieci anni fa, quand'era su Phobos."
"E ora è della Demarchia?"
Controllo aveva annuito.
"Rientrava nella fuga di cervelli una volta che Maunder due aveva iniziato
a mordere. I più furbi sono scappati appena hanno potuto. La Demarchia
(e naturalmente anche noi) ha preso al volo i più svegli."
"E anche uno dei nostri
Sleeper." Vargovic fissò il ritratto della donna, tagliato dalle
linee video. Gli appariva incolore, con una espressione permanente di severità
che arrivava fino all'osso.
"Non t'abbattere," disse
Controllo. "Ti sto chiedendo di contattarla, non di andarci a letto."
"Sì, certo. Raccontami
la sua storia."
"Biotech." Controllo annuì
al dossier. "Su Phobos dirigeva uno dei gruppi che lavoravano alle opere
di trasformazione acquatica: modificavano la forma umana per operazioni
sottomarine."
Vargovic annuì diligentemente.
"Continua."
"Phobos desiderava vendere
le loro conoscenze ai marziani, prima che i loro oceani si gelassero. Naturalmente
anche la Demarchia apprezzava il suo talento. Cholok ha portato il suo
gruppo su Cadmus-Asterius, una delle loro città sospese."
"Mm." Vargovic incominciava
a seguire il filo. "E per allora l'avevamo già arruolata."
"Esatto," fece Controllo,
"tranne che non avevamo un uso chiaro per lei."
"E il perchè di questa
conversazione?"
Controllo sorrise. Controllo
sorrideva sempre quando Vergovic tirava l'involucro della subordinazione.
"Ce l'abbiamo perchè il nostro sleeper non vuole coricarsi." Poi
Controllo si allungò e toccò l'immagine di Cholok facendola
parlare. Quello che Vargovic stava osservando era un'intercettazione, qualcosa
che Gilgamesh aveva catturato, aggiustato con tagli e passaggi rapidi di
inquadratura.
Appariva nel momento in
cui stava spedendo un messaggio verbale a un vecchio amico ad Isis. Parlava
con rapidità da una stanza bianca, con dietro dei servitori medici
inerti. Gli scaffali mostravano boccette di medimacchinali codificati per
colore. Un letto cruciforme assomigliava ad una tavola d'autopsia con condotti
di drenaggio in ceramica.
"Cholok ci ha contattati
un mese fa," disse Controllo. "La stanza fa parte della sua clinica."
"Sta usando fissa-frase
tre," disse Vargovic ascoltando i suoi schemi di discorso, estraendo il
contenuto da un apparente normale canasiano.
"L'ultimo codice che le
abbiamo insegnato."
"Bene, qual'è il
suo amo?"
Controllo scelse le parole,
girando attorno all'informazione spurgata dal messaggio di Cholok. "Vuole
darci qualcosa," disse. "Qualcosa di valore. L'ha ottenuta per caso. Qualcosa
che deve far uscire di nascosto."
"Le lusinghe ti portano
dappertutto, Controllo."
Una musica commerciale crebbe
in un crescendo perfettamente sincronizzato mentre l'ascensore si immergeva
nello strato finale di ghiaccio. La veduta intorno e sotto era letteralmente
sorprendente, e Vargovic registrò esattamente l'esatta dose di soggezione
che il suo costume marziano gli consentiva.
Naturalmente conosceva la
storia della Demarchia, di come le città appese fossero iniziate
come punti di ingresso nell'oceano, cupole di osservazione piene d'aria
collegate alla superficie da stretti pozzi d'accesso sprofondati nel ghiaccio
della crosta profondo chilometri. Gli scienziati avevano studiato l'insolita
levigatezza della crosta, notando che i suoi schemi di frattura ricordavano
quelle dei banchi di ghiaccio della Terra, il che comportava la presenza
di un oceano di acqua. Europa era più lontana della Terra dal Sole,
ma qualcosa di diverso dall'energia solare manteneva la fluidità
dell'oceano. Infatti l'orbita della luna attorno a Giove creava delle tensioni
che flettevano il nocciolo di silicato della luna col calore tettonico
che si spandeva nell'oceano attraverso sfiati idrotermali.
Discendenere nella città
era un po' come entrare in un anfiteatro, tranne che non c'era alcun palcoscenico,
piuttosto una successione infinita di balconate più basse ripide
e in successione. Convergevano verso un infinito pieno di luce, sette o
otto chilometri più in basso, laddove la forma conica della città
si stringeva a formare un punto. Il lato opposto era lontano un mezzo chilometro,
con livelli che salivano come strati geologici. Un'ampia torre di vetro
attraversava l'atrio da cima a fondo, radiosa per l'oceano verde fumo e
per una massa di flora simile alle alghe, tenuta sotto cultura da nuotatori
branchiati. Luci solari artifiacili bruciavano in mezzo alle alghe come
lucette natalizie. Al di sopra la torre si ramificava, rifornimenti peristaltici
che si allungavano nell'oceano vero e proprio. Uffici, negozi ristoranti
e unità residenziali erano accatastati gli uni agli altri o si sporgevano
nell'abisso su eleganti balconi, filati da fogli sfolgoranti di polimero
di chitina espansa, il principale materiale di costruzione della Demarchia.
Ponti a ragnatela si arcuavano al di sopra dello spazio dell'atrio, striscioni
retrattili, proiezioni e grosse sculture traslucenti, plasmati da una variante
setata dello stesso polimero di chitina. Ogni superficie visibile sovrabbondava
di neon, olografica ed entoptica.
La gente era dovunque e
in ogni faccia Vargovic ritrovava una leggera assenza, come se la
loro mente non fosse interamente a fuoco sul qui e sull'adesso. Non c'era
da meravigliarsi: tutti i cittadini avevano un impianto che li interrogava
costantemente, ottenendo la loro opinione su ogni aspetto della vita della
Demarchia, sia all'interno di Cadmus-Asterius che al di fuori. Alla fine,
si diceva, la presenza assillante dell'impianto svaniva dalla coscienza
fino a far diventare quasi involantario l'atto di partecipazione democratica.
Vargovic provava repulsione
e allo stesso tempo ne era intrigato.
