AltriMondI |
a cura di Roberto Sturm
Theo Richmond |
Konin |
(Konin, 1995), trad. Elena Loewenthal, Instar Libri 1998, 800 pagg. L. 45.000 |
Bellissimo questo libro il cui sottotitolo è "La città
che vive altrove". Lautore, il cui cognome è
langlicizzazione di Ryczke, è originario di una città
della Polonia occidentale che alla vigilia dellinvasione
nazista contava 13 mila abitanti di cui quasi tremila di razza
ebraica. Nessun ebreo è rimasto dopo il 945. Richmond ci
racconta cosa è accaduto a questa vivace comunità ashkenazita
con le consuete difficoltà di integrazione in un paese che
qualche anno prima dellinvasione si stava lasciando sedurre
dallantisemitismo e dal fascismo. Non è semplice definire
il fascino di questa storia: la ricostruzione è condotta
confrontando la situazione attuale dei pochissimi sopravvissuti
negli Usa, in Israele e in Gran Bretagna con i loro
ricordi polacchi, e diventa un pretesto per raccontare la storia
misconosciuta della diaspora ashkenazita. Come in un crescendo,
alternando episodi di colore alle prime feroci repressioni, la
vita nei ghetti della deportazione ai pochi accenni nei lager,
Richmond ci conduce per mano fino allallucinante Protokol,
trascrizione della testimonianza di un veterinario polacco
precettato dalla Gestapo nellatto di eliminare una cifra
mai ricostruita di ebrei fra gli 8 e i 10 mila nel
bosco di Kazimierz, poco a nord di Konin. E anche per chi è
abituato ai resoconti dellorrore della shoah, si
tratta di una ricostruzione che fa accapponare la pelle.
Franco Ricciardiello
Philip K. Dick |
In terra ostile |
(In Milton Lumky Territory, 1958), traduzione di Daniele Brolli, Einaudi Tascabili Vertigo, 1999, 263 pagine, L. 15.000 |
Nei primi anni della sua carriera, Dick
scrisse, oltre alle opere di fantascienza che conosciamo, anche
alcuni romanzi maenstream, che rimasero inediti, fino alla loro
riscoperta postuma, quando, si iniziò a rivalutare la sua opera.
E così, ecco che Einaudi ce ne propone uno, dopo Fanucci (con
"The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike", recensito
in Fahrenheit 451)
Gli altri, per il momento non tradotti, sono "Gather
Yourself Togheser", del '49 (5), "Mary and the
Giant", del '53 (2), "The Broken Bubble", della
metà degli anni '50 (3), "Puttering About in a Small
Land", del '57 (4) e "Humpty Dumpty in Oakland",
del '60 (5).
Brolli, nella postfazione, dice di come Dick si sia sempre tenuto
molto distante dalla letteratura maenstream, e di come, anche nei
suoi romanzi che lo sono, si sentano degli echi fortissimi di
quel suo modo di scrivere, così incredibilmente immaginifico,
che lo ha contraddistinto.
E, in effetti, qui, quello che risalta maggiormente è proprio,
nella piattezza quasi insopportabile della narrazione, nel
finale, una specie di salto, in cui si dice di una sorta
d'intento dello scrittore: "Credo che scriverò
quello che succederà
Immaginerò il futuro tra qualche
mese.Ancora di più: tra diversi anni." (pag.245), che segue
ad una scena nella quale il protagonista, ancora bambino, è in
classe con la professoressa con la quale si è sposato e ha
vissuto le traversie di tutto il romanzo. E dove, quella, dice:
"Voglio che immaginiate di fare un viaggio verso est,
a New York.", cosa che Bruce non vuole fare: "Perché
non vuoi scrivere di New York?"-"Non ci sono mai
stato
" (
) "Pensa solo a come sarebbe"
(Idem-le sottolineature sono mie), in cui mi pare di poter
scorgere una sorta di recriminazione contro l'incapacità ad
immaginare, di fare quel qualcosa che è alla base della
Sf, porsi, appunto, la domanda "come sarebbe se
".
