Venti anni prima. Sul grande
schermo nell’aula magna dell’Università occupata una scritta a caratteri
tridimensionali impressiona la retina di migliaia di studenti:
INGEGNERIA GENETICA? SÌ
GRAZIE!
CLONAZIONE: LEGALIZZATELA!
VOTA SÌ AL REFERENDUM
Sotto gli occhi di Rico
e degli altri studenti, gli slogan si dissolvono per lasciare posto alle
immagini di sintesi di una pièce autoprodotta al dipartimento di
Biologia durante il mese dell’occupazione estiva.
“La performance si intitola
DNA ricombinante e responsabilità sociale” dice la studentessa del
Comitato per l’occupazione incaricata di presentare dal vivo l’happening.
Il lungo filamento vivacemente colorato di una doppia elica di tRNA si
avvita su se stesso contro uno sfondo scuro.
“Riteniamo che la responsabilità
sociale di noialtri studenti di ingegneria genetica non possa nascondersi
dietro la giustificazione dell’ineluttabilità della scienza” continua
la ragazza, che indossa un corto giubbotto di goretex colorato molto di
moda in questa estate.
Rico si piega verso il suo
vicino nell’aula affollata. “Come si chiama?” domanda.
“Quella è Lara Riva”
gli risponde il ragazzo, che porta lenti a contatto a specchio, “ma non
è roba per te. E’ la donna di Moreno.”
Moreno. Il leader del comitato
d’occupazione.
“Ecco l’enzima di restrizione
che taglia la molecola di DNA” spiega Lara mentre la lunga elica sullo
schermo si spezza “si tratta di HaeIII, estratto da Hemophilus aegyptius.”
Utilizzare la biologia per
una performance artistica è da lungo tempo l’obbiettivo di una parte
degli studenti, quelli più interessati alla commistione fra arte
e scienza come tecnica di propaganda creativa.
“Vogliamo adesso stabilire
un parallelo con l’attualità” prosegue la speaker. L’immagine di
HaeIII si trasforma improvvisamente, con uno straordinario effetto di morphing,
in una caricatura del tipico militante fondamentalista, la croce di legno
al collo e la camicia bianca. Contemporaneamente, il frammento di DNA assume
le sembianze del vescovo integralista di Torino, Albino Grandi.
Qualcuno nel pubblico di
universitari applaude, altri in fondo all’aula (probabilmente simpatizzanti
fondamentalisti) fischiano. Rico si volta e vede distintamente le spalle
larghe e la barba folta di Saulo Damiani, il leader degli integralisti.
In quel momento e come per contrastarne l’influenza il professor Rigazio,
docente di Genetica, si fa largo fra due ali di ragazzi che si separano
sollecite. Il professore è amato dagli studenti favorevoli all’occupazione
grazie alle sue idee politiche radicali.
Il grosso filamento circolare
di una molecola di DNA plasmidico, che sembra composto da una miriade di
piccoli volti umani, si fa strada mulinando verso il centro dello schermo.
La risoluzione delle immagini è sorprendente.
“Il corpo sociale” spiega
Lara controllando lo schermo “gli integralisti cercano di ricombinare con
la memoria collettiva il DNA estraneo di Albino Grandi. Non può
che nascerne un mostro.”
La molecola circolare si
contorce. Il frammento di DNA estraneo fa subito presa, originando una
inedita combinazione che assume il colore dell’acciaio.
Il prof. Rigazio osserva
la performance con le mani in tasca, in piedi in mezzo agli studenti. La
molecola rallenta, si miniaturizza, diventa un anello di metallo cromato.
Un batterio si avvicina dai margini dello schermo: gli studenti di genetica
non possono non riconoscere la forma oblunga dall’Escherichia coli. Il
nuovo arrivato viene afferrato dagli integralisti formicolanti e costretto
ad ingoiare la molecola circolare. Il batterio si contorce, si divincola
trasmorphandosi in un essere umano nudo. L’elica del DNA ricombinato pulsa
maligna nella trasparenza del suo cranio.
“La parola del vescovo di
Torino è il DNA ricombinante che sta per infettare tutta la società”
continua Lara con voce ammirevolmente inespressiva.
Il batterio umano si scinde
due, cinque, dieci volte, replicando a ogni mitosi l’elica circolare di
acciaio. E poi tutti i nuovi individui si trasformano in cloni di Albino
Grandi.
“L’integralismo cristiano
vuole blindare la società” conclude Lara oramai quasi sottovoce.
Lo schermo è pieno di cloni che camminano in formazione militare,
ognuno con la sua croce di legno al collo e il volto del vescovo di Torino.
Rico abbassa lo sguardo
sul professor Rigazio. Tutti sanno che il concetto di società blindata
sono parole sue. Sullo schermo è ricomparso lo slogan VOTA SÌ
AL REFERENDUM: la performance è finita. Gli studenti contrari schiamazzano
dal fondo dell’assemblea, Saulo Damiani agita la mano chiusa a pugno gridando
slogan proibizionisti con il volto congestionato. Qualcuno urla il nome
del professore, insistendo fino a che Lara lo chiama al microfono.
Rigazio sale controvoglia
la pedana dell’aula magna ai piedi dello schermo, a fianco della speaker.
Gira lo sguardo intorno, nella sala gremita fino alle porte lontane. L’occupazione
dell’università è al suo massimo: ora gli studenti dovranno
decidere per un aumento della pressione o per la smobilitazione.
“Cosa ne pensa, prof?” domanda
Lara con voce incerta, emozionata mentre la voce amplificata zittisce gli
applausi “abbiamo fatto un buon lavoro?”
Rigazio annuisce, ancora
con le mani in tasca, dando l’impressione di guardare in faccia ognuno
dei presenti.
Noi non siamo cloni di Albino
Grandi, pensa orgoglioso Rico.
“Se voi foste Escherichia
coli,” dice finalmente il professore nel silenzio attento, in piedi di
fianco a Lara, “molto presto diventereste un esercito di volonterosi veicoli
di infezione per la Repubblica blindata.”
Venti anni dopo, Rico ha
40 anni e Lara ancora 20. Una sigaretta alla menta in una mano, il bicchierino
di polistirolo del caffè nell’altra, lo guarda fisso nel corridoio
gelido della questura.
“Perché non ti sei
fatto vivo?” gli dice senza aria di rimprovero “lo sai che oramai da 6
mesi sono tornata a... sono tornata a Torino. Ti ho cercato a lungo.”
Rico si stringe nelle spalle.
“Che senso avrebbe?” risponde con dolcezza morsicando con i denti il bordo
del bicchierino. La Voce nella sua testa, rimasta muta dal momento in cui
Rico è uscito dalla sala di proiezione incontrando il fantasma inatteso,
si fa viva spaventandolo. Come è bella... sussurra.
Non la ricordavi più?
Le domanda Rico senza parlare. Anche la Voce sa del debito che lui ha contratto
20 anni prima verso questa ragazza.
“Ho trovato lavoro come
free-lance” prosegue Lara ignorando la sua scortesia. “In redazione hanno
pensato subito a me appena si è diffusa la notizia del rapimento
di tuo figlio.”
Rico jr. Il suo ricordo
sembrava accantonato in un angolo, ma non è possibile dimenticare
il sangue sulla camicia dell’uomo massacrato nell’automobile. Junior che
canta Se ti ho amato perdonami.
Perché non mi hai
detto che era tornata... accenna la Voce.
Taci!, le impone Rico temendo
che voglia ricordargli il debito.
“Vogliono che sia io a seguire
il rapimento” dice Lara sfiorandogli il dorso della mano con le sue dita
che hanno vent’anni.