"Ovviamente," disse Controllo
con deliberazione giudiziaria, "ciò che Cholok ha da offrire non
è proprio una pepita, o ce l'avrebbe inviata tramite FF3."
Vargovic si sporse in avanti.
"Non ve lo ha detto?"
"Solo che potrebbe mettere
in pericolo le città appese."
"E le credete?"
Vargovic sentì arrivare
una delle momentanee indiscrezioni di Controllo. "Sarà anche una
sleeper, ma non è proprio inutile. Ci sono state delle defezioni
a cui ha assistito... come l'affare Maunciple... lo ricordi quello?"
"Se lo chiami un successo
forse è ora che sia io a fare una defezione."
"In realtà era stata
un'informazione di Cholok a persuaderci a portar via Maunciple per la via
dell'oceano piuttosto che dalla porta principale. Se la sicurezza della
Demarchia avesse raggiunto vivo Maunciple sarebbero venuti a conoscenza
di diecvi anni di affari."
"Laddove invece Maunciple
s'è preso un arpione nella schiena."
"L'operazione aveva le sue
crepe." Controllo si strinse nelle spalle. "Ma se pensi che tutto ciò
indichi che Cholok è stata compromessa.. Naturalmente il pensiero
ci ha sfiorato. Ma se Maunciple avesse agito diversamente sarebbe stato
peggio." Controllo incrociò le braccia. "E, naturalmente, ce l'avrebbe
potuta fare, nel qual caso anche tu avresti dovuto ammettere che Cholok
è sicura."
"Fino a prova contraria."
Controllo s'illuminò.
"Allora lo farai?"
"Come se avessi scelta."
"C'è sempre una scelta,
Vargovic."
Sì, pensò
Vargovic. C'era sempre una scelta... tra il fare tutto ciò che Gilgamesh
Isis gli chiedeva... e l'essere deprogrammato, cyborgizzato e spedito a
lavorare nei progetti sulfurei lungo i pendii di Ra Patera. Non è
che fosse particolarmente allettante.
"Un'altra cosa..."
"Sì?"
"Quando ho ottenuto ciò
che ha Cholok..."
Controllo fece un mezzo
sorriso, tutti e due avevano una battuta privata che non aveva bisogno
di spiegazione. "Sono certo che il solito sia sufficiente."
L'ascensore rallentò
nell'avvicinarsi ad immigrazione.
Le guardie della Demarchia
portavano grosse armi, ma nessuna si interessò a lui. La storia
che proveniva da Marte era stata accettata; fu sottoposto soltanto alla
solita gamma di procedure invasive: configurazione neurale e genetica scannate
in cerca di patologie, corpo immeso in otto forme di radiazione esotica.
La formalità finale consisteva nel bere un goccio di cioccolata.
La bevanda era composta da miliardi di medimacchinali che si infiltravano
nel suo corpo in cerca di droghe nascoste, armi e biomodificazioni illegali.
Sapeva che non avrebbero trovato nulla, ma si sentì sollevato quando
raggiunsero la sua vescica e chiesero di verir restituiti alla Demarchia
attraverso l'urina.
L'intera procedura durò
sei minuti. Fuori Vargovic seguì un passaggio a sdrucciolo verso
lo zoo cittadino e poi si scontrò con folle di scolari fino a che
non arrivò all'acquario dove Cholok avrebbe dovuto incontrarlo.
Le esposizioni erano dedicate alla flora e alla fauna di Europa, la maggior
parte dipendevano dalle nicchie biologiche degli sfiati idrotermali, qui
riprodotti con cura. Non c'era niente di molto eccitante da guardare, dato
che la maggior parte dei predatori europeiani apparivano leggermente meno
feroci degli attacapanni a stelo o dei paralumi. I più comuni venivano
chiamati sfiatanti, grossi animali strutturalmente semplici il cui
metabolismo era imperniato sulla simbiosi. Erano dei sacchi carnosi e a
imbuto, piantati su un tripode di trampoli arancioni che si muovevano con
un tale torpore che Vargovic quasi si addormentò prima che Cholok
gli arrivasse al fianco.
Indossava una giacca verde
oliva e un paio di pantaloni smeraldo stretti e proietava una caligine
di entoptica medicinale. La sua mascella serrata acentuava l'ostinazione
che aveva raccolto dall'intercettazione.
Si baciarono.
"Sono contenta di vederti,
Marius. Sono... da quanto?"
"Nove anni, all'incirca."
"Com'è Phobos in
questi giorni?"
"Orbita ancora attorno a
Marte." Mise in mostra un sorriso. "Ancora una bisca."
"Non sei cambiato."
"Neppure tu."
A corto di parole, Vargovic
si scoprì con lo sguardo che tornava alle scritte informative che
accompagnavano la mostra degli sfiatanti. Con una vaga attenzione lesse
che gli sfiatanti, mobili nella fase giovanile, gradualmente diventavano
sessili nell'età adulta, i trampoli che si ispessivano per via dello
zolfo che si depositava fino a che non erano ancorati al terreno come stalagmiti.
Una volta morti i corpi molli si disperdevano nell'oceano, ma i tripodi
rimanevano, grappoli regolari di spine arancioni dall'aspetto misterioso
che si concentravano attorno agli sfiati attivi.
"Nervoso, Marius?"
"Nelle tue mani? Non direi."
"E' lo spirito giusto."
Comprarono due boccali di
mocha da un servitore poco distante e tornarono alla mostra degli sfiatanti,
apparentemente chiacchierando di sciocchezze. Durante l'indottrinamento
a Cholok era stato insegnato il fissa-frase tre. Il codice permetteva l'inserzione
di informazione secondaria all'interno di una conversazione principale,
con un impiego attendo dell'ordine delle parole, dell'esitazione e della
struttura della frase.
"Che cosa hai ottenuto?"
chiese Vargovic.
"Un campione," rispose Cholok,
una delle parole facili, pre-confezionate che non avevano bisogno di essere
convogliate laboriosamente. Ma ciò che seguì necessitò
di quasi cinque minuti per passare, trasportato da ricordi sparsi degli
anni di Phobos. "Una piccola scheggia di iperdiamante."