La storia che vi si racconta, infatti, è quanto di più scialbo
si possa
immaginare; un rappresentante, in viaggio per
affari, incontra una sue ex insegnante, i due si innamorano, si
sposano, mettono su un'impresa, che fallisce per il maldestro
senso degli affari di lui.
Il tutto condito di qualche, sparuta, spruzzatina di psicoanalisi
decisamente un po forzata.
Il Brolli dice che, come molti dei personaggi dei romanzi
fantascientifici del Nostro, anche Bruce agisce in uno scenario
che: "
gioca un ruolo ineluttabile, soverchiante, e non
lascia scampo ai protagonisti.", che qui diventa
"
una trappola da cui non si esce. L'unica soluzione è
arrendersi alle sue regole." (pag.261).
E che ha uno "
stile ordinario spesso minato da un
lessico limitato e da un linguaggio anonimo." (pag.260),
cosa sulla quale non si può assolutamente non essere
daccordo.
Una parte dell'ultimo paragrafo mi pare piuttosto significativa a
riguardo di quanto ho detto precedentemente; Bruce, in un happy
end anch'esso piuttosto anomalo, in Dick, nel quale il
fallimento è stato rimediato, si addormenta sul divano, accanto
alla figlia (non sua), che sta guardando la televisione: "Le
avventure subacquee, la lotta per la sopravvivenza del
sottomarino contro oscuri mostri marini e mine atomiche
sovietiche e poi i cowboy e gli astronauti e gli investigatori e
tutte le interminabili e fracassone avventure western
"
(pag.256), in cui il riferimento esplicito ai generi, e
alla loro fruibilità, e quindi, commercializzazione, accanto a
quel "lotta per la sopravvivenza", che è stato, poi in
fondo, il tema vero di tutta la storia che ha raccontato, mi
pare, la dicano lunga.
Dick, infatti, ha, per la maggior parte della sua vita, dovuto
realmente combattere per la sopravvivenza, e, forse, questo suo
tentare di scrivere romanzi veri era un tentativo di darsi
una connotazione che non fosse solamente di scribacchino
di quel sottogenere, allora assolutamente non considerato.
NOTE: (1)-Edizione originale: (Wcs Book, '74);
ve ne sono due estratti in "Mutazioni",
"Interzone", ed.Feltrinelli, '97, nella traduzione di
Gianni Pannofino, pag.35
(2)-Edizione originale (Arbor House, '87), edizioni inglesi:
(Ultramarine Publishing, '87, in tiratura limitata), (Gollancz,
'88), (Grafton Books, '89)
(3)-Edizione originale: (Arbor House, '8?)