Gli uomini della questura
in borghese hanno un’aria efficiente; sembra che possano difendere ogni
strada, ogni casa, ogni piccolo Escherichia coli dalla violenza fanatica
degli integralisti: ma ciò che riescono e vogliono proteggere è
solo quella porzione di società assolutamente fedele al regime uscito
dai giorni dell’Università. La Repubblica blindata.
“Sei impossibile” Lara scuote
il capo per commentare l’asprezza del suo silenzio “assolutamente impossibile.
Il tempo per te non è passato.”
Uno schermo in fondo a un
ufficio mostra immagini di violenza in un quartiere di periferia di Milano:
i terroristi hanno assaltato la navetta di una ditta chimica uccidendo
il conducente e ferendo alle gambe metà degli impiegati.
Rico pensa a suo figlio
nelle mani dei terroristi. Da venti anni temeva questo momento, da quando
i proibizionisti avevano giurato morte a Rico jr e Lara jr prima ancora
che nascessero. I primi esseri umani clonati in Italia.
“Siamo alla guerra civile”
dice Rico con tono monotono “la Milizia territoriale è infiltrata
dagli integralisti, gli integralisti dai servizi segreti. Ogni batterio
in questo Paese ha il suo DNA estraneo che lo trasforma in un microbo teleguidato.”
E anch’io ho il mio corpo estraneo, pensa poi con la mente alla Voce, ma
Lara non lo sa perché l’altra Lara è morta prima, venti anni
fa. Una tristezza antica si impadronisce di lui, una malinconia che è
sempre stata sua compagna intima, insieme alla Voce, a partire dall’attentato
nella sala conferenze della clinica del dottor Little.
“Di chi è questa
idea che tu debba seguire come giornalista il rapimento di mio figlio?”
domanda, “della questura? La Repubblica blindata... Rigazio aveva ragione.
L’abbiamo blindata noi questa nazione. Volevamo proteggere milioni di Escherichia
coli indifesi dai cloni di Albino Grandi, e guarda cosa abbiamo fatto.”
“Non ho pensato ad
altri che a te da quando sono uscita dal coma dopo l’incidente” gli dice
Lara dolce, comprensiva, “ora voglio aiutarti a ritrovare tuo figlio.”
Rico sta trattenendo il
fiato. Sia lui che la Voce hanno temuto per un attimo che Lara sapesse
la verità su se stessa, ma poi entrambi ricordano che lei crede
di essere rimasta vittima di un incidente automobilistico.
“E’ il mio destino” continua
Lara “tocca a me continuare ciò che aveva iniziato mia madre. Devo
prendermi cura di te.”
Venti anni prima, Rico ha
20 anni e Lara ancora 20.
“Se io fossi Escherichia
coli” dice Rico chinandosi verso l’orecchio della compagna davanti a lui
“tu chi saresti? La mia piccola blastula fedele?”
La ragazza si discosta appena
dalla sua confidenza, iridi trasparenti attraverso la galassia di viticci
dei capelli, ancora più bella che nella luce dello schermo panoramico
nell’aula magna. “Romantico” replica in tono ironico sostenendo il suo
sguardo. L’intera parete del dipartimento davanti a loro è percorsa
da una lunga teoria di video che mostrano le informazioni sulla vita della
facoltà. CORSO DI LAUREA IN BIOLOGIA, dice l’intestazione di ogni
schermo. INGEGNERIA GENETICA: LEGALIZZATELA! aggiunge uno slogan pirata
appena sotto.
Rico si schiarisce la gola.
“So che ti chiami Lara” continua “ti ho vista alle lezioni di Genetica.
Ci sarai anche tu all’[un]RealParty stasera?”
Uno stormo di matricole
eccitate come elettroni passa loro di lato nel corridoio del dipartimento,
orientati verso qualche laboratorio. Lara sembra incerta se sganciarlo
o dargli corda; lo studia ostentatamente, sorreggendo con la spalla la
cinghia di tela del portatile da aula.
Esaurita l’occupazione,
ottenuto un riconoscimento politico dalle autorità universitarie,
c’è aria di euforia nell’università. Gli integralisti sembrano
destinati all’estinzione ideologica. Lara Riva, la ragazza di Moreno del
comitato per l’occupazione, sta cavalcando la cresta dell’onda. “Ci sarò,
ma non ti dico la chiave” risponde gettando via il mozzicone di sigaretta
alla menta dopo l’ultimo tiro, pericolosamente vicino al filtro “se indovini
avrai un premio.”
Rico annuisce. “Una scommessa.
Se vinco ti farai tatuare quello che sceglierò io qui, sulla spalla.
Dal tailandese dei Murazzi.”
Lara sembra prenderlo molto
sul serio. La solita stretta di mano a pollici avvinti suggella la scommessa,
poi le mani della ragazza si infilano nelle tasche dei blue jeans.
Ma mentre Rico si allontana
quasi tremando sulle gambe per la propria audacia, sente la voce di lei
alle sue spalle “Se tu fossi Escherichia coli, io sarei il tuo enzima di
restrizione.”
I passi di Lara sul tappeto
bukhara non hanno svegliato Rico, ma quando lei accende il proiettore olografico
lui apre un occhio. Ricorda di essere sdraiato sul futon nel proprio soggiorno
perché le ha lasciato il letto.
Lara sta dirigendo la bacchetta
del telecomando sul proiettore. L’immagine di Rico jr si è materializzata
sul bukhara: i capelli al vento sul balcone di qualche villa mediterranea
affacciata sul golfo di Napoli o di Taormina, una camicia sportiva con
inserti di goretex, l’auricolare del network che sporge dall’orecchio sinistro.
L’intervista, che risale ad alcuni mesi prima, si alterna con brani di
videoclip.
Fingendo di essere ancora
addormentato, Rico osserva il figlio. E’ diverso da come eri tu a venti
anni, dice la Voce.
L’importanza delle condizioni
ambientali¸ risponde Rico senza parlare, una piccola cicatrice sul
mento, una piega diversa negli occhi, e soprattutto il condizionamento
del mondo dello spettacolo.
“La somiglianza è
impressionante” dice invece Lara, “non sai quanto mi dispiaccia avere dimenticato
tutto quello che è stato prima dell’incidente.”.
Il videoclip di Se ti ho
amato perdonami, con Rico jr che passeggia sulla spiaggia davanti Mont
St. Michel. Il padre sente un nodo in gola, come un tumore o una pistola
puntata alla trachea.
Ancora Rico jr con i capelli
al vento. “Se ti ho amato perdonami è la preferita del mio repertorio.
Il testo è tratto da una poesia di mio padre, una sua ossessione
privata che risale al tempo della mia nascita.”
“In momenti come questo
capisco quanto ho perduto durante quei mesi di incoscienza” insiste Lara
senza staccare gli occhi dalla proiezione. “Non riesco neppure a ricordare
questa canzone, deve essere stata un hit. Pensi che riuscirò mai
a recuperare la memoria dei miei primi anni?”
Rico graffia con le unghie
il bracciolo del futon, tentato di raccontarle la verità. Ma in
questo momento sarebbe troppo sconvolgente.
Rico cala gli occhiali e
indossa i guanti, muovendo le dita nello spazio virtuale della dataland.
Con gesti rapidi richiama il menu del datasuit fatto preparare apposta
per la festa a tema.