Vargovic annuì. Sapeva
cos'era l'iperdiamante: un intreccio topologicamente complesso di fullerene
tubolare; strutturalmente simile alla cellulosa o alla chitina espansa
ma migliaia di volte più forte, la sua rigidità mantenuta
artificialmente da qualche trucco piezoelettrico che Gilgamesh non conosceva.
"Interessante," disse Vargovic.
"Ma. sfortunatamente, non interessante a sufficienza."
Lei ordinò un'altra
mocha e la buttò giù mentre replicava. "Usa la tua immaginazione.
Solo la Demarchia sa come sintetizzarlo."
"E' anche inutile come arma."
"Dipende. C'è un'applicazione
che dovresti conoscere."
"Quale?"
"Mantenere questa città
a galla... e non sto parlando di una disponibilità economica. Conosci
Buckminster Fuller? E' vissuto circa 400 anni fa; credeva che con dei mezzi
tecnologici si potesse raggiungere una democrazia assoluta."
"Un pazzo."
"Forse. Ma Fuller ha inventato
la griglia geodesica che determina la struttura della molecola del C60,
l'allotropo chiuso del fullerene. La città gli è debitrice
sotto due aspetti."
"Risparmia la conferenza.
Come entra in tutto questo l'iperdiamante?"
"Bolle di fluttuazione,"
disse. "Intorno all'esterno della città. Ognuna è una sfera
di cento metri di iperdiamante che trattiene il vuoto. Una molecola dell'ampiezza
di un centinaio di metri, di fatto, dato che ogni sfera è composta
da un filo infinito di fullerene tubolare. Pensa alla cosa, Marius: una
molecola al cui interno puoi parcheggiare una nave."
Mentre assorbiva tutto ciò
un'altra parte della sua mente continuava a leggere la didascalia degli
sfiatanti, sul come la loro biochimica presentasse molte similitudini con
i vermi tubolari senza intestino che vivevano attorno agli sfiati oceanici
della Terra. Gli sfiatanti bevevano il solfito di idrogeno attraverso i
tubi di ventilazione mettendolo in circolo attraverso una forma modificata
di emoglobina e facendolo passare attraverso un organo saturato di batteri
nella parte bassa dei loro sacchi. I batteri spezzavano e ossigenavano
il solfito di idrogeno, creando una molecola simile al glucosio. L'analogo
del glucosio nutriva lo sfiatante, permettendogli di rimanere vivo e di
fare occasionalmente qualche piccolo spostamento verso un'altra parte dello
sfiato, o anche di nuotare tra gli sfiati, fino a che la fase adulta non
lo radicava a terra. Vargovic lesse tutto ciò, e poi lo rilesse
perché aveva ricordato qualcosa; un'intercettazione misteriosa passatagli
alcuni mesi prima dall'analisi criptica; qualcosa sul fatto che la Demarchia
avesse dei piani per incorporare la biochimica degli sfiatanti in un animale
più grosso. Per un attimo fu tentato di chiedere della cosa direttamente
a Cholok, ma decise di eliminare il soggetto dalla sua mente in attesa
di un momento più adatto.
"Non c'è altra propaganda
da mettere in comune?"
"Ci sono 200 di queste sfere.
Si gonfiano e si sgonfiano come vesciche, mantenendo l'equilibrio di C-A.
Non sono sicura sul come accada lo sgonfiamento, tranne che è qualcosa
che ha a che fare con la corrente piezoelettrica nei tubi."
"Ancora non vedo il perché
Gilgamesh ne abbia bisogno."
"Pensaci. Se potessi portarne
un campione su Ganimede, potrebbero riuscire a trovare un modo di attaccarlo.
Tutto ciò che occorrerebbe sarebbe un agente molecolare capace di
aprire gli spazi tra le maglie del fullerene in modo che possa infiltrarsi
una molecola d'acqua, o qualsiasi altra cosa che ostacoli la forza piezoelettrica."
In maniera distratta Vargovic
osservò un predatore a forma di totano mordicchiare un pezzo della
sacca di uno sfiatante. Il sangue del totano scorreva denso con due forme
di emoglobina; una che portava l'ossigeno, una adatta al solfito d'idrogeno.
Usavano delle glicoproteine per mantenere fluido il sangue e cambiavano
metabolismo quando passavano da un'acqua a dominio d'ossigeno ad una a
dominio di solfito.
Riportò l'attenzione
su Cholok. "Non posso credere di aver fatto tutta questa strada per...
cosa? Carbonio?" Scosse la testa, inserendo il gesto nel filone primario
della loro conversazione. "Come l'hai ottenuta."
"Un incidente, con un lamellato."
"Continua."
"Un'esplosione vicino ad
una bolla. Ero il chirurgo assegnato al lamellato, ho dovuto togliergli
un sacco di iperdiamante. Non è stato difficile mettere da parte
qualche scheggia.
"Un pensiero previdente,
da parte tua."
"Il difficile è stati
persuadere Gilgamesh a mandare te, soprattutto dopo che Maunciple..."
"Oh, non perdere il sonno
per lui," disse Vargovic mentre consultava il proprio caffè. "Era
un grasso bastardo che non riusciva a nuotare in modo abbastanza veloce."
L'operazione chirurgica ebbe
luogo il giorno successivo. Vargovic si risvegliò con la bocca secca
come una fornace.
Si sentiva... strano. Lo
avevano avvertito di questa cosa. Aveva anche parlato con soggetti che
si erano sottoposti a procedure analoghe nei laboratori sperimentali di
Gilgamesh. Gli avevano detto che si sarebbe sentito fragile, come se la
testa non fosse più adeguatamente accoppiata al corpo. Le vampate
di freddo periodiche attorno al collo sarebbero servite solo ad aumentare
quella sensazione.
"Puoi parlare," disse Cholok,
sporgendosi su di lui vestita del bianco della chirurgia. "Ma le modifiche
cardiovascolari, e l'ampiezza del rimodellamento che abbiamo fatto all'area
laringea, renderanno la tua voce un po' strana. Alcuni lamellati si sentano
a proprio agio solo quando parlano con gente della loro specie."