(4)-Edizione originale: (Academy Chicago)
(5)-Edizione originale: (Gollancz,'86),edizione inglese: (Grafton
Books), ultima (Paladin,'88)
Marcello Bonati
[A cura di] Larry McCaffery |
Schegge dAmerica |
(After yesterdays crash), Fanucci 1998, L. 14.000, 462 pagine |
Il pubblico dei lettori di science fiction conosce già Larry
McCaffery, specialmente per la sua interessante sistematizzazione
della bibliografia della nuova fantascienza apparsa in Italia nel
volume Cyberpunk dellEditrice Nord. In questo
tascabile Fanucci a prezzo deliziosamente ridotto, lo stesso
autore ritenta il colpo, ma il risultato sembra meno
soddisfacente. Non so se la locazione a fine volume di tutta la
sezione critica la presentazione di Piergiorgio
Nicolazzini, lintroduzione di Larry McCaffery e il supporto
bibliografico sia voluta o meno, ma per un lettore
sequenziale come il sottoscritto è un disastro. Mi sono letto
363 pagine di narrativa perdendo completamente la tramontana, nel
tentativo di trovare una matrice unificante a una letteratura
piuttosto diseguale, in modo da poter definire il
"genere" avant pop, e solo alla fine ho ricevuto
lilluminazione piuttosto pretestuosa di McCaffery. Se
condivido per esempio la sua interpretazione sulla mediazione fra
cultura pop e letteratura "alta", non capisco
perché inserire nel genere alcuni racconti solo perché composti
da una aggregazione di frammenti narrativi differenti. McCaffery
sembra giustificare questa operazione con il parallelo della
"campionatura" tratto dalla musica pop, e dalla
commistione di frammenti musicali di altri generi operata nella
musica davanguardia: ma se questo può stare bene per
alcune selezioni, risulta inconsistente in altri casi. La mia
impressione è che, sullonda del successo del cyberpunk, si
sia tentata una giustificazione a posteriori di un certo tipo di
letteratura davanguardia e popolare al tempo stesso. Fin
qui nulla di strano, molto spesso le scuole sono state definite a
tavolino e dopo la loro effettiva scomparsa. Ciò che non quadra
sono i criteri di scelta.
Ciò significa che accanto a brani ottimi, si sia selezionato
materiale francamente deludente: per esempio i racconti di Paul
Auster, Lynne Tillman, Don Webb, o i racconti eccessivamente
prolissi di Erudice e David Foster Wallace. In altri casi,
malgrado la scarsa appartenenza a una letteratura di genere, sono
state al contrario selezionate opere davvero deliziose:
soprattutto lo splendido racconto di Marc Laidlaw, ma anche Bruce
Sterling. Mi sembrano invece molto più aderenti a una presunta
narrativa avant-pop così come definita nella postfazione, le
belle prove di William Gibson, Mark Leyner, Paul Di Filippo,
Craig Baldwin, David Blair, Lance Olsen, Steve Kats. Ad ogni
modo, si tratta di una raccolta da leggere.
Franco Ricciardiello
Don DeLillo |
Underworld |
(Underworld), Einaudi, 1999, pagine 894, lire 38.000 |
Epico. Poderoso. Irrinunciabile.
Questo romanzo di DeLillo, difficile da assimilare non tanto per
la struttura temporale asincrona ma forse di più per la sua
mole, è uno dei romanzi che meglio sintetizza gli ultimi
quarantanni di vita americana (e di conseguenza mondiali),
utile per fare il punto della situazione prima di addentrarci nel
nuovo millennio.
Alla fine della lettura ci si sente più leggeri, come liberati
dai fantasmi oscuri ed inquietanti della storia più recente.
Perché DeLillo è proprio della storia che ci parla, mescolando
personaggi realmente vissuti con personaggi inventati, mescolando
realtà e fiction in una struttura narrativa solida seppure
complicata, ma che, di conseguenza, rende la lettura più attenta
e quindi più approfondita.
E i temi che tocca sono tantissimi, alcuni più palesi (i rifiuti
e il problema del loro riciclaggio, la guerra fredda, la corsa al
nucleare delle superpotenze), ed altri più sotterranei. Underworld,
in effetti, come dice il titolo.
Ed è una pallina di baseball, quella con cui i Giants, con un
fuori campo, superano i Dodgers nella finale di New York del
1951, a fare da collante tra i tanti personaggi e le diverse
situazioni del libro. Situazioni che attraversano il nostro tempo
dal 1951 fino al crollo dellUnione Sovietica. Un romanzo
mai minimalista, semmai scritto con stile quasi asettico, che
restituisce al lettore una sensazione di disagio. Quella stessa
sensazione che sembrano vivere i personaggi del romanzo
attraverso i diversi tempi che vivono. La stessa sensazione di
disagio che proviamo e abbiamo provato noi lettori che viviamo e
abbiamo vissuto almeno alcuni dei periodi raccontati da DeLillo.
Roberto Sturm