“Oh cazzo,” pensa appena
gli si materializza davanti quello che sembra un grosso salsicciotto semitrasparente
imbottito di filamenti lattiginosi simili a spaghetti di soia. Rico deve
apprezzare lo sforzo di fantasia kitsch del designer; anelli di infezioni
costellano gli organi interni del suo travestimento: una cellula di Escherichia
coli, vero e proprio automa cellulare dell’ingegneria genetica. Rico ne
mette alla prova i movimenti. La torsione verso destra o verso sinistra
di entrambi i guanti lo fa voltare di 45 gradi nella stessa direzione.
Sollevando contemporaneamente i due indici, Rico impara a muoversi a balzi.
Sospirando, materializza
di nuovo le dita delle mani per selezionare l’indirizzo della dataland
condivisa. Parte subito per il suo viaggio simbolico su una specie di cartina
geografica in rilievo, al cui orizzonte celeste giganteggia la scritta
RICORDA! LA MAPPA È MEGLIO DEL TERRITORIO!; un risucchio trascina
il grosso stick di silicone in cui si è trasformato Rico in un volo
al di sopra di panorami creati con algoritmi frattali. L’effetto ebbro
dell’assenza di peso lo sostiene fino all’approdo al portale della dataland.
MUOVETE IL CULO, dice una
Voce sottotitolata quando Rico mette piene oltre il perfetto rettangolo
marmorizzato della soglia, VEDETE COME GLI ENZIMI DI RESTRIZIONE TAGLIANO
LA LORO SEQUENZA DI DNA PREFERITA?
All’ingresso dell’[un]RealParty
è sistemato uno specchio in modo che gli ospiti possano ammirarsi
nei loro datasuit e sghignazzare. Rico si meraviglia per la fantasia dei
travestimenti: una rissa di strani oggetti incongruenti fra di loro affolla
il vasto appartamento digitalizzato in cui si svolge la festa. Riproduzioni
di batteri, embrioni pulsanti, gruppi di molecole che per gioco si combinano,
lunghe eliche di amminoacidi, serpenti sinuosi di RNA. Ogni ospite ha scelto
il travestimento per adattarsi al tema della festa, ripetuto su tutte le
pareti di casa: DR. RIGAZIO SAYS: “IF YOU WERE E.COLI”.
LEGALIZZATELA!, martella
ancora la voce a un volume decisamente troppo alto mentre le lettere dei
sottotitoli scorrono in fondo al margine di visione, GLI OTTIMI ENZIMI
DI RESTRIZIONE DEL DOTT. RIGAZIO HANNO APPENA PASTEGGIATO A DNA, IN QUESTO
MOMENTO STANNO DIGERENDO. ECCO UN SUCCOSO FILAMENTO DI SCARTO. QUAL È
LA FORTUNATA OSPITE DESTINATA AD ACCOGLIERLO?
Rico attraversa uno stormo
di spermatozoi nerastri e semitrasparenti che si muovono con scatti nervosi
della coda. Immagina la difficoltà di padroneggiarsi in quel datasuit.
La sua fantasia crede si tratti del gruppo di matricole che ha quasi travolto
lui e Lara quel mattino quando l’ha abbordata nel corridoio del dipartimento.
Lara. Si domanda quale possa
essere il suo travestimento. Se tu fossi Escherichia coli io sarei il tuo
enzima di restrizione, gli ha detto, ma Rico pensa che non debba essere
preso letteralmente. Immagina piuttosto Lara nell’atto in inserire dentro
di lui l’infezione vitale di un filamento di DNA digerito. Mi stai entrando
dentro, pensa ricordando di essere innamorato di quella ragazza dal primo
giorno in cui l’ha vista a una lezione di genetica, il portatile aperto
sul vecchio banco di legno e la nebulosa gonfia dei capelli davanti agli
occhi di calamita pervinca.
TAGLIAMO INSIEME IL MORBIDO
ANELLO DELLA MOLECOLA DEL DNA OSPITE. ECCO IL SUCCOSO FILAMENTO DIGERITO
DAGLI ENZIMI DI RESTRIZIONE CHE SI AVVICINA ALLA SEQUENZA INTERROTTA. RIUSCIRÀ
A RICOMBINARSI?
La ritmicità nel
movimento del datasuit comincia a dargli la nausea. Un gruppo di molecole
di adenina modificate si apre per fargli spazio. Rico preleva una bevanda
euforizzante dal legame idrogeno di una splendida 6-Metilaminopurina.
“Ehi, batterio” lo apostrofa
la molecola “mi sembra di conoscerti.”
Rico è annoiato.
Segue tutte le stanze nel labirinto della dataland, cozzando contro un’infinità
di ospiti. Una varietà di enzimi sta ballando sotto la musica assordante
in un grosso ambiente sulle cui pareti scorrono confuse immagini digitalizzate:
blasfeme sodomie molecolari di batteri deflorati da molecole di DNA ricombinato,
torture di lunghi filamenti di fagi digeriti vivi da enzimi riconoscibili
in HindII, i loro poveri resti ancora guizzanti come anguille iniettati
negli anelli gommosi di plasmide. Oscenità della biologia, pornografia
dell’ingegneria genetica.
CONTATTO! LA MOLECOLA CIRCOLARE
È RICHIUSA. LA VEDIAMO AVVICINARSI PERICOLOSAMENTE A UNA CELLULA
DI ESCHERICHIA COLI. FUGGI, PICCOLO BATTERIO ILLIBATO!
La bevanda euforizzante
rende più precise alcune incomprensibili sequenze di dati che scorrono
in quelle che sembrano tubature incastonate nelle pareti virtuali. Le indecifrabili
sequenze di pixel si trasformano nel programma di altre feste scadenziate
durante il mese successivo nell’ambiente universitario, come veicolo di
propaganda per il referendum sulla legalizzazione dell’ingegneria genetica.
Muovendosi a balzi come
un goffo würstel semitrasparente, una specie di sacca di polietilene
imbottita di spaghetti gommosi immersi in silicone, Rico comincia ad annoiarsi.
Gli sembra impossibile riconoscere Lara in quell’incubo genetico.
ESCHERICHIA COLI, DOLCE
VENERE DEI BATTERI. PER TE CANTANO CORI DI ACIDO DESOSSIRIBONUCLEICO, E
SI SVELANO I MISTERI DELLA DOPPIA ELICA DELLA VITA. ACCOGLI NEL TUO GREMBO
LA MOLECOLA DI DNA RICOMBINATA E RIPRODUCILA SECONDO LA TUA VOLONTÀ.
Un lungo nastro di musica
comincia a serpeggiare, uscendo da quello che sembra l’impianto di aerazione.
Rico trova vagamente irritante un simile realismo edilizio nella progettazione
di una dataland: avrebbe decisamente preferito una ambientazione ecologica
alle superfici digitalizzate di questa specie di discoteca del XX secolo.
MERAVIGLIOSA VITA DEI BATTERI
INDISTRUTTIBILI. PROSPERANO MILLE ANNI SOTTO IL GHIACCIO BOREALE PER TORNARE
ALL’ESISTENZA, PIÙ FOTTUTAMENTE IRREQUIETI CHE MAI. O VITA! INFEZIONE
DELLE MOLECOLE, MATTONI DELL’UNIVERSO! LA DOLCE ESCHERICHIA COLI, ESPRESSO
DELLA VITA, PROPAGA IL MESSAGGIO PER MEIOSI E PER MITOSI. LODE ALL’INFEZIONE!
Mentre gira intorno alla
pista da ballo, vasta digitalizzazione di quel mandala biologico che è
una molecola di Hemophilus influenzæ, una specie di putrella sfreccia
a una certa altezza dal pavimento, vira in corrispondenza della parete
circolare della dataland e accelera a velocità esponenziale conficcandosi
come una freccia nel ventre indifeso del suo travestimento.