Si tenne una mano davanti
agli occhi per esaminare la ragnatela traslucida che si stendeva ora tra
le sue dita. C'era una macchia scura nel tessuto pallido del palmo: il
campione incassato di Cholok. L'altra mano ne aveva un altro.
"E' riuscita, non è
vero?" La voce suonava acuta. "Posso respirare acqua."
"E aria," disse Cholok.
"Anche se quello che scoprirai ora è che un esercizio che appare
estenuante sarà naturale una volta immerso."
"Posso muovermi?"
"Naturalmente," disse. "Prova
a sollevarti. Sei più forte di quanto ti sembri."
Fece come le aveva suggerito,
usando quel momento per sistemare i suoi dintorni. Un monitor neurale stava
sopra la sua corona. Era nudo, in una stanza di rianimazione illuminata
in modo brillante; un lato era formato da una parete in vetro che si affacciava
sull'oceano esterno. Era da qui che Cholok aveva contattato la prima volta
Gilgamesh.
"Questo luogo è sicuro,
no?"
"Sicuro?" chiese, come se
fosse una cosa oscena. "Sì, suppongo che lo sia."
"Parlami dei Denizen."
"Di chi?"
"La parola in codice della
Demarchia. La criptanalisi l'ha intercettata di recente... si suppone che
sia un esperimento in biomodificazioni radicali. Me ne sono ricordato nell'acquario."
Vargovic passò le dita sulle lamelle del collo. "Qualcosa che farebbe
apparire questo come chirurgia estetica. Abbiamo sentito dire che la Demarchia
ha confezionato il metabolismo a base di solfuro degli sfiatanti per l'uso
umano."
Fece un fischio. "Dovrebbe
essere un giochetto."
"Ma utile, comunque, soprattutto
se si vuole una forza lavoro che possa tollerare gli ambienti anocsici
attorno agli sfiati, dove si da il caso che la Demarchia abbia qualche
interesse minerario."
"Forse." Cholok fece una
pausa. "Ma i cambiamenti richiesti andrebbero ben oltre la chirurgia. Si
dovrebbero inscrivere al livello di sviluppo. E anche allora... Non sono
sicura che ciò che otterrai sia poi ancora umano." Era come se tremasse,
anche se era Vargovic quello che sentiva freddo, ancora in piedi nudo accanto
al tavolo di rianimazione. "Tutto ciò che posso dire è che,
anche se è successo, nessuno me lo ha detto."
"Pensavo di dovertelo chiedere,
nient'altro."
"Bene." Brandiva uno scanner
medico bianco. "Posso fare qualche altro test? Dobbiamo seguire la procedura."
Cholok aveva ragione, a
parte il fatto che l'operazione di Vargovic era completamente reale (e
per questo suscettibile di complicazioni che dovevano essere ricercate
e monitorate) qualsiasi deviazione dalla pratica normale era indesiderata.
All'incirca dopo la prima
ora la estraneità reale della sua trasformazione lo colpì
in pieno. Fino ad allora lo aveva lasciato spensieratamente senza conseguenze,
ma quando si vide in uno specchio per tutta la lunghezza, in un angolo
della stanza di rianimazione di Cholok, capì che non c'era ritorno.
Comunque, non certo con
facilità. I chirurghi di Gilgamesh gli avevano promesso che avrebbero
potuto disfare il lavoro, ma non ci aveva creduto. Dopotutto la Demarchia
era avanti a Ganimede nelle bioscienze e anche Cholok gli aveva detto che
le ritrasformazioni erano spinose. Aveva accettato la missione in ogni
caso: la paga lo aveva allettato, la prospettiva dei progetti sulfurei
molto meno.
Cholok passò gran
parte della giornata con lui, interrompendo solo per parlare con altri
clienti o per conferire con la sua squadra. Gli esercizi di respirazione
occuparono gran parte di quel tempo: periodi prolungati passati sott'acqua
per annullare la risposta di annegamento del cervello. Spiacevole, ma Vargovic
aveva fatto cose peggiori durante l'istruzione. Fecero delle nuotate completamente
sommersi, usando i suoi polmoni per regolare la sua spinta idrostatica,
seguite dall'istruzione sul come mantenere pulite le aperture delle lamelle,
quelle che Cholok chiamava opercula, il che voleva dire assicurare
la salute delle colonie di batteri commestibili che si infilavano nelle
aperture e nuotavano fino ai piccoli lembi secondari delle sue lamellæ.
Aveva letto il depliant: ciò che aveva fatto era di scolpire chirurgicamente
la sua anatomia per portarlo ad uno stato che si trovava a metà
tra l'umano e il pesce che respira aria: incorporando lezioni biochimiche
dal pescepolmone e dal pescegatto che cammina. Il pesce respira acqua dalla
bocca e la rimanda al mare attraverso le lamelle, ma erano le lamelle nel
collo di Vargovic che svolgevano la funzione di una bocca. La sue vere
lamelle si trovavano sotto una cavità toracica, squarci a forma
di mezzaluna sotto le costole.
"Se confrontate alle dimensioni
del tuo corpo," gli disse, "queste aperture lamellari non riusciranno mai
a darti quell'efficienza respiratoria che avresti se ti sottoponessi a
cambiamenti più drammatici..."
"Come un Denizen?"
"Te l'ho detto, non ne so
niente."
"Non ha importanza." Appiattì
i lembi delle lamelle lamelle, osservando (con soltanto una leggera nausea)
come si aggrinzissero ad ogni esalazione. "Abbiamo finito?"
"Solo degli ulrimi esami
del sangue," disse. "Per essere sicuri che funzioni ancora tutto. Poi puoi
andartene a nuotare coi pesci."
Mentre era occupata ad una
delle console, circondata da entottici falsa-colori della sue gola, le
chiese: "Hai l'arma?"
Cholok annuì in maniera
assente e aprì un cassetto estraendo un laser medico a mano. "Non
è un gran che," disse. "Ho disabilitato il soppressore di gettito,
ma lo devi dirigere contro gli occhi di qualcuno per far più danno."
Vargovic soppesò
il laser, scrutinando i controlli nell'impugnatura profilata. Poi afferrò
la testa di Cholok e la fece girare, bagnandole il viso col raggio blu
actinia del laser. Ci furono due scoppi consecutivi quando le evaporarono
gli occhi.