Scioccato per il colpo,
Rico si accorge di aver lanciato un urlo. Abbassa l’angolo di visione,
rendendosi conto di essere quasi tagliato in due da una grossa molecola
di SV40 resa lineare dall’opera devastante di un enzima di restrizione
che ha spezzato in due la sua perfetta circolarità. Le estremità
adesive della molecola che lo ha penetrato, rigida come un giavellotto,
sventolano beffarde nella corrente d’aria inesistente della dataland. Rico
fissa attonito gli isotopi radioattivi che ne marcano le estremità,
impressionato per il realismo chimico di quel travestimento. Tutti gli
altri invitati li stanno guardando.
“Se tu fossi Escherichia
coli, io sarei la vendetta del Comitato partenti vittime di EcoRI,” dice
il datasuit di Lara conficcato nel suo stomaco virtuale.
Rico si sente a disagio nei
locali della Polizia. Nei tempi più cupi della Repubblica blindata,
nei giorni più crudi del terrorismo anche lui ha manifestato in
piazza contro la scomparsa degli studenti negli scantinati dei palazzi
del Ministero degli interni, dove ora si trova per cercare aiuto per suo
figlio. Adesso hai bisogno di loro, dice la Voce nella sua testa, come
loro hanno bisogno di te. Lasciati proteggere contro gli animali dei GCA
finché farà comodo a entrambi.
Il commissario lo guida
attraverso corridoi di uffici bene illuminati che sembrano la sede di un
network. Solo i giubbotti in fibra corazzata dei poliziotti smentiscono
quell’atmosfera radical-chic che Rico e Lara conoscono bene.
Lara sembra altrettanto
a disagio, ma penetrare oltre la barriera della sua apparente impassibilità
è un’impresa complessa. Si fermano davanti a una porta di laminato
verde chiaro che il commissario apre verso l’interno facendosi da parte.
“La vostra protezione nella tana del lupo” dice con aria soddisfatta.
Nell’ufficio c’è
un uomo voltato di spalle con un vestito di seta nera. Rico si avvicina,
ritrovandosi suo malgrado nella simulazione 3-d di un thriller. Quasi non
vede il gesto dell’uomo, che ruota il busto all’altezza del diaframma,
stendendo il braccio destro verso il viso di Rico.
Si sente distintamente Lara
che trattiene il fiato, ma il movimento dell’uomo è incredibilmente
rapido. Rico, che non si è mosso, si ritrova con un oggetto puntato
contro la gola. Rimane bloccato, il capo piegato appena da una parte quando
si rende conto che il braccio che l’uomo vestito di seta nera mantiene
teso contro la sua trachea è un arto bionico, una protesi di metallo
e resina intrecciata con tessuti umani clonati. Un oggetto duro preme sulla
sua carotide.
Dopo qualche secondo di
tensione, Rico percepisce dal ritmo del respiro del commissario che non
c’è pericolo. L’uomo distende i muscoli facciali in un sorriso e
ritira il braccio bionico mostrandogli l’arma: la pistola è grossa,
piatta, con una doppia canna sovrapposta e un calcio marmorizzato. Sembra
un’arma da bambini perché è di un polimero trasparente e
fluorescente, tranne la camera da fuoco di ceramica che si intravede sotto
la plastica.
“Scusa lo scherzo, Bellini”
dice riponendo l’arma nella fondina da spalla. Il suo gesto è stato
rapido e nervoso, una dimostrazione di efficienza. E’ grazie a uomini come
questo che la Repubblica blindata riesce ancora ad avere la meglio su tutti
i suoi nemici.
E in questo momento Rico
si rende conto di conoscere l’uomo.
Anche la Voce ha un sussulto.
Moreno! Esclama nel silenzio della sua mente.
Il cielo è marcio
di inquinamento sull’altra sponda del Po. Le ville in collina rastrellano
la luminosità fluorescente dell’orizzonte stagliate contro la notte
di bachelite.
C’è un uomo nella
vita di Lara, un uomo che non sa dell’incontro fra lei e Rico nella simulazione
dell’[un]RealParty. L’uomo di Lara si chiama Moreno, è uno dei leader
del comitato studentesco di occupazione, l’antitossina contrapposta al
proibizionismo bioetico di Saulo Damiani.
Rico, Lara e Moreno
scendono dalla scaletta di cemento spaccato dall’ostinata flora urbana.
L’argine dei Murazzi è percorso da una folla di personaggi ambigui,
a coppie, a gruppi, solitari, comunque meno rassicuranti dei bizzarri datasuit
nell’[un]RealParty.
Ostentando una sicurezza
che non ha, soprattutto in presenza dell’uomo che vive con lei, Rico prende
sottobraccio la compagna di università portandola verso l’atelier
tattoo. Devono bussare al vetro e attendere che il tailandese filiforme
apra la zanzariera. Non dà segno di riconoscere Rico né Moreno.
“La mia amica vuole un disegno”
dice Rico.
L’orientale si scosta per
lasciarli passare, li conduce attraverso una specie di caffè librario
dove una decina di giovani coricati sul pavimento sembrano immersi in una
seduta di traning autogeno, se non fosse per i leggeri caschi e la complicata
ragnatela di cavi elettrici ai polsi e alle caviglie.
Il laboratorio è
una vecchia sedia da dentista, gli aghi sono contenuti in provette sterili
dentro una 24 ore trasparente sotto una lampada ultravioletta. Lara fa
scorrere con una pressione del dito il menu dei disegni su uno schermo,
fino a scegliere una doppia elica di globi rossi e azzurri intrecciati.
Sembra la rappresentazione di una struttura di DNA concepita da un meccanico.
Rico approva mentre il fastidio
di Moreno aumenta. Il tailandese seleziona l’ago con il dito indice simile
alla bacchetta di un rabdomante. L’icona appare contornata da una silhouette
lampeggiante. Lara sfila il giubbotto di goretex sollevando la camicia
sulla spalla.
L’orientale fa un gesto
irritato, Rico le spiega di levare la camicia. “Se la manica ricade sull’ago
potresti farti male.”
Lara ubbidisce, quindi siede
appoggiando le mani sui braccioli.
“Sinistra?” domanda il tailandese.
Rico scuote il capo. E’
il suo momento. “Qui,” dice indicando la parte superiore del seno di Lara,
in corrispondenza del ventricolo sinistro.
La ragazza rimane interdetta.
Si sente il battito cardiaco di Moreno che rallenta, ma nessun altro nell’atelier
cerca i suoi occhi. Lara sembra quasi divertita dietro la cortina bionda
dei tralci di vite; senza curarsi del suo uomo, abbassa di qualche centimetro
l’orlo del reggiseno raccogliendo la sfida di Rico.
Il tailandese avvicina l’ago
alla pelle bianca del seno. Moreno tira un calcio di rabbia a un cestino
pieno di fazzoletti di carta appallottolati, poi esce sbattendo la porta
ma ancora nessuno si cura di lui.
“Mio piccolo Escherichia
coli” dice Lara con la bocca a cuore sotto il salice piangente della frangia,
“sono pronta per il tuo DNA.”
E in questo momento Rico
ha una premonizione. Vede se stesso coricato di schiena su un futon sotto
il corpo di Lara. Galassia oscura di capelli, silhouette nel controluce
freddo della finestra, Lara che si muove a ritmo con la tensione dei muscoli
del suo torace, i frutti acerbi dei seni duri e pesanti nelle mani di lui.
Moreno mostra a Rico una
telecamera che ha lo stesso colore della pistola: traslucida, fluorescente,
con solide parti in ceramica che si affacciano nella trasparenza apparentemente
innocua.