"Be', così?"
I bisturi convenzionali fecero
il resto.
Risciacquò il sangue,
si vestì e lasciò da solo il centro medico, viaggiando per
chilometri nel profondo della città, fino a dove Cadmus-Asterius
si restringeva ad un punto. Anche se c'erano molti lamellati che si spostavano
liberamente per la città (in complesso erano volontari con pieni
diritti della Demarchia) non si fece vedere per molto in pubblico. Nel
giro di pochi minuti fu al sicuro in un labirinto di tunnel di servizio
dalle pareti di collagene, frequentati solo da tecnici, servitori o da
altri lavoratori lamellati. La povera Cholok aveva ragione, respirare aria
ora era più difficile, la sentiva troppo fine.
"Avviso di sicurezza della
Demarchia," disse la voce piatta di una macchina che emanava da una parete.
"Un assassinio è avvenuto nel settore medico. Il sospetto può
essere un operaio lamellato armato. Avvicinatevi con estrema cautela."
Avevano scoperto Cholok.
Rischioso l'ucciderla. Ma Gilgamesh preferiva bruciarsi i ponti, rimuovere
la possibilità che uno sleeper si trasformasse in un traditore una
volta terminata la sua utilità. In futuro, rimuginò Vargovic,
potrebbe essere meglio usare una tossina, piuttosto che l'uccisione immediata.
Si fece una nota mentale di inserirlo nel rapporto.
Entrò nel tunnel
finale, non lontano dalla presa d'acqua che era stata la sua destinazione.
All'altro capo del tunnel un tecnico sedeva su una cassa e ascoltava con
uno stetoscopio qualcosa che accadeva dietro ad un pannello di accesso.
Per un momento Vargovic pensò di superare l'uomo sperando che fosse
troppo preso dal suo lavoro. Iniziò ad avvicinarsi a lui, camminando
coi piedi palmati nudi, che facevano molto meno rumore delle scarpe che
si era tolto. Poi l'uomo annuì a se stesso, staccandosi dal posto
di ascolto e sbattè il portello. Afferrando la cassa si sollevò
e si accorse di Vargovic.
"Non dovresti stare qui,"
disse. Poi, in modo abbastanza lamentoso si offrì: "Posso aiutarti?
Ti sei operato da poco, vero? Li riconosco quelli come te, sempre un po'
rossi attorno alle lamelle. "Vargovic sollevò in alto il colletto,
ma poi lo allentò perché rendeva più difficile la
respirazione. "Resta dove sei," disse. "Metti giù la cassa e stai
immobile."
"Cristo, sei tu, non è
vero?... quell'avviso?" fece l'uomo.
Vargovic sollevò
il laser. Accecato, l'uomo annaspò contro la parete, lasciando cadere
la cassa. Fece un gemito pietoso. Vargovic strisciò più vicino,
l'uomo incontrò il bisturi. Non certo il modo più pulito
per uccidere, ma non aveva importanza.
Vargovic era sicuro che
la Demarchia entro breve avrebbe chiuso gli accessi all'oceano, specialmente
quando sarebbe venuto alla luce il suo ultimo assassinio. Per ora, comunque,
le porte erano accessibili. Si spostò nella camera ad aria, i polmoni
che bruciavano in cerca d'acqua. Dei getti ad alta pressione riempirono
la camera e lui passò velocemente passò alla respirazione
acquatica sentendo che gli si schiarivano i pensieri. La porta secondaria
si aprì silenziosamente rivelando l'oceano. Si trovava chilometri
al di sotto del ghiaccio e l'acqua qui era ad una temperatura raggelante
e ad una pressione che stritolava... ma sembrava normale, pressione e freddo
che si rivelavano come qualità astratte dell'ambiente. Ora il suo
sangue era stato inoculato di glicoproteine, molecole che avrebbero abbassato
il punto di gelo al di sotto di quello dell'acqua.
La povera Cholok aveva fatto
un buon lavoro.
Vargovic stava per lasciare
la città quando un secondo operaio lamellato apparve sulla porta,
di ritorno alla città dopo aver completato un turno. L'uccise in
modo efficiente ed ebbe in eredità una muta tessuta termicamente
per poter lavorare nelle parti più fredde dell'oceano. La muta aveva
un'ascendenza da piovra e quando scivolò attorno a lui lasciò
lo spazio per le aperture lamellari. Indossava una maschera con capacità
infrarossa e sonar e portava un rimorchio a mano. La cosa sembrava il cuore
ancora battente di un animale vivisezionato coi suoi componenti traslucidi
che sporgevano con vene scure e gangli. Ma era facile da usare: Vargovic
mise la pompa al massimo e partì verso i livelli più bassi
di C-A.
Anche nell'acqua relativamente
incontaminata dell'oceano europeano la visibilità era bassa, non
sarebbe stato capace di vedere niente se la città non fosse abbondantemente
illuminata su tutti i livelli. Anche così, non vedeva oltre mezzo
chilometro, le parti più alte di C-A perse in una foschia dorata
e poi l'oscurità profonda. Sebbene la sua simmetria fosse scombussolata
da protuberanze e accrescimenti, la forma base a cono della città
era evidente, assottigliandosi gradualmente nel punto più lontano
ad una bocca d'entrata che ingeriva l'oceano. Il cono era circondato da
una confusione di bolle fluttuanti, nere come caviale. Si ricordò
dei pezzi di iperdiamante nelle mani. Se Cholok aveva ragione, gli amici
di Vargovic sarebbero riusciti a trovare un modo per renderlo permeabile
all'acqua, aprendo la trama del fullerene quel tanto che bastava a distruggere
le proprietà di galleggiamento delle sfere. L'agente necessario
si sarebbe potuto introdurre nell'oceano per mezzo di missili perfora ghiacci.
Qualche tempo dopo (Vargovic non era interessato dai dettagli) le città
della Demarchia avrebbero iniziato a scricchiolare sotto il loro peso.
Se l'arma avesse funzionato in modo abbastanza veloce non ci sarebbe stato
neppure il tempo di contrastarla. Le città sarebbero crollate dal
ghiaccio sprofondando attraverso i chilometri oscuri dell'oceano sotto
di loro.