“Rispondere con violenza
alla violenza” recita la sua parte, “se non ci difendiamo con ogni mezzo,
questa città diventerà un cimitero immenso.”
“Da tempo abbiamo oltrepassato
quel punto,” commenta Rico, “da almeno dieci anni. E non ci siamo fermati.”
Moreno si impone visibilmente
di non replicare. “3 chili e mezzo” commenta sollevando la telecamera con
il braccio artificiale “una piccola stazione di montaggio. Saulo Damiani
non vuole una trasmissione in diretta, ci ha imposto una differita in modo
da controllare il contenuto della registrazione prima della messa in onda.”
“Centomila morti in venti
anni” insiste Rico sentendo montare l’ira insieme alla consapevolezza dell’enormità
accaduta a suo figlio. “Un milione di cittadini in armi nella Milizia non
riescono a contenere il terrorismo. Una guerra civile endemica, ma non
per quella parte della Nazione che conta: quella è protetta, chiusa,
blindata. I fondamentalisti uccidono nelle periferie, in provincia, in
campagna, lontano dagli obiettivi strategici difesi a oltranza.”
Lara osserva interessata
i gesti di Moreno. Rico ripensa senza particolare fastidio, quasi con nostalgia
a venti anni prima, quando i due vivevano insieme prima che il tatuaggio
di una doppia elica in un laboratorio dei Murazzi mettesse fine alla loro
storia.
“Ti capisco” dice Moreno
conciliante, “tuo figlio è nelle mani di quelle bestie, mi sentirei
anch’io come te. Ma non temere, lo tireremo fuori incolume. Te lo giuro”
Solleva con la destra la pistola, in un modo che a Rico sembra una protesi
dell’arto che a sua volta è una protesi. Avvicina l’arma alla telecamera
e la incastra con uno scatto, poi fa volteggiare l’oggetto con destrezza
e la pistola scompare, completamente mimetizzata. E’ virtualmente impossibile
distinguerne la forma incastonata nel fianco della telecamera.
“Non esiste mezzo di individuarla”
spiega orgoglioso Moreno.
“Cosa significa?” domanda
Rico temendo la risposta.
Significa che Moreno ti
accompagnerà nel rifugio dei terroristi, risponde la Voce.
Come per conferma Moreno
aggiunge “Porremo come condizione con Saulo che tu e Lara siate accompagnati
da un tecnico per le riprese.”
Rico trattiene il fiato.
“E quale sarà la tua funzione una volta all’interno del rifugio?”
domanda.
“Il signor Moreno è
programmato per eliminare da solo l’intero commando terrorista” risponde
laconico il commissario entrando in quel momento.
Eliminare l’intero commando
terrorista. E Rico jr sarà là dentro. E anche Lara.
“Ma Moreno non sarà
solo,” aggiunge soddisfatto il commissario, appoggiandosi con i pugni alla
scrivania di cristallo e sorridendo con occhi di ferro a Rico.
“Abbiamo spesso avuto a
che fare con gente come lei, Bellini” dice a bassa voce, “ma per fortuna
i figli non sempre seguono le orme dei genitori. Quel suo ragazzo, malgrado
sia una sua copia identica... ecco, è la dimostrazione di quanto
possono l’educazione e l’ambiente rispetto al talento naturale. E’ un cantante
fantastico, sarebbe una perdita enorme per noi se quei fanatici...”
Rico fissa dritto negli
occhi l’uomo. “Io lo tirerò fuori di là” risponde.
Il commissario annuisce.
“Certo. E sa cosa la aiuterà?” punta il dito in mezzo alla fronte
di Rico “quella cosa che lei tiene qui da venti anni.”
Rico si morde le labbra
fino a farle sanguinare. Come fa a sapere di me? Dice interdetta la Voce.
“Il dottor Little ha mantenuto
una regolare e periodica relazione sui propri esperimenti” spiega il commissario
“non solo sullo straordinario concepimento e gestazione di suo figlio clonato,
anche su quell’altro esperimento all’interno del suo cervello. Le dirò
che, opportunamente istruita con gli idonei stimolanti, potrebbe assumere
una funzione molto simile alle più moderne routine di combattimento
sperimentate l’esercito.”
L’improvvisa immagine di
soluzioni bionanotecnologiche attraversano la mente di Rico. Il commissario
sembra leggere nella sua esitazione e aggiunge “E’ costretto ad essere
coerente, Bellini. Questa Repubblica è una invenzione di voi studenti,
venti anni fa. Non può non assumersi le sue responsabilità.”
“Questo discorso l’ho già
sentito una volta,” risponde Rico con amarezza, “il giorno stesso della
vittoria al referendum. E ha condizionato la mia vita da quel momento fino
ad ora.”
Il commissario sorride,
poi sembra accorgersi della presenza di Lara. “Non dimentichi, Bellini,”
aggiunge allora “che lei ha ancora un debito nei confronti della sua amica.
Un debito che custodisce qui dentro” per la seconda volta punta il dito
alla fronte di Rico.
Non desiderata, la melodia
ritorna all’assalto con la voce di suo figlio, così forte che si
domanda come possa la Voce non sentirla.
Se ti ho amato perdonami.
Fermo in strada alla testa
del corteo, Rico alza gli occhi alla finestra del professore. Cerca gli
occhi di Lara nel silenzio che si è fatto assoluto. “Che dici?”
domanda, “è il caso?”
Il carosello di studenti
che ha percorso tutta la notte le vie del centro è diventato improvvisamente
silenzioso. Gruppi estremisti si sono scontrati ripetutamente con la polizia,
ma si sono avuti incidenti in tutte le città italiane stanotte.
I proibizionisti, distrutti dalla vittoria legalista al Referendum, sembrano
chiusi in casa. Il tam tam del corteo scandisce slogan offensivi nei confronti
del loro leader torinese, Saulo Damiani, e del vescovo Grandi.
“Pro-fes-so-re! Pro-fes-so-re!”
implorano a braccia tese i ragazzi. E’ l’alba. Stanotte la pioggia, che
durava da due settimane, è improvvisamente cessata. Le quattro vittime
delle prime violenze integraliste, timida anticipazione della guerra civile
endemica che strazierà il paese per venti anni, sono state sepolte
ieri, la mattina stessa delle votazioni, con la partecipazione di un’immensa
folla di studenti muti.
Una uguale folla festosa,
non accontentandosi di mandare in tilt la rete telematica nazionale con
un’invasione di messaggi di trionfo che si moltiplicano come una metastasi,
ha occupato stanotte le strade e le piazze di quella che in breve tempo
diventerà la Repubblica blindata. Ma sotto la casa del professor
Rigazio sembra che l’entusiasmo sia più contenuto.
“Pro-fes-so-re! Pro-fes-so-re!”
inneggiano i ragazzi. Qualcuno insiste per formare una delegazione di studenti
con l’incarico di salire. Moreno, che nelle settimane seguenti alla rottura
con Lara ha perso influenza sull’ala più radicale, non si propone.
Rico e Lara partono alla
testa di un gruppo di otto. Le scale sono luminose e fredde, Rigazio li
aspetta sulla porta, serio, vestito con un cardigan molto casual in linea
con l’eleganza anglosassone che ostenta all’Università.
I ragazzi si schiariscono
la gola, il professore li fa entrare. Una casa con pareti tappezzate di
libri e i tavoli ingombri di riviste. Su uno schermo da 48” si può
vedere il viso di Albino Grandi, si riconosce un network che trasmette
notizie 24 ore su 24.