Avanzò nuotando.
Vicino a C-A l'interno roccioso
di Europa salì verso l'alto per andargli incontro. Aveva viaggiato
per tre o quattro chilometri verso nord e stava comparando la topografia
visibile (illuminata da luci di servizio istallate dagli operai lamellati
della Demarchia) con le sue mappe mentali dell'area. Alla fine trovò
un affioramento di roccia silicea. Sotto lo strapiombo c'era una sporgenza
stretta su cui era caduta circa una dozzina di piccoli massi. Uno era più
rosso degli altri. Vargovic si ancorò alla sporgenza e soppesò
la roccia rossa, il calore delle dita ne attivò i biocircuiti latenti.
Nella roccia apparve uno schermo riempiendosi col viso di Mishenka.
"Sono puntuale," disse Vargovic,
la voce che suonava ancor più irriconoscibile attraverso il l'acqua
che distorceva. "Presumo tu sia pronto."
"Un problema," disse Mishenka.
"Uno stramaledetto grosso problema."
"Cosa?"
"La zona per l'estrazione
è compromessa." Mishenka, o piuttosto la simulazione di Mishenka
che agiva nella roccia, anticipò la domanda successiva di Vargovic:
"Qualche ora fa la Demarchia ha inviato una squadra di superficie sul ghiaccio,
apparentemente per riparare un transponder. Ma la zona che coprono è
proprio dove avevamo programmato di tirati fuori." Fece una pausa. "Tu
hai... hum... ucciso Cholok, non è vero? Voglio dire non è
che l'hai ferita gravemente?"
"Stai parlando con un professionista."
La roccia dette un'impressione
accettabile di Mishenka che appariva impaurito. "Allora la Demarchia era
arrivata a lei."
Vargovic fece un gesto con
la mano davanti alla roccia. "Ho quello per cui sono venuto, no?"
"Hai qualcosa."
"Se non è quello
che Cholok diceva che fosse, allora lei non ha ottenuto altro che la sua
morte."
"Eppure..." Mishenka sembrò
per un attimo che seguisse un pensiero brevemente, prima di abbandonarlo.
"Ascolta abbiamo sempre un punto alternativo di estrazione, Vargovic. E'
meglio che ci porti il tuo culo." Fece un ghigno. "Spero tu sappia nuotare
più veloce di Munciple."
Era 30 chilometri a sud.
Superò qualche operaio
lamellato lungo la strada, ma lo ignorarono e una volta che fu oltre cinque
chilometri da C-A c'erano sempre meno tracce di presenze umane. C'era un
display nella maschera. Vargovic fece qualche prova nel modo di lettura
prima di richiamare una mappa dell'intera area. Mostrava la sua posizione
e anche tre macchie che lo seguivano da C-A.
Era inseguito dalla sicurezza
della Demarchia.
Si trovavano almeno a tre
chilometri da lui, ma procedevano accorciando la distanza. Con una fredda
sensazione che gli afferrava lo stomaco fu chiaro a Vargovic che non c'era
modo di arrivare al punto di estrazione prima che lo raggiungesse la Demarchia.
Di fronte notò una
macchia calda termale, col calore che usciva ribollendo da livello relativamente
poco profondo del piano della roccia. Gli operatori della sicurezza probabilmente
lo stavano seguendo per via dell'equipaggiamento da operaio lamellato.
Ma una volta accanto allo sfiato lo poteva mollare, lì l'acqua era
più calda, non gli sarebbe occorsa la muta e il calore con la luce
e la turbolenza associata avrebbe confuso qualsiasi altro sistema di inseguimento.
Poteva starsene dietro ad una roccia adatta, seguendoli di nascosto mentre
erano preoccupati col segnale di ritorno.
A Vargovic apparve come
un buon piano.
Attraversò velocemente
la distanza verso lo sfiato sentendo l'acqua calda che lo circondava e
notando come cambiasse il gusto, facendosi salmastra. Lo sfiato era una
fiera fontana rossa circondata da rocce incrostate di batteri e dall'equivalente
europeano del corallo incolore. Gli sfiatanti erano dappertutto, con le
loro sacche polpose che giravano come mutava la corrente. I più
piccoli erano mobili e si spostavano ambiando sui trampoli come cornamuse
animate, navigando attorno ai residui triadici dei parenti morti.
Vargovic si nascose in una
grotta dopo aver piazzato l'equipaggiamento da operaio lamellato vicino
ad un'altra grotta nel lato opposto dello sfiato, sperando che gli operatori
alla sicurezza avrebbero guardato là per primo. Mentre sarebbero
stati occupati lui sarebbe riuscito ad ucciderne almeno uno, forse due.
Una volta in possesso delle loro armi, prendersi cura del terzo sarebbe
stata una pura formalità.
Qualcosa lo toccò
da dietro.
Quello che Vargovic vide
nel voltarsi fu qualcosa di troppo repulsivo anche per un incubo. Era così
sbagliato che per un attimo di incertezza non riuscì neppure ad
assimilare cos'era che stava guardando, quasi che la cosa fosse uno di
quei test di percezione tridimensionali, una forma che si rifiutava di
stabilizzarsi nella sua testa. La ragione per cui non riusciva a mantenerla
ferma era perché parte di lui si rifiutava di credere che questa
cosa avesse una qualche connessione con l'umanità. Ma le tracce
residue di ascendenza umana erano troppo evidente per ignorarle.
Vargovic sapeva, al di là
di ogni ragionevole dubbio, che ciò che stava osservando era un
Denizen. Altri si sporgevano dalle profondità della grotta. Ce n'era
altri cinque, tutti piuttosto simili, tutti che splendevano di una pallida
bioluminescenza, tutti che lo osservano con scuri occhi intelligenti. Vargovic
aveva visto immagini di sirene nei libri da bambino, ciò che ora
stava osservando era una macabra corruzione di quelle illustrazioni innocenti.