“...Arrestato questa notte
con l’accusa di terrorismo e strage. Il vescovo di Torino è stato
tradotto in un carcere di massima sicurezza in attesa di essere interrogato
dal magistrato...”
Gli studenti si lasciano
sfuggire grida di giubilo. “Assassino!” esclama qualcuno.
Rigazio non commenta, ma
li guarda uno per uno in viso.
“Professore, abbiamo vinto.
La clonazione è finalmente legale.”
“Sono contento” ammette
lui annuendo dopo aver tolto l’audio. Le immagini degli ultimi attentati
terroristici, imputabili almeno ideologicamente a Albino Grandi, ammiccano
da dietro alle sue spalle. “Adesso verranno tempi più cupi. E’ uno
scontro ideologico totale, assoluto, fra due inconciliabili visioni della
vita. Ci sarà chi non accetterà mai il responso della maggioranza.
E saranno così disperati, così terribilmente scoraggiati
da preferire la violenza. Dovremo organizzarci per difenderci, e questo
giustificherà una repressione su scala sempre più vasta.
Dovremo blindare la vita privata e la vita pubblica di quella parte della
Nazione che conta, e questo alla fine ci farà perdere.”
I ragazzi appaiono sconcertati,
non comprendono questa amarezza dopo una vittoria così netta.
“Ora dovrete dimostrare
la vostra coerenza,” prosegue Rigazio come per scuoterli dalla leggera
catatonia.
Gli studenti si guardano.
“Coerenza?”
Rigazio punta il dito su
Lara. “Lei, Riva, sembrava una delle più entusiaste quel giorno
nell’aula magna. E’ pronta ad assumersi le sue responsabilità, dopo
questa vittoria?”
Rico non capisce cosa voglia
Rigazio, ma l’euforia della notte e della affermazione al referendum lo
spinge a uno slancio. “Qualsiasi responsabilità, prof?”
“Anche lei, Bellini? Anche
lei si sente pronto? Bene, vi prendo in parola. L’équipe del dottor
Little a Rivoli che non aspettava altro che il trionfo legalista al referendum
per mettere in pratica la prima clonazione di un essere umano in Italia.
Riva, Bellini: volete essere voi due i primi genitori di un feto clonato?”
Quando lasciano la sicurezza
minacciosa della Repubblica blindata incamminandosi verso l’incognito del
covo terrorista, Rico cammina per primo avanzando con le mani sollevate,
Lara lo segue e Moreno con la sua telecamera chiude la fila. Gli elmetti
con visiera di plexiglas dei corpi speciali antiterrorismo riflettono la
luce dei proiettori puntati sulla fabbrica abbandonata. L’eccezionale dispiego
di mezzi nella ricerca di Rico jr ha portato a individuare il nascondiglio
degli integralisti in meno di una settimana dal rapimento.
Qualcosa non mi convince,
pensa Rico rivolgendosi alla Voce, non abbiamo a che fare con dilettanti.
Non credo che l’asso della manica della polizia sia Moreno.
La Voce risponde dopo una
pausa sospetta di due secondi. Sospetti di... di Lara?
Un riflettore segue la loro
avanzata verso il portone sprangato dall’interno. La fabbrica, in disuso
da decenni, è un monumento all’archeologia industriale del secolo
precedente. Rico immagina di essere inquadrato nel mirino di decine di
fucili di precisione, il sudore gli impregna la camicia. Cosa intendeva
dire quando si riferiva alla tua presenza?, domanda alla Voce, come puoi
assolvere funzioni simili a quelle delle più moderne routine di
combattimento se sei dentro di me da 20 anni, senza nessun contatto esterno?
Il portone è socchiuso,
all’interno è buio. I tre si radunano davanti all’entrata, poi Rico
li precede. Due uomini armati li spintonano verso il fondo dell’officina,
oltre barricate di bancali marci. Sentono sbattere la porta, poi un silenzio
teso mentre camminano in direzione di una luce ai piedi delle scale.
Notano diversi terroristi
armati fino ai denti, appostati strategicamente alle finestre. Non riconoscono
Saulo Damiani fino a quando non compare direttamente in mezzo a loro con
espressione seria. “Siete in ritardo” dice con voce incolore, “sono 20
anni che vi aspetto.”
Moreno stringe la telecamera
con la mano destra coperta da un sottile guanto di lattice. Rico sa che
ha l’ordine di aspettare ad agire fino a quando non si troveranno in presenza
di suo figlio, ma sa anche che per l’attentato in cui ha perso il braccio
è stato condannato in contumacia Saulo Damiani. Da giurati con i
lineamenti alterati da una protezione ottica.
Salgono tutti insieme una
scala di ferro, che risuona come una campana a martello nella vastità
vuota dell’officina. Altri uomini e donne armati li accolgono al piano
superiore dove, in una serie di uffici abbandonati, hanno steso in terra
materassini, sacchi a pelo e cucine portatili. E’ un vero e proprio esercito
di decine di guerriglieri.
“Dov’è mio figlio?”
domanda Rico.
Saulo prosegue senza rispondere
verso i servizi igienici, poi apre la porta di una stanza senza luci esterne.
Rico jr è sdraiato su un materassino gonfiabile, accanto a giornali
appallottolati sul pavimento, un vassoio e piatti di plastica riciclabile.
Quando vede il padre si alza a sedere di scatto, ma la presenza di Saulo
lo destabilizza.
Rico e il figlio si abbracciano,
Lara sembra tesa e sollevata al tempo stesso dopo avere constatato che
è ancora vivo. Ma appena Moreno varca la soglia del locale, Saulo
estrae un revolver da sotto la giacca e gli spara a bruciapelo alla nuca.
Rico jr emette uno strillo
acutissimo che intenerisce gli operatori del network, anche quelli più
cinici. Solo la piccola Lara jr non si scompone continuando a dormire dall’inizio
della conferenza stampa.
“Scusate” dice Lara raggiante,
“Junior non è abituato a tanta luce.”
Rico è stanchissimo.
Ha assistito al parto, il giorno precedente, ed è preoccupato che
la confusione dell’appuntamento con il pubblico possa nuocere all’umore
dei due neonati.
“Caso praticamente unico
nella storia dell’umanità,” sta commentando al microfono un reporter
accanto all’orecchio di Rico, “questi due bambini, pur avendo trascorso
l’intera gestazione contemporaneamente nel medesimo ventre di Lara Riva,
non sono assolutamente fratelli.”
Rico jr corruccia il viso
congestionato davanti ai lampi dei flash, rifiutando di aprire gli occhi.
Suo padre barcolla dal sonno, cerca di spostarsi verso il professor Rigazio
che sembra invece l’uomo più felice del mondo. Al suo fianco Moreno,
candidato deputato per la coalizione legalista, è venuto a raccogliere
la sua parte di popolarità agli occhi del network. Il dottor Little,
primario e amministratore delegato della clinica in cui hanno avuto luogo
la clonazione e il parto, completa lo schieramento di personalità
ad uso propagandistico.
“Lara Riva e Alarico Bellini
si sono offerti volontari un anno fa, il giorno stesso della vittoria legalista
al referendum sull’ingegneria genetica, per il primo intervento di clonazione
umana in Italia. Dal punto di vista genetico e biologico, Rico jr possiede
unicamente cromosomi del padre e Lara unicamente della madre. Per questo
non si possono definire genitori in senso biologico.”
“Sei stanca?” sussurra Rico
all’orecchio della moglie.
Lei ricambia il suo sguardo
con occhi rassegnati. “Abbiamo accettato tutto questo un anno fa, quel
giorno in casa del professore” risponde sottovoce “la nostra vita ci appartiene
solo in parte, da allora. Siamo finalmente diventati animali sociali, Rico,
dobbiamno esere coerenti: ricordi quanto lo volevamo?”