Queste cose erano la stessa fusione di uomo e pesce come in quelle immagini...
ma ogni dettaglio era stato spinto verso la bruttezza e il vero orrore
della cosa era che quella fusione era totale, non si trattava semplicemente
del fatto che un corpo umano era stato innestato ad una coda di pesce,
ma che il montaggio era avvenuto (era ovvio) al livello genetico, cosicché
in ogni aspetto della creatura c'era qualcosa di simultaneamente e grottescamente
ittico. Il viso era la cosa peggiore; bisezionato dal taglio di una bocca
rivolta verso il basso e senza labbra, quasi come quello di uno squalo.
Non c'era naso, nemmeno un paio di narici, solo una superficie di pelle
di pesce piatta e giallastra. Gli occhi si volgevano sul davanti, ogni
espressione compattata nelle profondità oscure. La creatura lo aveva
toccato con una delle sue braccia che terminavano in una mano oscenamente
umana. E poi, per aggravare l'orrore, parlò, la voce perfettamente
chiara e calma, nonostante l'acqua.
"Vi stavamo aspettando,
Vargovic."
Gli altri di dietro mormorarono,
riecheggiando il sentimento.
"Cosa?"
"E' un piacere che siate
riuscito a completare la missione." Vargovic iniziò a sentire la
presa. Si allungò per allontanare la mano del Denizen dalla spalla.
"Non siete voi il motivo per cui sono qui," disse, sforzandosi a mettere
autorità nella voce, attaccandosi ad ogni stilla dell'allenamento
di Gilgamesh per sopprimere i suoi nervi. "Volevo sapere di voi... nient'altro..."
"No," disse il Denizen principale,
aprendo la bocca per esporre una fila allarmante di denti. "Non avete capito
bene. Venire qui è sempre stata la vostra missione. Ci avete portato
qualcosa che desideravamo moltissimo. E' sempre stato il vostro scopo."
"Portato qualcosa?" La sua
mente ora stava barcollando.
"Nascosta dentro di voi."
Il Denizen annuì, un gesto umano che serviva soltanto a magnificare
l'orrore di ciò che era. "I mezzi per poter colpire la Demarchia,
i mezzi per poter prendere l'oceano."
Pensò alle schegge
nelle mani. "Penso di capire," disse lentamente. "Era diretta sempre a
voi, è questo che volete dire?"
"Sempre."
Dunque i suoi superiori
gli avevano mentito, o comunque avevano semplificato drasticamente la questione.
Riempì lui stesso i vuoti, facendo i salti mentali necessari: evidentemente
Gilgamesh era già in contatto coi Denizen (per quanto possa apparire
bizzarro) e le schegge di iperdiamante erano indirizzate ai Denizen, non
alla sua gente. Presumibilmente (anche se non riusciva a capire come potesse
essere possibile) i Denizen avevano i mezzi per esaminare i frammenti e
fabbricare l'agente che avrebbe sfilacciato la tessitura dell'iperdiamante.
Avrebbero agito per Gilgamesh, risparmiandogli di preoccuparsi di sporcarsi
le mani nell'attacco. Poteva vedere il perché la cosa piacesse a
Controllo. Ma in questo caso... perché mai Gilgamesh aveva mostrato
di ignorare i Denizen?
Non aveva senso. Ma d'altra
parte non poteva elaborare una teoria migliore per rimpiazzarla.
"Ho quello che vi serve,"
disse, dopo la dovuta considerazione. "Cholok ha detto che sarebbe stata
semplice la rimozione."
"Cholok è sempre
affidabile," disse il Denizen.
"Voi la conoscevate... la
conoscete, allora?"
"Ci ha fatto quello che
siamo adesso."
"La odiate, allora?"
"No, la amiamo." Il Denizen
mostrò di nuovo il sorriso da squalo e a Vargovic sembrò
che nel cambiare del suo stato emotivo cambiasse anche la colorazione della
sua bioluminescenza. Ora era scarlatta, non più la sfumatura verde-blu
che aveva mostrato alla sua prima apparizione. "Ha preso l'abominio che
eravamo e ci ha resi qualcosa di migliore. Ci trovavamo nel dolore, una
volta. Sempre nel dolore. Ma Cholok ce lo ha tolto, ci ha resi forti. Per
questo l'hanno punita ed anche noi."
"Se odiate la Demarchia,"
chiese Vargovic, "allora perché avete atteso fino ad ora per attaccarla?"
"Perché non possiamo
uscire," disse uno degli altri Denizen, il tono della voce che tradiva
una certa femminilità. "La Demarchia odiava ciò che Cholok
ci aveva fatto. Lei ha portato alla ribalta la nostra umanità, ha
reso impossibile che venissimo trattati da animali. Pensavamo che ci avrebbero
ucciso, piuttosto che rischiare che la nostra esistenza venisse resa nota
a tutto il resto di Circum-Giove. Invece ci hanno esiliati qui."
"Pensavano che saremmo tornati
utili," disse un'altra delle creature che si annidava sul fondo.
Proprio in quel momento
un altro Denizen entrò nella grotta provenendo dal mare aperto.
"Lo hanno seguito degli
agenti della Demarchia," disse, la sua colorazione era rosso sangue, tinta
d'arancio e pulsava vivacemente. "Saranno qua in un minuto."
"Dovete proteggermi," disse
Vargovic.
"E' naturale," il Denizen
capo disse. "Sei il nostro salvatore."
Vargovic annuì vigorosamente,
non più tanto convinto di riuscire ad affrontare da solo i tre operatori.
Da quando era giunto alla grotta aveva sentito la sua energia scemare,
come se stesse soccombendo ad un lento avvelenamento. Un pensiero premeva
nel fondo della sua mente e per un momento quasi gli prestò attenzione,
considerò quasi seriamente la possibilità che lo stessero
avvelenando. Ma ciò che accadeva fuori della grotta lo distraeva
troppo. Vide i tre agenti della Demarchia che si avvicinavano, spinti in
avanti dai propulsori che tenevano davanti a sé. Ogni avente portava
una fiocina leggera, armata con una punta minacciosa.
Non ebbero alcuna possibilità.
I Denizen si spostavano
troppo velocemente, slanciandosi dalle ombre, tagliando attraverso l'acqua.