“Lara Riva ha accettato
di portare in grembo per tutta la gravidanza due ovuli clonati, che si
sono sviluppati all’interno del suo ventre dando vita a questi formidabili
bambini. I piccoli Rico e Lara non hanno un solo cromosoma in comune, né
si possono definire in alcun modo fratelli.”
Per fortuna la biologia
non può nulla contro l’istinto, pensa Rico sentendo che anche la
piccola Lara jr è sua figlia. Noi siamo una famiglia.
“Il professor Marcello Rigazio
è il nume tutelare di questo eccezionale concepimento. E’ la prima
volta al mondo che due esseri umani clonati vivono una gravidanza gemellare.
Possiamo dire che Rico e Lara sono l’avanguardia di una futura generazione
di uomini nuovi che, grazie alla scienza, potranno scordarsi terribili
anomalie genetiche come la fibrosi cistica, la distrofia muscolare, l’emofilia,
la talassemia beta.”
Rico vacilla dalla stanchezza.
Il professor Rigazio si avvicina prendendo fra le grosse mani il piccolo
Junior. Si avvicina ai reporter, affiancato subito dal dottor Little mentre
Lara rimane in braccio alla madre sotto l’occhio indiscreto del network,
accanto a Moreno.
“Bellini!” chiama qualcuno.
Rico si volta e si ritrova bocconi. Si accorge di essere caduto in terra,
vede tracce di sangue che dal suo naso gocciolano sul pavimento della sala.
Poi finalmente sente le urla di terrore che filtrano dal ronzio doloroso
nel suo cranio. Si mette a sedere in una selva di gambe. Tutti stanno fuggendo,
ma il grosso tavolo dove era seduta Lara con la bambina è rovesciato
su un lato.
Rico si rialza in piedi.
Il tavolo è a pezzi, c’è sangue dappertutto. Una nuvola di
fumo si sta già disperdendo e gli sembra di ricordare una fiammata,
pochi secondi prima; ma è confuso.
L’adrenalina comincia a
scorrere. Vede Rigazio che si allontana nella folla urlante, Junior è
incolume fra sue braccia.
“Lara!” strilla, ma non
sente neppure la propria voce sopra gli schiamazzi di terrore.
Il servizio d’ordine sta
soccorrendo i feriti. Riconosce Lara sotto il pesante tavolo, spaccato
e rovesciato su un fianco. Moreno sta cercando di rialzarsi, ha il bracco
destro ridotto a brandelli di carne.
La piccola Lara sembra a
pezzi accasciata accanto alla madre. Non è neppure intera: un bambolotto
spezzato dal troppo amore di un bambino piuttosto che dal plastico. La
madre ha il volto e il collo ridotti a una maschera di sangue. Rico si
china su di lei, sta randolando. C’è una scheggia di legno del tavolo
che le ha aperto una spaventosa ferita nella trachea.
Rico si accorge di gridare
il nome di lei da diverso tempo, ma ci sono morti ovunque intorno al tavolo,
Moreno è svenuto dal dolore. I soccorsi lo trovano con Lara e la
bambina fra le braccia, sporco dai capelli alle caviglie del loro sangue,
gli occhi sbarrati dall’orrore e il ritornello di una terribile anticipazione
musicale nella mente.
Se ti ho amato perdonami.
La luce dei proiettori dell’assedio
filtra attraverso le imposte. Il corpo di Moreno è in terra, per
fortuna a faccia in giù in modo che non si vede la devastazione
nella parte inferiore del viso. Una palude di sangue si allarga sulla moquette
annerita dell’ufficio in abbandono. Il suo braccio bionico è una
strabiliante scheggia di tecnologia gettata nella spazzatura.
Saulo è rimasto in
piedi accanto all’uomo appena trucidato alle spalle. Tiene la mano armata
in posizione rilassata, il revolver ancora caldo perpendicolare al pavimento.
Rico è caduto in ginocchio ma non ha il coraggio di toccare il cadavere.
“Alzati” comanda Saulo senza
dimostrare emozione. Tre uomini armati sono alle sue spalle, le canne dei
fucili automatici pronte a crivellare gli ostaggi al minimo cenno di reazione.
Rico inspira profondamente,
punta il ginocchio e sente girare il capo. Lara si china su di lui.
Rico jr è rimasto
seduto sul letto, indebolito dai sedativi. Con noncuranza, Lara appoggia
il palmo aperto della mano destra all’interno dell’avambraccio di Rico.
Lui sente una piccola puntura, quasi un graffio fatto con carta abrasiva.
“Finalmente ci ritroviamo
tutti insieme” dice Saulo con voce da giudizio universale “Ma questa volta
non avete dalla vostra parte la violenza della maggioranza, come ai giorni
dell’Università. Siete soli di fronte alle vostre responsabilità.”
Rico inspira e la soluzione
bionanotecnologica che Lara gli ha iniettato nel braccio entra nel suo
sistema circolatorio.
Tutto assume un aspetto
diverso. E’ come osservare la realtà attraverso un filtro virtuale.
La maggior parte dei suoni si affievolisce, alcuni invece si amplificano.
Rico guarda la telecamera che Moreno ha lasciato scivolare in terra e distingue
perfettamente la connessione dell’arma nella superficie trasparente.
Gli sembra di vivere in
un videogioco. Il suo dito indice è sul grilletto dell’arma prima
ancora che Saulo e i terroristi se ne rendano conto. La Voce nella sua
mente è diventata un calcolatore che controlla le membra a velocità
incredibilmente accelerata.
Come teleguidato, sgancia
con uno scatto l’arma dal suo alloggiamento nel fianco della telecamera.
Le canne delle automatiche si sollevano istintivamente verso di lui. Se
ti ho amato perdonami canta adesso la Voce mentre prende il controllo dei
suoi riflessi.
Le armi non sono ancora
parallele al pavimento quando il primo bersaglio viene scaraventato all’indietro
da un proiettile calibro 7.65. La detonazione è secca nell’orecchio
di Rico, distaccata e isolata da qualsiasi altro suono. Il secondo uomo,
che sta reagendo d’istinto, ha ora l’arma puntata su di lui mentre Saulo
finalmente realizza inconsciamente la reazione dell’ostaggio.
La Voce mantiene la pistola
parallela al pavimento, muovendola in verticale e in orizzontale con spostamenti
razionali che fanno sembrare la mano di Rico la testina di un plotter.
Il primo terrorista non ha ancora toccato il terreno quando il secondo
viene colpito alla gola. Il terzo spara e Rico sente come una frustata
alla spalla sinistra, ma prima ancora di rendersi conto di essere colpito
di striscio la Voce guida il suo braccio a colpire con un terzo, unico
colpo l’ultimo terrorista.
Saulo adesso ha il revolver
in posizione di fuoco, dritto alla testa di Rico. Se dovesse vedersela
solo con i riflessi dell’uomo avrebbe già vinto, ma la Voce ha completamente
assunto il controllo del sistema nervoso di Rico. Una raffica di cinque
colpi taglia quasi in verticale l’obiettivo, la violenza di impatto dei
proiettili è tale che l’ultimo non riesce neppure a mordere la carne
perché il corpo è già scaraventato di lato.
Lentamente i suoni ritornano
normali, Rico sente il riflusso dell’adrenalina e un ronzio nel timpano
come effetto collaterale delle detonazioni. I soccorsi non fanno in tempo
ad accorrere in aiuto di Saulo perché le forze speciali hanno contemporaneamente
iniziato un micidiale fuoco di sbarramento contro le finestre dell’officina,
un concerto di fucileria che fa vibrare persino i muri della fabbrica.