Le creature si muovevano più velocemente degli agenti della Demarchia,
anche se avevano solo i loro muscoli e la loro anatomia a dare loro la
spinta. Ma era più che sufficiente. Non avevano nemmeno armi, nessun
arpione. Ma delle rocce affilate erano più che sufficienti, quelle
dei loro denti.
Vargovic era impressionato
dai loro denti.
Poi i Denizen tornarono alla
grotta per unirsi ai loro cugini. Ora si muovevano in modo più intorpidito,
come se la furia della lotta li avesse prosciugati. Per alcuni attimi rimasero
silenziosi, e curiosamente la loro lumiscenza si era attenuata. Lentamente,
comunque, Vargovic vide che il loro colorito stava tornando.
"E' stato meglio che non
vi abbiano ucciso," disse il capo.
"Maledettamente giusto,"
disse Vargovic. "Non si sarebbero limitati ad uccidermi, lo sapete." Aprì
i pugni esponendo il palmo della mano. "Si sarebbero assicurati che non
arrivassero mai a voi."
I Denizen, tutti quanti,
guardarono momentaneamente alle sue mani aperte, come se ci fosse dovuto
essere qualcosa. "Non sono sicuro che voi abbiate capito," disse alla fine
il capo.
"Capito cosa?"
"La natura della vostra
missione."
Lottando contro la stanchezza,
era una chiazza nera che avvolgeva la sua coscienza, Vargovic disse: "Comprendo
perfettamente. Ho i campionei di iperdiamante, nelle mie mani..."
"Non è quello che
vogliamo."
Questo non gli piaceva,
per niente. Era il modo in cui i Denizen stavano lentamente scivolando
attorno a lui, sgusciando furtivamente attorno a lui per ostruire l'uscita
dalla grotta.
"E cos'è allora?"
"Ci avete chiesto perché
non li abbiamo attaccati prima," disse il capo, con un fascino pauroso.
"La risposta è semplice. Non possiamo lasciare lo sfiato."
"Non potete?"
"La nostra emoglobina. Non
è come la vostra." Di nuovo quel sorriso da squalo, e ora era ben
cosciente di ciò che quei denti potevano fare, date le giuste circostanze.
"Era stato confezionato per permetterci di lavorare qui."
"Copiato dagli sfiatanti?"
"Adattato, sì. In
seguito è diventato il mezzo per imprigionarci. Il DNA nel nostro
midollo osseo era stato manipolato per limitare la produzione della normale
emoglobina, un mezzo semplice per sopprimere alcuni geni beta-globini mantenendo
le variante che codificano l'emoglobina degli sfiatanti. Il solfuro d'idrogeno
è velenoso per voi, Vargovic, Forse vi sentite già debole.
Ma noi non possiamo sopravvivere senza di esso. L'ossigeno ci uccide."
"Se lasciate lo sfiato..."
"Muoriamo, nel giro di poche
ore. C'è dell'altro, comunque. Qui l'acqua è calda, così
calda che non abbiamo bisogno delle glicoproteine. Abbiamo le istruzioni
genetiche per sintetizzarle, ma sono state bloccate anch'esse. Ma senza
le glicoproteine non possiamo nuotare nell'acqua più fredda, In
sangue ci si gelerebbe."
Ora era circondato, demoni
acquatici incombenti, che emanavano un'ombra florida color carminio. E
si stavano facendo sempre più vicini.
"Ma cosa vi aspettate che
ci faccia io?"
"Voi non dovete farci niente,
Vargovic." Il capo aprì del tutto le sua mascelle abissali, come
se stesse assaggiando l'acqua. Per prima cosa era un miracolo che un organo
come quello fosse capace del linguaggio.
"No?"
"No." E con ciò il
capo si sporse in avanti accostandolo, mentre allo stesso tempo fu spinto
da dietro da un'altra creatura. "E' stato il compito di Cholok," continuò
il capo. "Il suo ultimo regalo per noi. Maunciple è stato il suo
primo tentativo di arrivare a noi, ma Maunciple non ce l'ha fatta mai."
"Era troppo grasso."
"Tutti i traditori hanno
fallito... è che non hanno la tenuta per arrivare così lontano
dalla città. E' per questo che Cholok ha reclutato voi, un esterno."
"Cholok ha reclutato me?"
"Sapeva che l'avreste uccisa
(naturalmente l'avete fatto) ma questo non l'ha fermata. La sua vita contava
di meno di ciò che stava per donarci. E' stata Cholok a fare una
soffiata alla Demarchia sul luogo principale della vostra estrazione per
costringervi a venire da noi."
Si dimenò, ma era
inutile. Tutto ciò che poté fare fu un flebile, "Non capisco..."
"No," disse il Denizen.
"Forse non ci siamo mai aspettati che lo faceste. Se aveste capito forse
non avreste accettato tanto volentieri di seguire il piano di Cholok."
"Cholok non ha mai lavorato
per noi?"
"Una volta, forse. Ma i
suoi ultimi clienti siamo stati noi."
"E ora?"
"Ci prendiamo il vostro
sangue Vargovic." La presa su di lui si rafforzò. Usò le
sue ultime riserve d'energia che andavano scemando per cercare di liberarsi,
ma fu inutile.
"Il mio sangue?"
"Cholok ci ha messo qualcosa
dentro. Un retrovirus... molto resistente, capace di sopravvivere nel vostro
sangue. Serve a riattivare i geni che sono stati soppressi dalla Demarchia.
Immediatamente saremo capaci di produrre emoglobina portatrice di ossigeno.
Il nostro sangue si riempirà di glicoproteine. Non sarà un
grande sforzo: tutto il macchinario cellulare per produrre queste molecole
è già presente, serve solo che venga slegato."
"Dunque vi occorre... che
cosa? Un campione del mio sangue?"
"No," disse il Denizen con
un dispiacere genuino. "Temo che ne occorra di più di un campione.
Molto di più."
E poi, con magistrale lentezza,
la creatura gli morse il braccio e come il sangue iniziò a fluire
il Denizen bevve. Per un attimo gli altri attesero, ma poi anche loro si
fecero avanti per mordere e per unirsi al furore del pasto.
Tutto attorno a Vargovic
l'acqua si stava colorando di rosso.