Con un ultimo salto Rico
chiude la porta dell’ufficio. Lara è accostata alla parete di fondo,
trema di paura ma sapeva cosa sarebbe accaduto quando gli ha iniettato
la soluzione nanotecnologica come da istruzioni del commissario. Rico jr
sta respirando a fatica. È tornato a sdraiarsi sul materasso per
levarsi dalla linea di tiro.
Il battito cardiaco di Rico
rallenta per qualche secondo. Le pareti dell’ufficio abbandonato sembrano
verniciate di rosso, i tre terroristi feriti a morte si lamentano con voce
flebile e Saulo è immobile accanto al cadavere di Moreno.
E’ finita, Rico, dice la
Voce, è tutto finito. Abbiamo vinto. Lara e tuo figlio sono vivi.
Finalmente Rico si accorge
del sangue sulla manica sinistra della camicia. Ma più importante
è la consapevolezza di quello che ha detto il commissario il mattino
stesso. Sì, pensa Rico, io ho un debito con Lara. Un debito che
mi porto dietro da anni e che è ora di saldare.
Mentre il sangue nelle sue
vene riprende a scorrere a velocità normale, Rico si rende conto
che è giusto che Lara sappia la verità.
La trasparenza del cristallo
alla finestra aggiunge una profondità inattesa al dolore. Torino
si stende indifferente in lontananza, ai piedi della clinica in collina:
da qualche parte la polizia sta cercando le tracce di Saulo Damiani, indicato
come esecutore materiale dell’attentato alla conferenza stampa che ha assassinato
la piccola Lara e ferito gravemente altre tre persone tra cui la madre
e Moreno, candidato legalista al Parlamento.
Rico si volta verso l’infermeria
sentendo dei passi. E’ Rigazio, più curvo e stanco del solito. “I
genitori hanno acconsentito” dice a labbra chiuse “stasera stessa inizieranno
le operazioni di animazione sospesa.”
Rientrano insieme nella
stanza. Lara è distesa sotto la tenda a ossigeno, povero corpo tenuto
insieme da una rete ferroviaria di cuciture con filo azzurro. La pelle
al collo e alla tempia è bruciata, rossa, ricoperta da una gelatina
nutriente; il resto del corpo è sotto il lenzuolo. Una serie di
monitor con istogrammi incomprensibili tiene sotto controllo le sue funzioni
vitali.
Rico non domanda nulla.
“Non sappiamo quanto occorrerà perché possa tornare fra noi”
continua Rigazio non richiesto “il dottor Little è stato chiaro.
La Medicina potrebbe essere in grado di portarla a un recupero nel giro
di un anno, come di cinque anni o magari di venti.”
Ibernazione. Questa è
la parola che circola come routine subliminale appena sotto il livello
di coscienza di Rico. Un anno di ibernazione. Forse cinque anni, forse
venti. E quando potremo riportarla in vita per noi sarà passato
tutto quel tempo, mentre i suoi tessuti rimarranno congelati senza invecchiare.
“Ho bisogno della
tua autorizzazione per un altro esperimento” dice Rigazio. Dalla tensione
nella sua voce Rico capisce che si tratta di qualcosa di importante che
mette in ansia il professore.
“Tutte le autorizzazioni
vanno richieste alla famiglia di Lara” risponde senza distogliere gli occhi
dai monitor. Fra poche ore quelle linee diventeranno piatte. Congeleranno
le sue funzioni vitali, nella speranza di poterla riportare alla vita.
Congeleranno la sua carne, congeleranno le sue labbra e il suo cuore.
“Quest’altro è un
esperimento che riguarda te, non Lara. Cosa pensi che rappresenti quella
cuffia di elettrodi intorno alla sua testa?”
Rico si sforza di ritornare
alla realtà. “Encefalogramma?”
“Il dottor Little sta registrando
il contenuto bioelettrico del cervello di Lara. Almeno di quelle parti
non danneggiate dall’attentato. Una quantità immensa di dati, tutto
quello che è possibile salvare di lei: strutture di pensiero, capacità
di provare emozioni, centri del linguaggio. Tutto il salvabile.”
Rico è perplesso.
“E a cosa servirà?”
“Se siamo in grado di registrare
l’attività bioelettrica dei neuroni, siamo anche in grado di trasferirla.
Dobbiamo salvare quanto più possibile di Lara per poterlo ripristinare
nel suo cervello quando il dottor Little potrà farla uscire dall’animazione
sospesa.”
Rico si sforza di respingere
il dolore che gli impedisce di capire. “Little sta registrando Lara?”
“Appena è giunta
alla clinica hanno avviato la registrazione cerebrale. Non sappiamo quanto
tempo passerà prima che Lara torni fra noi, perciò non possiamo
permettere che il contenuto del suo cervello si deteriori.”
“E io cosa posso fare?”
Rigazio inspira profondamente.
“Cosa accadrebbe se dovessero occorrere davvero anni prima di poterla risvegliare
con la certezza di mantenerla in vita? Come possiamo pensare di conservare
su qualche supporto stabile l’immensa quantità di dati registrati?
Abbiamo bisogno di un supporto più sicuro.”
Rico trattiene il fiato,
poi si tocca la tempia.
Rigazio annuisce. “Siamo
in grado di trasferire la registrazione su altro tessuto cerebrale. Non
possiamo ancora trapiantare un cervello, forse ci riusciremo davvero solo
tra venti anni, ma possiamo conservare il contenuto in un altro cervello.
Hai idea della quantità di neuroni inutilizzati in un tessuto nervoso
centrale?”
“Lara,” dice Rico “Qui nella
mia testa. E io sarò cosciente di lei?”
Rigazio allarga le braccia.
“E’ la prima volta che si tenta un esperimento su scala così vasta.
Un’intera mente, o almeno ciò che è ancora possibile salvarne,
trasferita all’interno di un’altra mente. Non so cosa proverai, Bellini,
francamente.”
Rico sente di barcollare.
Pensa alla piccola Lara a pezzi sul pavimento della sala stampa. Pensa
a sua madre ricoperta di sangue sotto le schegge del tavolo di legno. “Che
senso avrà riaverla intera con il contenuto della sua mente intatto
fra venti anni, se io avrò il doppio della sua età?” commenta
per prendere tempo, ma ha già deciso.
“Povero il mio Bellini,
non sarà purtroppo intatta. Non avrà mai i suoi ricordi,
ad esempio. D’altronde non lo facciamo per te.”
I lineamenti di Lara sono
appena riconoscibili sotto le escoriazioni. Un occhio, completamente perduto,
è sostituito da una ampia medicazione. I capelli, i capelli di Lara
che ondeggiavano a un vento inesistente quando si muoveva sopra di lui,
sono completamente rasati.
“E se sarà davvero
fra venti anni, potremo farle credere di essere la piccola Lara cresciuta,
il clone di sua madre, e di avere perso la memoria in un incidente automobilistico.”
Lara dentro di me. Lara.
Il suo corpo dentro la cella frigorifera in clinica, il suo cervello dentro
la mia testa.
Rico sa già che accetterà.
Accetterà perché nessun Escherichia coli è mai stato
interpellato sulla propria volontà di trasmettere il DNA di un altro
organismo, quel DNA che conserverà per 20 anni l’identità
personale di Lara Riva.
E già sa che da questo
momento in poi comincerà a sognare il giorno in cui sua moglie uscirà
dal coma e potrà restituirle la memoria. Tra un anno, tra cinque
o tra venti anni.